Società
Il 63% di noi è ostile ai musulmani: Italia capitale europea dell’islamofobia
VERONA – Fouad è un ragazzone marocchino di 27 anni. Lavora in Veneto come operaio, ma il suo sogno è tornare a Casablanca, e mettersi in proprio. È un tifoso sfegatato del Raja Casablanca («Mio fratello invece tifa il Wydad, meglio che io e lui non parliamo di calcio» dice agli Stati Generali scoppiando a ridere), ma in Italia gli piace il Napoli. Se a Fouad si nomina l’Isis, lui si accalora: «Quelli del Daesh sono dei grandi bastardi, sono nemici di tutta l’umanità! Non importa se sei cristiano o musulmano, c’è un solo Dio sopra di noi, e vuole la pace».
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Mentre Fouad parla, lasciando raffreddare il suo caffè, due signori di mezza età al tavolino accanto scrollano la testa, infastiditi. Fanno qualche commento ad alta voce, borbottano «A Parigi ne avete ammazzati tanti». Quando l’autore di quest’articolo domanda, con gentilezza, se ci sia qualche problema, loro nicchiano e cambiano argomento. «Lascia stare, è inutile – dice Fouad, e si concede un sorso di caffè –. A me l’Italia piace, ho pure una ragazza italiana. Però spero di ritornare a Casablanca appena possibile».
Amir è iraniano, fa il cameriere in un bar della provincia di Bolzano. Non sa cosa significhi la parola “islamofobia”, ma purtroppo l’ha sperimentata sulla sua pelle. «Quando la gente capisce che sono musulmano, mi guarda in modo molto diverso. Mi è capitato di essere insultato, varie volte. E un mio vicino di casa mi ha detto che i musulmani dovrebbero essere espulsi dall’Europa. È vero, qui in Alto Adige hanno arrestato delle persone [sospettate di far parte del network terroristico islamista Rawti Shax], ma io cosa c’entro con questa gente? Gli italiani non sono mica tutti mafiosi».
Anche Chaimaa è stata vittima di atteggiamenti islamofobi. Studentessa di giurisprudenza a Modena, delegata dei Giovani Musulmani d’Italia al Forum Nazionale Giovani, Chaimaa non ha problemi a rendere pubblico il suo cognome (Fatihi) e la sua età (22 anni). «Sono nata in Marocco, ma vivo in Italia da quando ero una bambina – dice –. Purtroppo l’islamofobia è in crescita, non solo in questo paese ma in tutta Europa. E dopo la tragedia di Parigi è senz’altro aumentata». I media non aiutano, e basta leggere i titoli di certi giornali, che sembrano incitare all’odio. «Nei miei confronti sono aumentati gli sguardi di diffidenza e anche di paura. Qualche tempo fa viaggiavo su un Freccia, c’era una coppia di anziani vicino a me e quando mi sono preparata per scendere la signora ha detto: “Per fortuna sta scendendo e non si è fatta esplodere”. Io le ho risposto che bisognerebbe conoscere le persone prima di insultarle così, e lei ci è rimasta davvero male, perché non credeva che capissi l’italiano».
Che l’Italia sia un paese alquanto islamofobo, lo sembrano suggerire anche i dati. Secondo un sondaggio del 2014 del Pew Research Center, il 63% degli italiani ha un’opinione sfavorevole dei musulmani presenti nel nostro paese. Si tratta di un dato persino più negativo di quello greco (53%) e polacco (50%). Considerando che nei tre paesi citati vivono comunità islamiche assai meno cospicue di quelle di Germania, Francia e Regno Unito, dove l’opinione ostile ai musulmani è del 33%, 27% e 26%, forse ad alimentare il crescendo islamofobo contribuisce, in maniera decisiva, l’ignoranza. La non-conoscenza.
«Ci sono sicuramente, nel dibattito pubblico italiano, posizioni islamofobiche, talvolta anche piuttosto becere – osserva Giuseppe Sciortino, ordinario di Sociologia all’università di Trento, e studioso dell’argomento –. E c’è un’ostilità diffusa nei confronti dei musulmani, soprattutto se praticanti. In quest’ostilità ritroviamo una paradossale alleanza tra gli elementi più clericali della società italiana, che continuano a coltivare il sogno di un paese mono-religioso, e di elementi laicisti che sono in realtà ostili alle religioni rivelate nel loro complesso, più che all’Islam in quanto tale. Vi è poi un forte elemento strumentale, che fa sì che in alcuni momenti come l’attuale molti si sentano autorizzati a “prendersela” con i musulmani, esattamente come in altri momenti ce la si prende con gli zingari o con i meridionali».
Tuttavia, continua il sociologo, «non è chiaro quanto questi elementi convergano in una posizione ideologica in qualche modo unitaria. Quello che si può dire è che mentre in alcuni paesi europei – come Olanda o Danimarca – l’opposizione all’Islam viene condotta con argomenti coerenti e in qualche modo stimolanti, in Italia l’impressione generale è di un’accozzaglia di ragionamenti scadenti. E non bisogna dimenticare che ci sono anche molti elementi che in qualche modo fanno intravedere un processo di accettazione della presenza musulmana in Italia. Ci sono spinte islamofobiche, ma è una partita ancora aperta».
Vicenza è considerata da sempre una delle capitali del Nordest più profondo. In Via dei Mille, a pochi passi dal centro storico, con i suoi monumenti palladiani e le sue affollate librerie, c’è un centro culturale islamico che certi residenti chiamano (a torto) “moschea”. Nel vicino corso San Felice e Fortunato si trovano un paio di kebabbari, e non è difficile imbattersi in qualche anziano barbuto con djellaba e shashia.
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«Mai avuto alcun problema con i musulmani del quartiere – dice agli Stati Generali un barista del corso dallo spiccato accento vicentino –. Magari si vestono in modo diverso dal nostro, ma è la politica che crea i mostri». Stessa risposta da un negoziante, vicentino come il barista: «Sono brava gente. Tranquilli, lavorano e si fanno gli affari loro». Il responso di un altro negoziante è un po’ più sfumato: «Questo è un quartiere multietnico, lo sanno anche i sassi. Se non ti piace la multietnicità, te ne vai altrove. Però tutto il mondo è paese».
Nel sito della comunità musulmana di Vicenza è riportato in home-page il testo del sermone di venerdì 20 novembre, sette giorni esatti dalla strage di Parigi. Il titolo è “La sacralità della vita e i valori della convivenza”, e si possono trovare frasi molto simili a quelle di un’omelia di un prete cattolico: “La Creatura Umana è opera di Allah, nessuno ha il diritto di distruggere questa opera […] Chi aggredisce la Vita aggredisce un Dono ed un’ Opera di Dio […] Queste azioni terroristiche [del 13 novembre] non sono legittimate da nessuna religione celeste, non possono essere accettate da nessuna coscienza viva, e sono contro qualsiasi comportamento virtuoso. Sono azioni deviate che vanno contro l’Umanità».
L’imam Aboulkheir Breigheche è un medico siriano, ed è presidente della comunità islamica del Trentino Alto Adige. Agli Stati Generali spiega: «Noi [musulmani] siamo italiani e l’Italia è il nostro paese. Non facciamo il gioco degli estremismi, non generalizziamo. Ma purtroppo le statistiche mettono gli italiani in una posizione poco invidiabile». Pure la sua famiglia, ammette, è stato oggetto di discriminazioni islamofobiche. «Le abbiamo subite, purtroppo, essendo più in vista, ma non abbiamo mai pubblicizzato la cosa, e non intendiamo farlo per il momento». Sia chiaro: anche se in Italia l’islamofobia è più accentuata che altrove, il problema è comune a tutta l’Europa. Uno studio pubblicato cinque anni fa dall’Agenzia per i diritti fondamentali della UE (FRA) ha documentato che i giovani musulmani in Francia e Spagna sono oggetto di molte più discriminazioni dei loro coetanei di un’altra fede. Anche nel Regno Unito e nei Paesi Bassi la situazione è grave. A fine ottobre il Consiglio musulmano della Gran Bretagna ha espresso preoccupazione per i livelli di islamofobia nel paese; in un anno, nella sola città di Londra, le aggressioni anti-musulmane sono aumentate del 70 per cento.
Uno dei tasti dolentissimi, in Italia ma non solo, è l’apertura di nuove moschee. Per Breigheche «i luoghi di culto sono indispensabili per ogni comunità. Come le scuole, le fabbriche, gli ospedali… in Italia manca un’intesa tra lo Stato e la comunità musulmana malgrado sia, dal punto di vista numerico, la seconda comunità religiosa, contando quasi due milioni di persone. Non si accettano le giustificazioni che ritardano quest’accordo, perché non sono costituzionali e sono dettate da motivi di politica internazionale, mentre noi siamo cittadini italiani o regolari residenti». È cruciale, secondo l’imam, che «i piani regolatori comprendano la presenza di luoghi di culto per dare possibilità ai musulmani di costruire i loro luoghi di culto al pari di tutte le altre comunità religiose. Altrimenti è una discriminazione, no?».
In effetti impedire la costruzione di una moschea, o di una chiesa o di una sinagoga, senza fondati motivi di pubblica sicurezza, rimanda ad epoche buie dell’Europa. Come osserva Sciortino, «partirei dal fatto che uno Stato liberale dovrebbe consentire a tutti di praticare la propria religione nel rispetto delle leggi. Molti dei dibattiti sulle moschee in Europa sarebbero del tutto incomprensibili negli Usa, dove nessuno si sognerebbe di vietare la costruzione di luoghi di culto, di qualunque confessione siano. Invocare la sicurezza per impedire la costruzione di moschee è contraddittorio: la libertà di religione è uno dei grandi, forse il più grande, valore dell’Occidente».
«Quando si violano i propri principi, non è mai un bello spettacolo – conclude Sciortino –. Ed è anche controproducente: luoghi di culto organizzati e riconosciuti possono essere controllati molto meglio, intervenendo se è il caso quando si violano le leggi di quanto non si possa fare nelle attuali condizioni di totale marginalizzazione».
L’articolo 19 della nostra Costituzione in fondo lo dice chiaramente: «Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume».
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[*] Ha collaborato Valentina Saini
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