Governo
Riforma. Il Presidente del Consiglio sarà l’asso pigliatutto del “partito unico”
Ci dicono: “Si garantisce al governo più stabilità e alle opposizioni poteri di controllo”. Verifichiamo se è vero. Intanto una cosa è certa. Il Presidente del Consiglio diventerà l’ “asso pigliatutto” del Partito Unico.
Stabile? Superstabile! Stabilissimo! Con questa riforma il governo sarà granitico ed inoppugnabile. Le opposizioni non potranno fare altro che soccombere, altro che esercitare poteri di controllo! La chiave di lettura sta nel combinato disposto riforma-legge elettorale, più precisamente nella nuova figura del Presidente del Consiglio che è il “capo” del partito che vince le elezioni. Non era mai successo prima, ma l’Italicum lo prevede all’art. 14bis che recita al comma 1: “Contestualmente al deposito del contrassegno di cui all’articolo 14, i partiti o i gruppi politici organizzati che si candidano a governare depositano il programma elettorale nel quale dichiarano il nome e cognome della persona da loro indicata come capo della forza politica”. Ovvero, appena si conosce il nome del partito vincitore, si conosce subito anche il nome del nuovo presidente del Consiglio che è il “capo” di quel partito. In questo modo, si attacca la figura del Presidente della Repubblica svuotandola del suo ruolo costituzionale. Attenzione! Questo, non è scritto nero su bianco ma lo si desume dai fatti, dalla nuova modalità con cui verrà nominato il presidente del Consiglio. Si tratta di un vero e proprio colpo di mano alla Costituzione, fatto in sordina.
Oggi. L’art.92 della Costituzione vigente recita: “Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i ministri”. Ma prima di assumere le funzioni, il Presidente del Consiglio e i Ministri devono prestare giuramento sulla Costituzione ed ottenere la fiducia dei due rami del Parlamento come prescritto dagli articoli 93 e 94 della Costituzione.
L’ha fatto anche Renzi, il 22 febbraio 2014, quando giurò sulla Costituzione pronunciando la formula di rito: «Giuro di essere fedele alla Repubblica, di osservarne lealmente la Costituzione e le leggi e di esercitare le mie funzioni nell’interesse esclusivo della Nazione». Poi se ne è subito dimenticato ed ha deciso unilateralmente di cambiare l’Italia per renderla un “paese moderno, più efficiente e governabile”. “Perché lo vogliono gli italiani” ama aggiungere.
Domani (se vince il SI’) l’art. 92 rimane formalmente uguale ma la funzione del Presidente della Repubblica di nominare il Presidente del Consiglio sarà solo uno show mediatico. “Restano ferme le prerogative spettanti al Presidente della Repubblica previste dall’articolo 92, secondo comma, della Costituzione” continua l’art. 14bis dell’Italicum. In parole povere, il Presidente della Repubblica dovrà solo confermare il capo della forza politica che ha vinto il premio di maggioranza alla Camera dei deputati. E sarà solo la Camera dei deputati, che sarà in mano al partito che ha vinto il premio di maggioranza, a dare la fiducia al governo (art. 94) “capeggiato” dal capo di quel partito vincente…Vi sta girando la testa? Qualcosa non torna o sbaglio? Qui non è il gatto che si morde la cosa, qui è applicata la legge del “tutto è mio e lo gestisco io”.
Invece, nella prassi vigente dal ’48 ad oggi, la formazione del Governo è di solito avvenuta attraverso un complesso ed articolato processo, distinto in una prima fase, delle consultazioni (fase preparatoria), nella fase intermedia, dell’incarico, fino alla fase finale, della nomina. E mentre nella Costituzione del ’48, prima di assumere le funzioni, il Presidente del Consiglio e i Ministri dovevano prestare giuramento ed ottenere la fiducia dei due rami del Parlamento (artt. 93 e 94 Cost.), con la riforma il governo deve avere la fiducia della sola Camera dei Deputati. Ovvero saranno sempre gli stessi a ciurlare nel manico. Tanto possono contare sul premio di maggioranza che gli garantisce una squadra di 340 deputati “di partito” su un totale di 630 deputati e su ministri che saranno nominati sì dal Presidente della Repubblica ma su proposta del Presidente del Consiglio (art. 92, secondo comma) ovvero del Capo del loro partito. Non fatevi fregare. E’ questa la stabilità che vogliono. Avere in mano l’asso pigliatutto. Il resto non conta. La riforma è stata scritta sull’impianto della nuova legge elettorale che, in pratica, garantisce al partito vincente (e non è detto che sia il PD) potere assoluto alla Camera dei deputati. Sarà, infatti, la Camera, e solo la Camera, a maggioranza assoluta (ovvero 316 deputati ma il partito vincente ne ha già 340) a deliberare lo stato di guerra, approvare le leggi di bilancio e le leggi che recepiscono i trattati internazionali, a concedere l’amnistia e l’indulto.
E le opposizioni? Staranno a guardare, altro che potere di controllo! Vediamo come è stato costruito il diabolico meccanismo. Articolo 64. Comma 1 non riformato. “Ciascuna Camera adotta il proprio regolamento a maggioranza assoluta dei suoi componenti”. Ricordiamo che alla Camera la maggioranza assoluta è di 316 ed appartiene al partito vincente. Al Senato la maggioranza assoluta è di 49 tra senatori-consiglieri regionali e senatori-sindaci. E finché si tratta di regolamento, ci si può stare. La trappola sta nel comma 2 aggiunto dalla riforma che recita: frase 1) “I regolamenti delle Camere garantiscono i diritti delle minoranze parlamentari”. Ma di quali diritti si tratta? Del diritto di prendere la parola, del numero di interrogazioni da fare? Ora, questa riforma ha creato una nuova categoria, le “minoranze parlamentari”. Non sono quindi tutti uguali i parlamentari che siedono alla Camera ed al Senato? Frase 2) “Il regolamento della Camera dei deputati disciplina lo statuto delle opposizioni”. Quindi, le opposizioni verranno controllate dalla Camera che ne disciplina lo statuto. Sarà, quindi, la Camera, a maggioranza assoluta, a regolamentare diritti e doveri delle opposizioni. Ma non ci hanno detto che saranno le opposizioni ad esercitare poteri di controllo?
Ai posteri l’ardua sentenza!
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