Internet

Perché un giornalismo SEO di qualità premia tutti

25 Marzo 2015

L’adagio che si sente ripetere da tempo vuole che il SEO (search engine optimization) applicato al giornalismo sia morto. In verità, non c’è niente di più falso: al massimo bisogna rivedere le proprie tecniche ogni qualvolta Google apporta modifiche al suo algoritmo (ma questo vale soprattutto per i cacciatori di keywords – ci torneremo più avanti). L’aspetto più interessante di tutta la faccenda è infatti un altro, e cioè le potenzialità enormi che il SEO ha per un giornalismo online di qualità. Qualità che peraltro viene premiata da Google con posizionamenti migliori, o almeno questo è l’obiettivo a cui l’azienda di Mountain View lavora costantemente.

La verità è che il SEO è vivo e vegeto e si applica alla perfezione all’informazione online. Per una semplice ragione: finché la gente si porrà domande e cercherà approfondimenti su Google, ci sarà uno spazio molto interessante per un giornalismo di qualità che non sfrutti solo ed esclusivamente la vetrina offerta dalla homepage, ma che possa invece avere vita lunghissima se studiato con un po’ più di attenzione nei confronti di Google.

Purtroppo quello che salta all’occhio più facilmente è l’uso spregiudicato del SEO. Quello per cui un pezzo come questo avrebbe potuto benissimo essere titolato “SEO 2015: che cos’è, come funziona e quanto, quando, dove e perché”. In questo modo, qualche incastro di parole chiave avrebbe funzionato e se ci fosse qualcuno che, incuriosito da una conversazione ascoltata, stesse cercando qualche informazione in materia facilmente incapperebbe in un pezzo titolato in questo modo, tanto più se all’interno dell’articolo e nella formattazione si fossero presi tutti gli accorgimenti del caso.

Il risultato lo vediamo tutti i giorni. Titoli come “ultimi sondaggi politici elettorali 25 marzo 2015 di oggi: Pd, M5S, Forza Italia e Lega Nord” non sono frutto della mia immaginazione, bensì frutto del lavoro di tecnici/giornalisti che basano il loro lavoro sull’incastro delle keyword che riescono a funzionare. Il concetto, di per sé, è molto semplice: basarsi sulla sola parola chiave “sondaggi” per creare un titolo decente espone a una concorrenza spietata; ricercare un incastro di parole chiave molto più specifiche dà l’opportunità di finire in cima nelle ricerche su Google, visto che molto spesso le persone fanno le loro ricerche utilizzando chiavi come “ultimi sondaggi politici” oppure “sondaggi di oggi” e così via.

Al contrario, alcuni titoli che circolano mostrano come tanti non abbiano capito il meccanismo che regola le ricerche su Google, limitandosi a trasformare qualunque titolo “come se” fosse una ricerca su Google. In questo modo si sta solamente facendo un titolo bruttissimo, cose tipo: “Ladri Nuova Guinea arrestati oggi, in cinque in manette”. Che dimostrano come a volte non ci si metta dalla parte del lettore, ci si limiti a imparare la lezioncina del fare un titolo “in stile Google”.

Questo è l’aspetto deteriore. Quello che ha fatto sì che Google si saturasse di articoli copia l’uno dell’altro in quantità enormi e che anche sui siti più noti ci tocchi leggere titoli che sono un assemblaggio incomprensibile (e inutile) di parole chiave. Non c’è niente di male nel creare titoli studiati su misura per Google, il problema è quando si punta solo ed esclusivamente al click istantaneo, acchiappato dalla parola chiave senza nessun interesse per la qualità dell’articolo che poi l’utente andrà a leggere.

E questo è un vero peccato, perché l’opportunità offerta dal SEO riguarda innanzitutto chi vuole fare giornalismo di qualità e scrivere articoli destinati a resistere sul lungo termine, che trattino argomenti interessanti e facendo vero approfondimento. La dimostrazione viene da uno studio dell’American Press Institute riportato su DataMediaHub (e che ho recuperato dalla pagina Facebook di Alberto Puliafito, sicuramente un esperto del settore): quasi il 60% dei millenials (i nati tra gli anni ’80 e i primi Duemila), nel momento in cui vuole approfondire un argomento, per prima cosa va su Google. In questo caso, la parola da sottolineare è proprio il verbo approfondire.

Schermata 2015-03-25 alle 11.46.14

Nonostante tutti ripetano come “internet sia il regno della velocità”, Google, per le sue caratteristiche, è invece lo strumento più adatto a controbilanciare la velocità e la superficialità che spesso contraddistingue l’informazione online. Chi pensa che l’informazione online sia per sua natura solo basata sulla velocità e l’immediatezza sbaglia, il problema è che la si utilizza quasi sempre così.

Se sulle homepage dei siti più importanti si trovano solo dichiarazioni e notizie lampo, ecco che proprio per questa ragione si apre un’opportunità per chi invece vuole fare approfondimento. Facciamo un esempio classico. Ogni qualvolta sale la tensione tra Israele e Palestina tutte le homepage dei quotidiani sono piene di notizie (“5 morti in seguito a raid israeliano”) e dichiarazioni (“Hamas minaccia Netanyahu”), quando va di lusso incappiamo in reportage anche ben fatti (“La vita a Gaza”) e via così. Un aspetto che manca sempre è proprio quello dell’approfondimento.

E però chi legge quelle notizie, soprattutto tra i più giovani, si porrà subito alcune domande: com’è nato il conflitto tra Israele e Palestina? Chi ha ragione tra Israele e Palestina? Quali sono i territori della Palestina? Domande che in quegli articoli non trovano mai risposta. Così, le persone cercano su Google. O ponendo direttamente le domande nella forma sopraccitata, oppure usando keywords secche: “israele palestina storia”, “israele palestina origine conflitto”, “israele palestina mappa territori”.

Ora, i risultati delle ricerche riportano in cima quasi sempre Wikipedia (che poi è l’esempio vivente del fatto che il SEO è tutt’altro che morto e che premia la qualità), ma non per forza. E soprattutto non tutti hanno il tempo e la voglia di affrontare le enciclopediche voci di Wikipedia. A quel punto il modo migliore, più interessante, più di qualità di utilizzare uno strumento come Google per il giornalista è quello di porsi come “ponte” tra l’informazione lampo e la ricerca di stampo più accademico. In poche parole, un divulgatore.

Ma sfruttare le potenzialità di Google nel giornalismo non è importante solo per fare approfondimento di qualità, la verità è che questo tipo di giornalismo porta anche traffico. Molto traffico. Per due ragioni: la prima è che le persone che cercano approfondimenti sono molte più di quelle che si crede che siano; la seconda è questi articoli hanno un raggio di vita estremamente lungo. E siccome il traffico arriva direttamente da Google, può essere veicolato verso il proprio sito anche da giornalisti che non hanno uno spazio sulle testate più note per diffondere i loro lavori. L’importante, come sempre, è che la ricerca delle parole chiave non venga prima della qualità, ma sia solo un modo per andare incontro alle esigenze del lettore, che viene semplicemente aiutato a trovare ciò che cerca.

Faccio un paio di esempi personali che spero mi verranno scusati: a luglio, nel pieno del conflitto a Gaza, ho scritto qualche pezzo sul tema, cercando di mettermi nell’ottica del lettore e di offrire una risposta alle sue curiosità. Come detto, una persona curiosa di capire meglio quanto stava accadendo in Palestina non poteva che partire da una domanda: quali sono le origini del conflitto? E quindi, da lì sono partito. Quel post, a oggi, ha totalizzato circa 20mila visualizzazioni. Forse per alcuni grandi siti non è un numero così importante, ma immagino che per la maggior parte invece lo sia. Soprattutto, ogni singolo giorno continua a macinare la sua decina di visualizzazioni, andando così a fornire quella coda lunga che, sul lungo termine, è fondamentale. Le potenzialità di questo strumento – ancor più per chi punta a fare informazioni di qualità senza avere uno spazio su un quotidiano online già stranoto – sono evidenti. Ma la durata di vita di un pezzo studiato in questa maniera, rispetto a uno che punti solo sulla visibilità in homepage e sui social network, dovrebbe interessare tutte le testate.

Stessa storia per un post sull’Isis: perché non fare un focus su quali possono essere le ambizioni e gli obiettivi dello Stato Islamico? Certo, ogni grosso sito, magari non italiano, ha prodotto qualcosa di simile, ma puntando solo sulla notorietà della testata e ignorando l’aspetto SEO. Pensando alle parole chiave necessarie e cercando di renderle in un titolo decente, il risultato suonava più o meno così: “Che cosa vuole l’Isis? Gli obiettivi dello Stato Islamico”. In questo caso si è arrivati a 15mila visualizzazioni, di cui circa 4mila solo nell’ultimo mese (nonostante il pezzo fosse di ottobre).

Ovviamente, si possono ottenere risultati molto maggiori intercettando chi cerca spiegazioni chiare su ciò che nella maggior parte degli articoli è dato (incomprensibilmente) per scontato. Per esempio: “come funziona il jobs act”? In questo caso, con un articolo che faccia il punto in maniera semplice, chiara, ma non affrettata, si possono conquistare centinaia di migliaia di visualizzazioni e un lunghissimo tempo di permanenza sulla pagina, grazie solo ed esclusivamente a Google. D’altra parte il jobs act ha avuto un impatto concreto e diretto su una quantità enorme di persone, che a maggior ragione cercano informazioni chiare e non il botta e risposta noioso e inutile dei politici che trovava spazio su tutte le homepage.

Niente di nuovo, sia chiaro: i risultati su Google, nel caso del jobs act e in generale con gli eventi più importanti, riportano sempre una marea di “chi è”, “che cos’è”, “come funziona”, ecc. Ma le potenzialità non sono certo esaurite in quei tre/quattro trucchetti che vediamo all’opera ogni giorno, nelle modalità con cui si sfruttano eventi come le elezioni o con le dirette live di avvenimenti. Ogni evento importante cela dietro di sé molti approfondimenti potenziali che verranno cercati dagli utenti più attivi, c’è solo da scrivere dei pezzi ben fatti e da capire come aiutare chi li cerca. In Italia a usare molto questo strumento è sicuramente Il Post, che con il suo ormai classico “spiegato bene” non fa altro che utilizzare in maniera più accettabile in un titolo la keyword “spiegazione”, che in effetti è molto usata dagli utenti quando cercano, appunto, la spiegazione di un argomento ostico.

Più si punterà sulla qualità, più Google imparerà a premiarla, più si cercherà di differenziare il lavoro giornalistico basato sul SEO (evitando gli articoli copia-incolla a ripetizione) cercando di andare incontro alle tante domande che i lettori si pongono, più questa strada potrà aprire spazi importanti che sono in buona parte ancora da sfruttare.

Tutto questo, per dire che lungi dall’essere morto, e lungi dall’essere uno strumento per un’informazione acchiappa-click dietro alla quale si cela il nulla, Google e il giornalismo SEO possono essere gli strumenti principe per un giornalismo di qualità, compatibile con le scarse risorse economiche della maggior parte delle (se non tutte le) testate native digitali. E che, soprattutto, porta risultati in termini di traffico, risultati che sul lungo termine sono anche superiori a quelli dei pezzi “virali a tutti i costi” che così tanti danni stanno facendo all’informazione online.

@signorelli82

Commenti

Devi fare login per commentare

Accedi

Gli Stati Generali è un progetto di giornalismo partecipativo

Vuoi diventare un brain?

Newsletter

Ti sei registrato con successo alla newsletter de Gli Stati Generali, controlla la tua mail per completare la registrazione.