Ambiente
Quel mostro da (non) dimenticare
Il Mostro, seppur malconcio, è ancora lì, adagiato ai bordi della laguna. Lo vedo ogni giorno dalle mie finestre. Alla sera, guardando il sole scendere sulle ciminiere, riconosco la sin troppo facile metafora visiva sulla fine della nostra storia industriale: tramonto su Marghera, tramonto del Novecento. Quella storia ormai prosegue altrove, in altri continenti, dove il bilancio tra lavoro, ricchezza e “rischio calcolato” ci riporta a come eravamo soltanto pochi decenni fa, pronti a sacrificare la vita di tanti lavoratori in cambio del benessere collettivo.
La storia di Porto Marghera e dei suoi morti è nota, meno noti sono i suoi protagonisti. Il processo per le morti da CVM si ricorda soprattutto come voce del curriculum di Felice Casson, mentre chi, dall’interno della fabbrica, intraprese una battaglia quasi solitaria per fermare quelle “morti sospette” e trovarne la causa nelle lavorazioni più pericolose, rimane sconosciuto ai più. Si sa poco di Gabriele Bortolozzo, l’operaio della Montedison che presentò l’esposto da cui il processo ebbe origine.
A ricordarlo, a vent’anni esatti dalla scomparsa, ci ha pensato un gruppo di creativi veneziani, autori di El Mostro, un bellissimo cortometraggio di animazione che sarà finalmente possibile vedere il prossimo 10 ottobre, in occasione del festival Cinemambiente di Torino. Il petrolchimico mi scorre davanti attraverso i finestrini delll’autobus per Mestre, dove incontro Cristiano Dorigo, scrittore e ideatore del progetto, ed Elisa Pajer, socia di Studio Liz, che l’ha reso possibile.
Cristiano aveva già scritto di Bortolozzo nei suoi racconti, mentre l’illustratore Lucio Schiavon – autore dei disegni, animati da Magoga – aveva già dedicato alla sua figura un libro, intitolato appunto El mostro. Uno sforzo creativo e produttivo notevole per delle piccole realtà locali, che risulta particolarmente interessante ed emblematico da vari punti di vista. «Siamo partiti dalla constatazione che la figura di Bortolozzo era sconosciuta ai più – io stessa non la conoscevo», racconta Elisa, «e l’idea era appunto di fare qualcosa per ripristinare la memoria collettiva, soprattutto nei più giovani».
«Del resto, anche molti quaranta-cinquantenni non lo conoscono, perché magari vengono da altre storie, anche se stiamo parlando di Mestre e non di Milano». La scelta dell’animazione è stata quasi ovvia, vista la possibilità di proseguire il lavoro di Schiavon e di raggiungere una platea la più ampia possibile. «Di documentari che parlino di Bortolozzo ne esistono comunque già, ad esempio Inganno letale di Paolo Bonaldi, non volevamo un doppione inutile».
El mostro non è un atto d’accusa, né in generale un’opera a tesi. L’intento non è quello di rinfocolare una polemica, ma di ricordare una storia, nel modo più semplice e universale, per immagini, lasciando allo spettatore il giudizio e soprattutto la curiosità di saperne di più. Tutto si gioca sulle allegorie e sui simboli – da Davide e Golia a Giona nella balena – che in fase di preproduzione sono stati studiati a lungo, senza dimenticare che al centro della vicenda «C’è una città con accanto una fabbrica. Chiunque, da Casale Monferrato a Taranto, può riconoscersi immediatamente». L’unico messaggio dichiarato è che un singolo individuo può contribuire a cambiare le cose, anche quando lotta contro forze molto più grandi di lui.
Elisa, da producer di Studio Liz, ha le idee piuttosto chiare sul fatto che nella locuzione “impresa culturale”, il termine impresa non possa essere secondario. «Ho subito detto agli altri: o lavoriamo gratis per due anni o proviamo col crowdfunding, partendo da cinquemila euro…». Una raccolta vista anche come sondaggio del potenziale pubblico: «e se non riusciamo a tirare su cinquemila euro nemmeno in città, lasciamo perdere». Il crowdfunding è andato bene, ma la sopresa più grande è arrivata da uno sponsor inaspettato, 3A, studio legale specializzato nei risarcimenti da danno ambientale, che ha contattato Studio Liz donando i diecimila euro che hanno consentito di coprire interamente almeno le spese vive e portare a termine la produzione.
Ai problemi della distribuzione di un prodotto così specifico come un cortometraggio animato, che potrebbe naturalmente finire in rete domattina, si è aggiunta purtroppo la delusione data dal non essere riusciti a mostrarlo al pubblico veneziano nel ventennale della morte di Bortolozzo, che è caduto il 12 settembre scorso, appena concluso il festival del cinema. Il corto è stato in effetti proposto ai selezionatori di Venezia 72, che l’hanno però rifiutato: il genere e il formato sarebbero stati, pare, poco in linea con la manifestazione.
Il disinteresse del festival lascia un po’ di amaro in bocca ai creatori di El Mostro, ma non quanto quello delle istituzioni cittadine e dei soggetti politici di qualunque tendenza, dal Comune alla sinistra sindacale, passando per i Verdi. Nessuno di loro ha voluto ricordare pubblicamente Bortolozzo. La concomitanza delle elezioni e la traumatica fine del governo del centrosinistra in città possono spiegare solo in parte questo silenzio. Con Cristiano ed Elisa proviamo ad individuarne le ragioni più profonde, strettamente legate al luogo di questa vicenda.
Da indagare è la posizione del Comune e soprattutto del nostro controverso Sindaco, uomo d’impresa e certamente non di sinistra, le cui radici familiari portano però dritto nel cuore della città-fabbrica. Un altro figlio di quel progresso industriale, “figlio dottore” del poeta operaio comunista Ferruccio, lavoratore del petrolchimico e quasi coetaneo di Bortolozzo. Brugnaro è stato votato soprattutto in terraferma e non è detto che i suoi elettori abbiano più molta voglia di ricordare da dove vengono. La città di terraferma nasce infatti attorno e per Porto Marghera, lì è la sua origine, in quello che oggi è il grande buco della deindustrializzazione, che forse la maggioranza vuole rimuovere, dimenticando quanto danno portino le rimozioni (e in attesa che venga terminato l’M9, sproporzionato progetto di “museo del Novecento” in costruzione a Mestre).
E la Sinistra veneziana? «Le questioni relative alla protezione della salute all’interno del Petrolchimico sono da anni gestite in modo contraddittorio e spesso confuso, perché con troppa disinvoltura ed in troppe occasioni le parti sociali e gli stessi enti pubblici hanno accettato che la salute dei lavoratori potesse essere oggetto di trattativa politica e sindacale». Così si esprimeva, nel 1982, Corrado Clini, allora medico del lavoro proprio a Marghera.
In questa dichiarazione è contenuta una delle ragioni per cui anche agli eredi di PCI e PSI e al Sindacato il ricordo di Bortolozzo risulta scomodo: di fatto essi lo osteggiarono come e più dell’azienda stessa, per motivi che non è difficile intuire, legati alla straordinaria forza elettorale di quella che allora si chiamava classe operaia. In quanto agli ambientalisti e agli eredi dell’operaismo veneto (storie spesso sovrapponibili, fuori e dentro la fabbrica, da Gianfranco Bettin ad Augusto Finzi) il loro è il silenzio imbarazzato di chi ha partecipato al potere cittadino negli ultimi vent’anni costruendo sul mai avvenuto recupero di Porto Marghera la propria rendita politica.
Marghera sogno futurista, luogo di progresso e di sfruttamento, di lotte e di sconfitte operaie, di riscatto dalla miseria e di morte, cuore pulsante dell’industra nazionale e wasteland da bonificare. Dei più di quarantamila addetti che il petrolchimico aveva agli inizi degli anni ’70, quando Bortolozzo iniziò la sua battaglia, ne rimangono oggi forse duemila. Nessuno di loro si occupa più della produzione del PVC, resa nel frattempo sicura, ma non più redditizia in questo emisfero. Nel dicembre scorso, la vicenda della Vinyls si è conclusa definitivamente con gli ultimi operai in mobilità. Ecco il paradosso finale: non sono stati i giudici a far chiudere quelle fabbriche, ma la globalizzazione. Altri Bortolozzo, in Cina o in India, ricominceranno da zero la loro lotta.
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