Governo
Gentiloni vs Renzi, alla faccia delle fotocopie la differenza c’è
Tutti hanno notato le uguaglianze, ma il gioco consiste nel vedere e capire le differenze. Nel passaggio fra il governo Renzi e il governo Gentiloni la principale differenza consiste nel fatto che prima il Partito democratico e il governo erano la stessa cosa, ora sono potenzialmente cose opposte. Dopo la sconfitta referendaria, come è noto, Renzi ha evitato di tenere fede alla promessa di ritiro, ma ha rilanciato, chiedendo subito le elezioni politiche. Questo è il punto: Grillo, Renzi e Salvini chiedono le elezioni, mentre Gentiloni, il Quirinale e il Pd che s’è accorto della sconfitta referendaria, no. Grillo e Salvini, del resto, sanno che non si va a votare subito, tanto che i loro gruppi hanno già presentato proposte per la riforma del sistema elettorale. Neanche Forza Italia ha alcuna voglia di fare a cazzotti con la logica istituzionale, così come, forse, di mettere subito mano alle liste. Rimane solo Renzi, con i suoi, a reclamare le urne. Lui sarà il solo avversario del governo. Il solo che considererà sprecato ogni giorno della sua esistenza. Alla faccia delle fotocopie, la differenza c’è.
Qui, però, finisce quella che a me sembra una così solare evidenza da passare inosservata a chi ama le proprie opinioni e considera i fatti fastidiosi contrattempi. Il resto è buio. Così come è politicismo parolaio il sostenere che “la gente vuole le urne”, perché dubito vi siano masse in preda ad orgasmo elettorale, altrettanto è vaniloquio il supporre che la continuazione del nulla sia commestibile. Il problemi che abbiamo non consistono nel come e quando si vota, quelli sono problemi dei partiti, ma come e quando si riprende la via dello sviluppo, posto che il poco e niente fin qui avuto, dopo la recessione, è indotto da fattori esterni. Di altri mesi passati a dire scempiaggini sui successi o i disastri di questa o quella legge, non si sente alcun bisogno. Al contrario, invece, sarebbe urgente sapere dove si va a parare prima che si chiuda l’ombrello della Banca centrale europea. Per problemi seri e pesanti, come il nostro debito pubblico, la fine del 2017 è già domani mattina.
Giustamente il governo accompagnerà, ma non entrerà nel merito della nuova, e necessaria, legge elettorale. Tutto dipenderà da cosa sarà capace di fare nel frattempo. Molti ministri hanno già dimostrato d’essere non propriamente dei generatori di idee e azioni, sicché la cosa dipenderà dal presidente del Consiglio. Se non sarà capace di prendere direttamente in mano i temi economici e sociali, la sua sorte si ridurrà a qualche passerella internazionale, a coprire la spartizione delle nomine primaverili e a capitolare velocemente, per lasciare spazio a chi nelle urne vede il programma della propria vita, nonché la possibilità di continuare a guadagnarsi da vivere. Sarebbe un mesto epilogo. Ragionevole supporre che dal Colle e da Palazzo Chigi si daranno da fare, per evitarlo.
@DavideGiac
www.davidegiacalone.it
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