Legislazione

Come funzioneranno le riforme di Renzi quando vincerà Salvini

27 Gennaio 2015

Oggi è il 20 marzo 2018. La XVIII legislatura è iniziata da poco, il leader della Lega Matteo Salvini ha appena messo le mani sull’Italia. Le riforme dell’ultimo governo Renzi dovevano fare uscire il Paese dalla palude, invece hanno finito per consegnarlo al Carroccio. La cosa bella è che forse neppure Salvini credeva di poter vincere le elezioni. La ricordate quella faccia sorpresa subito dopo i primi exit poll? E quello sguardo stralunato – gli occhi sbarrati e la solita barbetta incolta – quando è salito al Quirinale per ricevere l’incarico? Una scena incredibile, anche per il più ingenuo elettore leghista. E invece è accaduto davvero. Miracoli dell’Italicum…

Il resto è storia recente: alle Politiche di qualche settimana fa il Partito democratico ha sfiorato la vittoria, conquistando il 38,5 per cento dei voti. Una percentuale più alta delle aspettative, ma non sufficiente a raggiungere il premio di maggioranza. E così dopo due settimane gli italiani sono tornati al voto. L’esito del ballottaggio sembrava scontato. Del resto pochi giorni prima il listone di Matteo Salvini – un’alleanza tra il Carroccio, la sua versione meridionale e il centro sociale di destra Casapound – si era fermato al 21 per cento. Giusto qualche decimale in più del Movimento Cinque Stelle (20 per cento) e del nuovo partito di Silvio Berlusconi e Angelino Alfano (15 per cento).

E invece al secondo turno l’ha spuntata proprio Salvini. Merito di una campagna elettorale tutta di pancia, giocata all’attacco. Una lunga serie di slogan contro l’Europa, la moneta unica e gli immigrati. Tanto è bastato per raccogliere i voti di molti simpatizzanti grillini e qualche nostalgico berlusconiano. Il resto l’ha fatto la disaffezione degli elettori del Pd che, ormai certi della vittoria, hanno disertato le urne. Il risultato? Adesso il Carroccio guida il Paese. Lo guida stabilmente, grazie al premio di maggioranza previsto dall’Italicum. Alla prima seduta della Camera 340 deputati su 630 si sono presentati in camicia verde. Una maggioranza leghista, stabile e duratura.

Eh già. Perché nel frattempo la riforma costituzionale approvata pochi anni fa ha cancellato il bicameralismo paritario. Ridimensionando parecchio il Senato. Intendiamoci, Palazzo Madama continua a funzionare. I costi della struttura sono rimasti più o meno gli stessi di sempre. Al posto dei 315 senatori, però, adesso ci sono i rappresentanti dei territori. Un centinaio di delegati eletti nei Consigli regionali di tutta Italia. Un ruolo poco più che simbolico: rispetto al passato Palazzo Madama concorre alla funzione legislativa in maniera molto più limitata. Senza considerare che l’unica Camera legata al governo da un rapporto fiduciario è proprio Montecitorio.

Basta bicameralismo, basta palude romana. Renzi ce l’aveva promesso, è stato di parola. Adesso la Lega può approvare i propri provvedimenti senza troppi rischi. Se necessario ricorrendo al sostegno dei parlamentari berlusconiani, con cui è legata da antiche alleanze. La nuova legislatura è appena iniziata e già sono state calendarizzate le prime proposte di legge. Presto i deputati voteranno la riforma della cittadinanza: è il discusso provvedimento che toglie lo status di italiano a chi professa la religione islamica. Se n’era già parlato in campagna elettorale. Sembrava una follia, e invece potrebbe diventare legge. Subito dopo saranno rivisti tutti i trattati internazionali, a partire dall’adesione alla moneta unica. Salvini l’ha promesso nel primo Consiglio dei ministri, presentandosi in sala stampa con quella bizzarra maglietta. “Mai schiavi di Bruxelles” c’era scritto in stampatello, tra le risate di giornalisti e fotografi. Con ogni probabilità l’Italia rinuncerà alla moneta unica nel giro di sei o sette mesi. È già iniziato in commissione, infine, l’iter del ddl sull’obbligo di esposizione del Crocefisso e del presepe (quello presentato dal viceministro dell’Interno Mario Borghezio). Per la sua definitiva approvazione sono previsti tempi brevi. Anche stavolta il merito va alla riforma costituzionale approvata nella scorsa legislatura, che riconosce all’esecutivo la possibilità di ottenere una rapida votazione per i più importanti disegni di legge.

Difficile ipotizzare qualche intoppo alla Camera. Di ribaltoni neanche a parlarne. I deputati leghisti sono stati in buona parte selezionati dallo stesso leader. Lo prevede l’Italicum: cento di loro sono stati scelti al momento di chiudere le liste, sono i capilista bloccati. Gli altri 240 sono comunque uomini di fiducia del premier, spesso eletti grazie alle preferenze “ereditate” dai cento candidati principali. Saranno proprio i parlamentari padani a giocare un ruolo fondamentale quando sarà il momento di eleggere il prossimo presidente della Repubblica.

Manca ancora un po’ di tempo, ma per il Quirinale si fa già il nome di Umberto Bossi. Bando alla scaramanzia: grazie alla recente riforma costituzionale i leghisti sono quasi certi di eleggere un loro candidato. Dopo l’abolizione del bicameralismo, la platea dei grandi elettori per il Colle si è molto ristretta. Cancellati i delegati regionali, adesso a scegliere il capo dello Stato è il solo Parlamento in seduta comune: 730 votanti tra deputati e senatori. Anche il quorum è cambiato: dopo il quarto scrutinio è necessaria la maggioranza dei tre quinti dell’assemblea. Già forte di 340 deputati, per portare al Quirinale un suo candidato al Carroccio serve solo un piccolo accordo con il centrodestra.

Quella del Capo dello Stato non è una nomina priva di conseguenze. Presto il Parlamento a trazione leghista dovrà nominare anche cinque giudici della Corte Costituzionale (è quasi certa la designazione di Roberto Calderoli, che non ha trovato spazio al governo). Altri cinque giudici, invece, li nominerà proprio il presidente della Repubblica. Le conseguenze sono evidenti: dieci giudici della Consulta saranno più o meno direttamente legati al presidente del Consiglio. Insomma, a Matteo Salvini. E poi c’è il Consiglio Superiore della magistratura. Stavolta il Parlamento dovrà nominare “solo” otto giudici su ventiquattro. Nessuna novità, era così anche prima della riforma costituzionale. E come prima, peraltro, a presiedere il Csm rimarrà il presidente della Repubblica. Lo stesso “garante della Costituzione” legato al leader della maggioranza. Lo stesso capo dello Stato che presiede anche le Forze Armate. Tanto per stare tranquilli.

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