Come si misura il merito?
Sappiamo che non ci sono più le mezze stagioni, che le bugie hanno le gambe corte, che le donne al volante sono un pericolo costante e che l’Italia non è il Paese della meritocrazia. Quello che si sa meno invece è: su cosa poggiano queste convinzioni?
Così il Forum della Meritocrazia, associazione di professionisti nata a Milano nel 2011, si è presa la briga di dare un fondamento scientifico a uno (e più importante) dei luoghi comuni di cui si diceva in precedenza. A quale è facile rispondere, vista la “ragione sociale” dell’associazione che fa della diffusione della cultura del merito la propria mission.
È nato così il “Meritometro”, un indicatore quantitativo che misura il livello di meritocrazia del nostro Paese confrontandolo con altre 12 realtà nazionali. E diciamolo subito: per l’Italia è una vera e propria Caporetto.
I pilastri del Merito – L’indicatore si basa sull’esame dei 7 pilasti ritenuti più idonei a generare e sostenere un contesto favorevole al merito. Libertà, pari opportunità, qualità del sistema educativo, attrattività per i talenti, regole, trasparenza e mobilità sociale, sono stati così analizzati partendo dalle misurazioni quantitative fornite dalle statistiche di autorevoli fonti istituzionali. E stando ai dati elaborati dal Forum, e da un’équipe di esperti dell’Università Cattolica di Milano, all’Italia spetta il cucchiaio di legno. Il nostro, infatti, è il più basso livello di meritocrazia fra i Paesi considerati nella ricerca (Austria, Danimarca, Germania, Gran Bretagna, Paesi Bassi, Finlandia, Francia, Norvegia, Polonia, Spagna, Svezia).
I risultati – A livello generale nel vecchio continente, neanche a dirlo, i più meritocratici sono i Paesi scandinavi a cui spetta tutto il podio, più il quarto posto. Seguono Paesi Bassi, Germania, Gran Bretagna, Austria e Francia. L’Italia totalizza un punteggio (23) pari a meno della metà della medaglia d’oro (Finlandia, 68), ma anche inferiore di oltre dieci punti alla Polonia (39) e alla Spagna (35).
Non va meglio l’analisi per singoli pilastri. Siamo infatti ultimi nelle classifiche parziali, con la sola eccezione di quello relativo all’attrattività dei talenti, dove l’Italia si piazza in penultima posizione.
Nicolò Boggian, Direttore Generale del Forum della Meritocrazia, guarda già avanti. “Speriamo di avere dei dati più positivi dalle serie storiche e dai confronti extra UE – commenta. Conforta una maggiore attenzione nelle nomine pubbliche, anche se continua ad esserci poco ricambio generazionale. Dal punto di vista delle scelte di politica economica e sociale non ci sono invece ancora molti cambiamenti. La spesa pubblica resta alta e poco produttiva. Si concentra sulla sanità, sulle infrastrutture, sulle pensioni, sull’apparato burocratico, sul personale. Sebbene questi impieghi garantiscano stabilità e tenuta sociale, non producono sviluppo e spesso non sono nemmeno sinonimo di equità. In queste condizioni la meritocrazia fatica a crescere. Diverso sarebbe se si spostassero risorse sulla ricerca, sui servizi all’infanzia e alla persona e sulla detassazione del mercato del lavoro”.
Anche se il Meritometro dice “febbre da cavallo”, una cosa è certa (oltre che auspicabile): da quuesto punto in poi si può solo migliorare.
Un commento
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“Fondamento scientifico” è una parola grossa, molto grossa.