Governo
Lettera aperta al Presidente: rendiamo costruttivo il ricordo del 24 maggio?
Egregio Signor Presidente della Repubblica Sergio Mattarella,
domani ricorre il centenario dell’ingresso dell’Italia nella prima guerra mondiale.
Si tratta di un anniversario delicato di fronte a cui non è facile prendere posizione.
Proprio per questo ho l’impressione che non se ne stia parlando molto, le iniziative istituzionali paiono titubanti, imbarazzate o (al tempo stesso) imbarazzanti: la richiesta del premier di esporre il tricolore è passata alle cronache soprattutto per il rifiuto del governatore di Bolzano.
Si segnalano poi, tra il deprecabile e il grottesco, le iniziative dell’oscena coppia Meloni – Salvini che cavalcando un presunto patriottismo esaltano anacronisticamente le battaglie lungo il Piave come pretesto per ribadire la propria xenofobia.
I giornali di questi giorni sono piuttosto avari di ricostruzioni o dibattiti storici sul fatto in sè, sul suo valore, sulla sua opportunità, sulle conseguenze e sulle alternative possibili, che pure ci sarebbero state.
Bene, nei giorni scorsi mi è venuta un’idea che mi è sembrata bellissima: perché rinchiuderci nell’alternativa tra l’esaltazione inopportuna e l’indifferenza che nasconde un malcelato imbarazzo?
Perché non provare invece a dire le cose come stanno, a dare un giudizio politico netto e sincero e quindi trarne le conseguenze dovute?
Storici autorevoli di diverse estrazioni culturali e ideologiche, numerosissimi studi storiografici su questi tristi eventi offrono ormai dati e valutazioni più che sufficienti per arrivare a dare un simile giudizio.
L’ingresso dell’Italia in guerra, cento anni fa, fu un atto scellerato, una decisione che comportò una immane strage di giovani italiani, morti, con ogni verosimiglianza, inutilmente. Come noto, fu una guerra di aggressione sostanzialmente gratuita, se non addirittura fedifraga: altro che difesa dei confini! Come dovrebbe essere altrettanto noto, l’entrata in guerra fu decisa con un sostanziale raggiro delle regole (quasi) democratiche del tempo, con una vera e propria truffa ordita contro il popolo italiano, che non solo fu trascinato in guerra a seguito di accordi segreti non approvati dal parlamento, ma che fu anche sottoposto ad una furiosa campagna propagandistica perché avvallasse decisioni ormai prese alle sue spalle. Tra i protagonisti di quello sciagurato maggio che un’odiosa, ipocrita propaganda definì “radioso” vi erano Mussolini e D’Annunzio.
Tante altre cose si potrebbero aggiungere: quando l’Italia entrò in guerra c’erano ormai sufficienti motivi per prevedere che essa sarebbe durata a lungo, come sostenne Giolitti, che pure non si prese il rischio di far cadere il governo; la colpa e la miopia dei regnanti e governanti nostrani fu quindi più grave di quella dei colleghi europei. La situazione che si venne a creare nel dopoguerra non solo deluse le vane aspettative degli italiani, ma fu decisamente peggiore di quella degli anni precedenti e portò il paese sull’orlo di una guerra civile ed infine all’istaurarsi della dittatura fascista. Altre riflessioni meriterebbe anche il comportamento criminale dei nostri generali, su tutti Cadorna che per via della sua incompetenza e insensibilità causò uno spaventoso numero di vittime evitabili.
Insomma, per l’Italia più ancora che per altri la guerra si rivelò un’inutile strage come disse papa Benedetto XV, o una grande illusione come previde il pacifista inglese Norman Angell.
Ma come? E Trento e Trieste? Non fu questa la nobile ragione del sacrificio dei nostri valorosi soldati?
È ormai diffusa tra gli storici l’ipotesi che gli Asburgo avrebbero concesso i territori “irredenti” all’Italia anche in cambio della neutralità. Ad ogni modo, il problema non si pone neppure: come tutti sanno alla fine della guerra l’impero austro-ungarico si smembrò e cessò di esistere, pertanto trentini, friulani e triestini sarebbero comunque diventati italiani.
Che dire quindi? Che fare? La proposta, Presidente, mi sembra a questo punto estremamente logica: lo Stato italiano chieda scusa al popolo. Ammetta l’errore, denunci l’inganno, e chieda perdono.
Sebbene siamo lontani, sebbene queste scelte siano state fatte dal Regno e non dalla Repubblica, Vittorio Emanuele III era, in un certo senso, in quanto capo di Stato, un suo predecessore.
Credo che Lei abbia la moralità e la dignità per farsi carico delle indecenze di questo pusillanime sovrano, suo indegno predecessore.
La proposta, dicevo, mi sembra bellissima: il 24 maggio potrebbe diventare la data della riconciliazione. In un contesto di antipolitica e di disamore per le istituzioni, questo gesto potrebbe iniziare un riavvicinamento tre paese legale e paese reale.
Non vorrei essere ingenuo, ma un’ammissione ufficiale di colpe così grandi ed una conseguente, umile e addolorata richiesta di perdono potrebbero davvero smuovere qualcosa di importante nella mentalità degli italiani, nella nostra percezione dello Stato.
E potrebbe essere solo l’inizio. D’altronde, Presidente, c’è solo l’imbarazzo della scelta a voler poi continuare a chiedere scusa delle colpe, se non dei crimini, che regnanti e governanti hanno commesso ai danni del popolo! Un po’ per volta, quando si ritiene che i tempi sono maturi, si potrebbe chiedere scusa per gli eccidi di dissidenti meridionali definiti briganti, per aver preso a cannonate dei manifestanti pacifici a Milano, per aver affidato l’incarico di governo al capo dei teppisti che infestavano Roma, per il non intervento del capo di Stato dopo l’omicidio Matteotti, eccetera, eccetera, eccetera, fino ad arrivare, magari tra qualche decennio, a raccontare cosa successe davvero negli anni di piombo, come venne gestito il rapporto con la mafia negli anni ’80 e ’90… senza fretta, per carità, ma sarebbe bellissimo. Perché ancora più brutto di commettere malefatte è fare finta di niente per più di cento anni.
Questo gesto, Presidente, avrebbe un grandissimo valore educativo: se il male è denunciato come tale, significa che, nonostante gli errori e le disonestà, persiste il desiderio di costruire il bene comune. Se il male è occultato, dissimulato, minimizzato, allora significa che lo scopo dei poteri è solo comandare, se non addirittura ingannare e sfruttare il popolo.
Lo so, il mio è un discorso ingenuo, quasi fanciullesco. Non è forse ancora più ingenuo pensare che un popolo trattato senza neppure la dignità di ricevere scuse dovute possa amare il proprio paese, possa rimboccarsi le maniche per costruire un futuro alla propria nazione, invece che tentare, nel proprio piccolo, di arrabattarsi, di fregare, di approfittare meschinamente, d’imbrogliare come i potenti gl’insegnano?
Spero di avere quantomeno sollevato in qualcuno qualche motivo di riflessione,
Cordiali saluti,
Matteo Saini.
Nota bibliografica:
la storiografia sull’inizio della prima guerra mondiale e sull’intervento italiano è sterminata. Cito qualche testo che mi ricordo più di altri:
– William Mulligan, le origini della prima guerra mondiale, Salerno Editrice.
– C. Clark, I sonnambuli. Come l’Europa arrivò alla grande guerra, Laterza.
– G. E. Rusconi, L’azzardo del 1915. Come l’Italia decide la sua guerra, il Mulino.
– Martin Gilbert, La grande storia della prima guerra mondiale, Oscar Mondadori
– Francois Fejto, Requiem per un impero defunto, Oscar Mondadori
– Elio Gioanola, La grande guerra di un povero contadino, Itaca.
– G. Giolitti, Memorie, Garzanti.
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