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Sisma 90. Diritto al rimborso e il decreto che non c’è: una vicenda senza fine
A seguito del sisma del 13 e 16 dicembre 1990, il Ministro per il coordinamento della protezione civile, con l’ordinanza n. 2057 del 21 dicembre 1990, ha previsto la sospensione degli adempimenti e dei versamenti tributari e contributivi, dal 13 dicembre 1990 al 30 giugno 1991, a favore dei soggetti residenti, da data anteriore al 13 dicembre 1990, nei comuni delle province di Catania, Ragusa e Siracusa, colpiti da tale evento calamitoso.
Successivamente, Il Legislatore (articolo 9, comma 17, della legge 27 dicembre 2002, n. 289, Finanziaria 2003) concedeva ai contribuenti colpiti dal terremoto di poter definire la propria posizione debitoria relativa al triennio 1990-1992, con il versamento, dell’intero ammontare dovuto per ciascun tributo a titolo di capitale, al netto dei versamenti già eseguiti a titolo di capitale ed interessi, diminuito al 10%.
A seguito dell’introduzione di tale disposizione, si instaurava un enorme contenzioso attivato da tutti quei contribuenti che, avendo pagato per intero le imposte, invocavano parità di trattamento rispetto a chi aveva potuto definire la posizione con il Fisco pagando solo il 10% e, conseguentemente, chiedevano il rimborso del 90% delle imposte pagate.
Con la sentenza n. 20641 del 27 giugno 2007, la Suprema Corte di Cassazione dava ragione a detti contribuenti, affermando che lo “sconto” del 90% previsto dalla legge a favore dei contribuenti della Sicilia colpiti dal terremoto del 1990, doveva applicarsi non solo a coloro che non avevano pagato i debiti del triennio 1990-1992, ma anche ai contribuenti che invece avevano corrisposto la totalità delle imposte, i quali, conseguentemente, avevano diritto al rimborso del 90%.
Per la Suprema Corte, infatti, il beneficio concesso dalla norma si poteva attuare concretamente secondo due simmetriche possibilità di definizione: in favore di chi aveva ancora dei debiti, pagando solo il 10% del dovuto; in favore di chi ha già pagato tutto, attraverso il rimborso del 90% di quanto versato allo stesso titolo.
Nonostante tale pronunciamento, l’Agenzia delle Entrate non riscontrava le successive istanze di rimborso e i contribuenti siciliani si vedevano quindi costretti ad adire l’autorità giudiziaria.
Le commissioni tributarie provinciali però nonostante l’intervenuto pronunciamento della Cassazione riconoscevano il diritto al rimborso a favore del contribuente a giorni alterni (tipico delle commissioni tributarie) e i giudizi proseguivano quindi oltre il primo grado di giudizio. Anche l’ente impositore del resto non si fermava mica dinanzi a un pronunciamento a suo sfavore. E così la mole di contenzioso cresceva a dismisura con tutte le conseguenze del caso (commissioni ingolfate, uffici dell’agenzia delle entrate ingolfati, etc).
Finalmente, con la legge di stabilità 2015 (art. 1 comma 665 della legge 23 dicembre 190/2014), grazie all’interesse di alcuni parlamentari siciliani (Zappulla e Berretta), si è tentato di mettere una parola fine a questa storia riconoscendo in via legislativa e – seppur parzialmente – il diritto al rimborso (sono stati esclusi i soggetti che svolgono attività di impresa per i quali l’applicazione dell’agevolazione è sospesa nelle more della verifica della compatibilità del beneficio con l’ordinamento dell’Unione europea e colori i quali non hanno presentato l’istanza di rimborso entro il 1° marzo 2010).
Tutto bene quel che finisce bene a questo punto verrebbe da dire.
Macché!
Nonostante siano trascorsi ben 6 mesi dall’entrata in vigore della legge di stabilità, manca il decreto del Ministro dell’economia e delle finanze che avrebbe dovuto stabilire i criteri di assegnazione dei fondi previsti.
Ho provato più volte a interpellare via twitter il Ministero ma nulla, non ho ricevuto risposte, nemmeno cenni a dire il vero.
Capisco sia un tema che fa poco audience ma per molti contribuenti siciliani quel rimborso è davvero importante e attendere 6 mesi per un decreto attuativo da quel governo che continua a innalzare al cielo lo slogan della celerità non credo sia accettabile.
Anche perché più il tempo passa, più i giudizi vanno avanti, più cresce l’incertezza e più si sprecano risorse pubbliche.
Insomma, una vicenda senza fine che mi sembrava giusto raccontare.
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