Governo

Zedda, Pisapia, Doria: imparate dalla Liguria

9 Dicembre 2015

Ho letto poco fa l’appello di Pisapia, Zedda e Doria in riferimento alla richiesta di unità alle prossime elezioni amministrative. (1)

Da elettore di Sinistra, rispetto il pensiero ma non condivido. Rigetto.

Rigetto perché percorrere un cammino con questo partito della nazione è impraticabile, contro natura. Lo è poichè in questo passaggio storico siamo impegnati in una battaglia di cultura politica contro il renzismo che da un lato liscia il pelo al populismo e al primitivismo e dall’altro accetta tutte le compatibilità dei tecnocrati europei.

Non appoggiare e non allearsi con il partito della nazione significa, quindi, stare dentro quel vincolo di popolo che ridà forza e credibilità. Lontano da chi costruisce, ad esempio, soggetti a tavolino, senza anima ma con tutte le virgole al posto giusto. Dove le esperienze di Alfano, Verdini, Formigoni e tanti altri si mischiano e sostituiscono la storia di valori di una sinistra (a PD) ormai persa.

Provare ad essere alternativa obbliga finalmente ad alzare il livello del dibattito politico e culturale uscendo da un pesante clima di sfiducia, dalla stupidità delle risse televisive e da quel micidiale senso di rassegnazione secondo cui la politica è solo un gioco di potere per cui le idee non servono a niente.

Il partito della nazione non è una mia espressione. Non desidero essere accanto a un partito pigliatutto, in cui destra e sinistra si confondono. Parlo di indirizzo culturale e politico, non di un tipo di schieramento, che superi la contrapposizione tra progresso e reazione.

Non essere con il partito della nazione significa rispettare la propria natura. Partito vuol dire parte, scelta. Ad esempio il disegno dell’Ulivo era proprio quello di riunire i diversi riformismi, quello cattolico, quello socialista, quello liberale.

Sarò un sognatore (e di questo mi dichiaro colpevole) ma penso che quello che si dovrà fare è creare un popolo e dargli un cultura. Non fornire la sola pretesa di governare il paese in un modo piuttosto che in un altro, ma far traspirare un’idea diversa di esistenza, un sogno per un mondo da cambiare. Non un’idea frutto del partito, ma il partito frutto di un’idea. Creare una cultura. Perché quando c’è un grande sogno da vivere tutti insieme, quando questo sogno ci tocca intimamente, ci eleva, ci fa sperare, gli doniamo fino all’ultimo frammento di cuore.

E quell’idea, quella cultura, non hanno donato all’Italia solo politici o statisti, ma anche scrittori, poeti, artisti, musicisti, cantanti, registi e uomini dediti alle passioni più disparate. Quel sogno poi è stato affossato dalla sua stessa origine. Ma quel modello di “cultura politica e politica culturale” può essere riscoperto, con tutti gli attributi che la modernità esige, come scrive Gianluca Bogino. Insomma una nuova anima della sinistra italiana. Non solo aspirazioni di governo, ma identità ideologica dell’essere.

E in questa nostra Italia esiste ancora un patrimonio di sogni, speranze ed ideali che l’assetto politico della Seconda Repubblica ha lasciato in cantina. Esso si sfoga adesso nelle proteste dei ragazzi che occupano le scuole, nelle associazioni culturali, nell’ambientalismo, nelle miriadi di movimenti. È disorganizzato, sparpagliato, senza una guida, senza un canale per irrompere in maniera determinante nella società.

La cultura è tacita, gode di se stessa e non si preoccupa della politica. (2)

È giunto il momento di organizzare e coniugare l’opinione progressista in un popolo. Affinché esso sia non solo concorrente dell’attuale scena politica, ma inesauribile coefficiente di futuro per le generazioni che verranno.

La fiera non è ancora finita, anzi, vedo ancora moltissimi compratori, venditori e soprattutto banditori nella fiera. Credo che Renzi abbia colto un obiettivo: essere l’uomo più popolare del Paese, andando un po’ dappertutto a raccontare un qualcosa di cui, fino ad oggi, nessuno lo ha chiamato a rendicontare. Per cui la fiera continua, ma speriamo che i compratori siano più esigenti e chiedano, almeno, di vedere i cammelli.

Concludo e dico.

Vincere per fare cosa? Questa è la domanda. Non vincere per vincere. Di questo vorrei sentir parlare.
Sono stufo, stufo di questa politica che ogni giorno ci ricorda di aver perso le idee e le parole. Non ho bisogno del vostro appello cari Doria, Pisapia e Zedda: abbiamo bisogno di fatti.

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