Governo

Dopo il 4 Dicembre

6 Dicembre 2016

Questa campagna lunga e appassionata ha avuto un importante risultato: ha riportato al voto tante persone. Qualcosa mi dice che una buona parte di quegli elettori che sono tornati a votare sono il popolo di sinistra, quello che in questi anni si era perso, ma anche tanti elettori di una destra moderata e democratica che in questi anni sono stati delusi dall’evoluzione dei loro riferimenti. Per quanto riguarda la sinistra, ha ragione Bersani: l’ANPI, la minoranza del PD, quel che resta delle piccole formazioni di sinistra, ha dato ampia dimostrazione che il NO non era solo appannaggio della Lega e del Movimento 5 Stelle.
Quelli come me, con in tasca solo la tessera dell’ANPI e di nessun altro partito, si sono battuti per difendere la sovranità popolare, la forma di repubblica parlamentare e la democrazia rappresentativa: i pilastri di questa nostra relativamente giovane, ma forte, democrazia.
Adesso però dobbiamo state attenti a non lasciare che la delusione, il trasformismo, la voglia di “cogliere il momento” da parte di alcune forze politiche vadano a rovinare quanto abbiamo ottenuto.
In questi anni di seconda repubblica abbiamo assistito al tentativo di semplificare un sistema politico che semplice non è, e non può essere.

Ridurre l’azione politica a due blocchi contrapposti ed antagonisti, ha avuto due effetti deleteri.
In primis ha negato la rappresentanza ad idee che magari possono essere minoritarie, ma che comunque hanno ampiamente dimostrato nella storia di questo Paese di saper contribuire alla sua modernizzazione (penso agli anni del centro sinistra programmatico o, più tardi, al decennio 1969-1979).

Questa negazione delle differenze si è verificata non solo tra i diversi partiti, ma addirittura all’interno dello stesso PD. D’altra parte veniva teorizzato dagli stessi sostenitori del bipolarismo (ricordo Veltroni) che lo scontro politico doveva essere ricondotto all’interno dei due schieramenti, che, una volta regolati i conti al loro interno, si sarebbero dovuti contendere “la guida del paese” in elezioni sostanzialmente maggioritarie. Questo forse avrebbe avuto un senso se i partiti si fossero dotati di uno statuto democratico riconosciuto e normato, ma così non è stato. E in questo sta la debolezza dell’articolo 49 della Costituzione. E questo ci spiega anche perché un partito come il PD sia stato letteralmente scalato, neanche fosse una società per azioni, da un personaggio che poco o nulla ha a che vedere con la sua storia.
In secondo luogo la seconda repubblica ha cancellato l’idea di politica come confronto democratico, arte del tessere accordi e costruire maggioranze, cercare consensi radicati nella realtà del Paese e non costruiti artificiosamente sulla base di leggi elettorali. Sono cresciute, in questi anni, generazioni di trentenni e quarantenni non abituati al confronto, che concepiscono la politica come una lotta per la supremazia, per l’affermazione di una idea sull’altra. Questa idea della politica mi è sicuramente estranea, perché è quella che esclude le forze del cambiamento dal gioco democratico, riduce progressivamente il gioco politico ad uno scontro di lobbies contrapposte e, in sostanza, conserva l’esistente. Ed inoltre quest’idea bipolare dimentica una cosa fondamentale: il tanto criticato “compromesso” democratico, storicamente si è rivelato il modo migliore per dare stabilità agli stati e consentire lunghi periodi di crescita economica e sociale. Stabilità, certamente, anche se magari i governi duravano poco. La storia d’Italia nel secondo dopoguerra dimostra proprio questo.

La tanto decantata governabilità che i sistemi bipolari della seconda repubblica dovevano garantire si è invece dimostrata inesistente: vent’anni di guerra strisciante fra italiani sono qui a dimostrarlo.
Credo sia giunto il momento per avviare una serie di riflessione sugli errori che si sono compiuti in questi 20 anni, a cominciare dall’idea di perseguire una egemonia non fondata su un reale radicamento fra la gente ma solo sull’ottenimento di una vittoria elettorale.

Gli italiani in questi anni hanno sofferto proprio questo: non riconoscersi in un partito depositario della propria identità, annacquato in coalizioni posticce tenute in piedi solo per poter vincere uno scontro elettorale. A sinistra si sono messe insieme parti di Democrazia Cristiana, con il PCI, pezzi di sinistra radicale, socialisti, ambientalisti. A destra si sono coalizzate altre parti di Democrazia Cristiana, Lega, destra liberale, destra sociale.

Questo ha portato i cittadini ad allontanarsi dalla politica e dai partiti.

A nulla sono servite soluzioni spesso adottate per inseguire il clima del momento, come, ad esempio, l’idea delle primarie, che, pur avendo sicuramente un ruolo importante, non potevano e non dovevano sostituire la formazione di una classe politica mediante la militanza, seppure magari perseguita con forme e strumenti più adatti al terzo millennio, come oggi ci viene efficacemente dimostrato dal Movimento 5 stelle, pur con tutti i limiti che un utilizzo acritico di tali strumenti comporta.
Io sono sempre stato un sostenitore della democrazia rappresentativa, del primato del Parlamento, dei sistemi elettorali proporzionali. Si possono certamente trovare tutte le soluzioni tecniche per rendere più efficace e stabile il governo, e ce ne sono tante di idee a cui attingere, ma il primato della rappresentanza è la strada maestra per restituire ai partiti le loro specifiche identità e consentire loro di tornare ad essere al centro dell’agire politico, e, tramite ciò, dare piena attuazione al principio di sovranità contenuto nell’articolo 1.

Solo così i cittadini potranno tornare a partecipare attivamente, e anche a votare! Questo è il principale messaggio che ci lasciano il 70% di elettori che si sono mossi per difendere la nostra Costituzione. Fuori da questa strada ci sono solo il rischio della concentrazione autoritaria del potere o, il che è praticamente lo stesso, della deriva populista.
Si eviti quindi adesso un affrettato e pericoloso ricorso alle urne, si lavori velocemente (uno o due mesi al massimo) per una legge elettorale sostanzialmente proporzionale che dia un parlamento legittimato e possa portare ad un governo magari di compromesso, ma sicuramente molto più rappresentativo degli italiani di quanto non lo sarebbe oggi uno risultante dall’Italicum.

Io non ho investito tantissime energie, per sostituire Renzi con un altro che gli somigli, anche se di un partito diverso.

Il mio NO è stato per cambiare. Per cambiare ciò che è stata la seconda repubblica.

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