Partiti e politici
Le periferie? Non portano voti e non fanno audience
Negli ultimi giorni ci siamo accorti dell’esistenza di Tor Sapienza, quartiere di Roma sinora sconosciuto (anche a molti romani). Ma possiamo dormire sonni tranquilli: molto presto ce ne dimenticheremo. Nella migliore delle ipotesi il nome Tor Sapienza ci ricorderà “quel posto dove sono accaduti scontri e sono stati cacciati gli immigrati”. Insomma, qualcosa di piuttosto vago. Tutto tornerà alla normalità, compreso i disagi di chi vive in zone abbandonate al proprio destino. Almeno fino a una nuova esplosione di rabbia, che però è bene sottolineare: potrebbe diventare incontrollabile.
Il discorso non riguarda solo Tor Sapienza, che è assurto al ruolo di simbolo: al netto del caso specifico caratterizzato dalle accuse di fascismo e razzismo, il fulcro resta il disagio profondo di vivere in periferia. Giusto per restare a Roma, qualcuno conosce le storie di Tor Bella Monaca? E Torpignattara? Poi la questione è estendibile a qualsiasi periferia d’Italia (tipo Rione Traiano a Napoli), che viene lasciata – da sola – a marcire, fino a quando non si accendono i riflettori mediatici e di conseguenza politici.
Il disinteresse generale è legato a una constatazione cinica e pragmatica: le periferie «non portano voti» perché le persone che le popolano sono ormai totalmente disilluse verso la politica, tranne quando gli animi diventano incandescenti. In quel momento avviene un processo di politicizzazione, ma si tratta di un fenomeno estremo che non tocca i partiti di governo.
Quanto accaduto a Paola Taverna, popolare rappresentante del Movimento 5 Stelle, è molto chiaro: è stata contestata, perché la politica viene vista come qualcosa da tenere lontana, una Casta che incarna il Male Assoluto e non lo strumento che dovrebbe risolvere i problemi ascoltando i cittadini. Questo comportamento funge da acceleratore e allontana sempre di più i partiti di governo dalle periferie, considerate un fortino inespugnabile dell’astensionismo disilluso o in alternativa terra di conquista per estremismi di varia estrazione. La “distrazione” del presidente del Consiglio, Matteo Renzi, è una sintesi pregnante: perché sprecare energie in una sfida persa in partenza?
Un’altra annotazione è emersa nelle cronache di Tor Sapienza e, ahinoi, riguarda l’informazione. «Non si erano mai visti tanti giornalisti nel quartiere», hanno ripetuto molti residenti del posto. Le colpe, insomma, non sono tutte dei politici, ma anche dei media disinteressati verso il racconto di storie che in genere “non fanno audience”. Tranne, ovviamente, quando arriva la violenza: gli avvenimenti di Tor Sapienza sono una testimonianza cristallina di tale deriva.
La tragica routine del degrado è più complicata da spiegare rispetto ad altri tipi di notizie che magari risultano più appetibili in termini di ascolto. E poi gli abitanti delle periferie non sono lettori forti, né sono il prototipo del pubblico dei programmi di approfondimento. E, si sa, l’informazione ha bisogno di “numeri” per sopravvivere, specie in una fase di crisi così acuta.
Allora perché occuparsi di periferie, se in fondo l’argomento non interessa il resto dei cittadini italiani?
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