Commercio
eBaynomics. Per vincere non bisogna giocare
In prossimità di Natale si parla sempre di quante saranno le vendite on line e del ruolo dell’ecommerce. I principali player hanno importato in Italia dagli USA le promozioni del Black Friday e del cyber Monday, ovvero il venerdì e il lunedì successivi alla festa del ringraziamento in cui gli Americani concentrano gli acquisti di Natale e in cui i retailer lottano senza esclusioni di colpi per conquistare la maggiore quota di acquisti dei clienti. Per il commercio, ma non solo, l’evento più importante del 2014 è stato la quotazione di Alibaba, un network cinese di marketplace dove aziende e persone comprano e vendono. A poche settimane dal suo esordio in borsa, ha raggiunto una capitalizzazione di $ 275 mld. Nel giorno di maggiori acquisti in Cina, il single day, il giorno di festa in cui si fanno i regali ai single, l’11 Novembre scorso, Alibaba ha visto transitare dai propri siti vendite per $ 9,3 mld. Eppure Alibaba fattura poco, pochissimo nel 2013 appena $ 7,5 mld, meno delle vendite transitate dal proprio sito in un giorno. Dov’è il malinteso? E’ nel fatto che Alibaba non compra ciò che vende, permette a domanda e offerta di incontrarsi e negoziare, in cambio chiede una provvigione sulle vendite. Il fatturato di Alibaba non è un indicatore affidabile del suo ruolo nel commercio elettronico, la sua capacità è meglio espressa dal valore delle merci vendute attraverso le sue piattaforme, ovvero il Gross Merchandise Value (GMV). Un termine noto a chi frequenta i documenti concernenti eBay. Alibaba non possiede ciò che vende, vende anche merce usata, non ha una logistica propria. Non vende all’asta ma ormai anche su eBay le vendite all’asta sono marginali, costituiscono meno di un quarto degli annunci. Perché Alibaba funziona come eBay, entrambi sono dei marketplace. Un passo indietro Nel 2008. In Italia. I manager del retailing sviluppano rigorosi piani di marketing, predispongono rigide griglie assortimentali e poi negoziano, per esempio, con i manager di Motorola le condizioni di acquisto, gli assortimenti, il livello di servizio logistico etc per poi conquistare un margine operativo di qualche punto. I manager dei principali e-tailer scimmiottano le logiche dei cugini fatti di mattoni e malta, solo i loro abiti sono più casual, i fatturati sono striminziti e il margine complessivo quasi negativo. I tre principali player dell’e-commerce sono: mediaworld, eprice, misterprice. E tutti insieme fatturano intorno ai € 130 mln. Nello stesso momento eBay, che non ha mai chiuso un esercizio in perdita, matura un margine operativo del 65% perché permette ad un adolescente di vendere all’asta un telefonino della stessa Motorola acquistato pochi mesi prima e al piccolo commerciante di vendere on line con pochissimo investimento. Siccome gli adolescenti e i commercianti sono tanti, il valore dell’elettronica di consumo che transita da eBay Italia è quasi il doppio di quei tre messi insieme: 250 mln €. Oggi. Motorola è sparita all’orizzonte ed è risorta come etichetta degli smartphone di Google ed i marketplace, che permettono a milioni di piccole aziende con fatturati risibili di vendere on line impressionante, dominano il mercato del commercio elettronico. Il GMV è la somma di quei fatturati e la misura del peso dei marketplace nel commercio elettronico. I marketplace I principali marketplace del mondo sono Alibaba, Amazon e eBay. Nel 2013 Il GMV di Amazon ha quasi doppiato quello di eBay, grazie al fatto che oltre il 60%, e il dato è in crescita, delle proprie vendite sono di terze parti che la usano come portale e talvolta come provider logistico. Amazon ha superato eBay perché è sempre meno un retailer, ancorché virtuale, e sempre più un marketplace. Ed imita eBay anche nel modo di determinare il prezzo di vendita.
Il marketplace non è l’unica forma commerciale che si sta affermando sul web, ma è quella che rappresenta la minaccia più immediata ai retailer, on e off line, e alle loro attività. I fattori del loro successo commerciale sono sostanzialmente tre. L’offerta caotica, un pulviscolo di piccoli commercianti e privati cittadini si tramuta in un’offerta commerciale più articolata e più dinamica di quella di qualunque moderno retailer, fisico o digitale che sia, con una struttura centrale rigida e costosa. L’altro fattore di successo è una piattaforma tecnologica affidabile, con una user experience d’eccellenza. Il terzo fattore è l’autorevolezza del marketplace che è all’fonte e frutto dei primi due Sono in molti a considerare a la Logistica e l’integrazione con la una rete fisica, in termini di multicanalità, altri due fattori di successo. Su questi io sono molto più cauto. E’ vero che Amazon ha fatto dell’eccellenza logistica un elemento distintivo e fondante. Tuttavia eBay ha prosperato lasciando che i propri clienti usassero corrieri e poste tradizionali. Alibaba ha scelto una via di mezzo, stipulando accordi con provider terzi. Insomma la logistica è e rimane un servizio che può essere acquistato sul mercato. Amazon in Italia, piuttosto che aprire dei modernissimi pickup point, ha stretto un accordo con Poste Italiane per utilizzare i pickup point più antichi della storia moderna: gli uffici postali. Insomma, la supply chain costituisce un vantaggio competitivo molto debole se non è inserito in una strategia forte. A proposito dei negozi fisici. Ogni volta che si sparge la voce che Google, Amazon o eBay hanno aperto un negozio, gli ultras dell’esperienza fisica dell’acquisto, tra cui sociologi, manager e varia umanità si esaltano. Di solito si tratta di esperienze molto limitate, il cui scopo è strettamente promozionale. Ovviamente non si può escludere che qualcuno inventi un nuovo Apple store. Nel frattempo, possiamo dire che è possibile che nella verticalizzarne della filiera alcuni dei leader del e-commerce si dotino di negozi qualche negozio fisico, ma non al punto da farne il perno della loro strategia. eBay, Amazon, Alibaba e altri forse avranno dei negozi ma saranno pochi e con funzioni diverse da quelle tradizionali, perché non sono retailer e non agiscono come tali. Per rendere l’idea, se Amazon fosse semplicemente un retailer e agisse di conseguenza, avrebbe comprato una catena di librerie e fondato o comprato una casa editrice, l’equivalente delle Private Label. Invece investe in logistica, ha inventato il Kindle e sempre più spesso aiuta a vendere i prodotti di altri commercianti. Se si vuole imitare Amazon, bisognerebbe imitarne soprattutto il modo di pensare e non solo gli esiti. Giocare o fare il banco? I marketplace sono un competitor non convenzionale dei retailer? Leggendo che i principali retailer dell’elettronica di consumo, monclick, Euronics, MarcoPolo, Mediashopping, hanno aperto un negozio su eBay sembrerebbe proprio di no. Vendere su eBay ha dei vantaggi: in termini di immagine, si appare come al passo con i tempi; in termini di canale di vendita, si sfrutta una piattaforma frequentata da individui che magari non visitano i siti di e-commerce tradizionale. Inoltre vendere tramite eBay permette di rimanere i titolari del fatturato finale. E se siete un manager del retail, che ha nel fatturato un totem, è rassicurante sapere che la vostra azienda apparirà in tutte le classifiche stilate da stimabilissimi enti di ricerca e note società di consulenza, mentre eBay sarà trattata in paragrafo a parte come l’eccentrico sito dove si vende roba usata all’asta. A me sembra che aprire un negozio su eBay è come giocare al casinò, dove il grande giocatore gioca allo stesso tavolo di tanti piccoli. E come sapete, è il casino che vince sempre. E oggi il gioco dell’e-commerce è in mano ai marketplace che si limitano a lasciar giocare gli altri. Chi si occupa di commercio deve fare una scelta strategica: competere con gli altri giocatori all’ombra dei marketplace oppure confrontarsi competer con i marketplace stessi. Insomma, deve decidere se vuole baloccarsi confrontando il proprio fatturato, la montagna di coloratissime monete di plastica che si ha davanti, con quelli degli altri oppure pensare a come diventare il distributore di quelle monete di plastica. Finché si ragiona in termini di fatturato, il marketplace viene visto come un provider neutrale, una casa da gioco dove confrontarsi con altri giocatori. Ma ragionare in termini di GMV permette di pensare in termini di servizio e liberarsi dai vincoli che il ragionare in termini di fatturato impone. Ragionare in termini di servizio significa esplicitare il valore aggiunto che ogni attività del retailer genera nel gestire le merci. Significa liberarsi dal fatto che per vendere un bene occorre negoziarne le condizioni di acquisto e poi inserirlo in assortimento coerente e definirne il prezzo. Significa interrogarsi. su quali bene comprare e proporre. Attività complesse, costose e sempre meno valorizzate dai clienti. Se ambite a fare il banco, dovete iniziare a ragionare in termini di GMV, perché è quello il valore che guarda chi gestisce il banco. Fateci caso, la capitalizzazione dei marketplace, indipendentemente dal modello di business, è per tutti e tre un valore intorno al GMV.
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