Governo
Dedicato a chi voterà SI’. Partecipazione dei cittadini: ad alto rischio
Il comitato a sostegno del SI’ chiede agli italiani di aiutare Renzi a “cambiare l’Italia per renderla più stabile”. Basta poco, dicono. Un piccolo sforzo di matita dentro la cabina elettorale del 4 dicembre. “Basta un SI’ per garantire la partecipazione” promettono. Ma di quale partecipazione parlano?
Il quesito referendario. ”Approvate il testo della legge costituzionale concernente “disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del Cnel e la revisione del Titolo V della parte II della Costituzione” approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 88 del 15 aprile 2016?”.
Nel quesito non c’è parola del diritto di partecipazione dei cittadini alla vita politica del nostro Paese. Eppure, con questa riforma, questo diritto, che è sempre stato garantito dalla costituzione vigente, dal 1948 ad oggi, sarà menomato e addirittura cancellato. Per tutti gli italiani. Anche per quelli che vivono all’estero. Vorrei chiedere a tutti quelli che hanno deciso di votare SI’: “Vi rendete conto che il vostro SI’ cancellerà i miei ed i nostri diritti di partecipazione alle scelte che farà il nostro paese e che riguarderanno la nostra vita ed i nostri territori?”. Se a voi non interessa partecipare, fate pure. E’ una vostra scelta. Ma perché volete imporre questa vostra scelta anche a persone come me che, invece, vogliono partecipare? Ve la sentite di assumere la responsabilità storica di avere contribuito, con il vostro SI’, a negare ai vostri connazionali il diritto di partecipare alla vita politica del nostro paese? Vi ricordate il referendum sul divorzio? La maggioranza degli italiani votò a favore, anche moltissimi cattolici praticanti, perché vollero dare ai loro connazionali la possibilità di scegliere se divorziare o no, anche se loro non l’avrebbero mai fatto. Oggi, se vincerà il SI’, non si tornerà più indietro. Almeno per i prossimi 30 anni. Infatti, in 70 anni di storia repubblicana abbiamo avuto soltanto 2 referendum costituzionali (nel 2001 e nel 2006). Il 4 dicembre 2016 saremo chiamati ad esprimerci sul terzo referendum di modifica della Costituzione: 47 articoli su 139, in maniera diretta. Molti altri, relativi alla prima parte della Costituzione ed anche ai Principi fondamentali, in maniera indiretta. Riflettete seriamente. E’ in gioco la vita democratica di tutte e tutti noi.
Entriamo nel merito.
Sovranità popolare e diritti dei cittadini. Questa riforma è un attacco a tutta la Costituzione. Non è vero che modifica soltanto la seconda parte della Carta Costituzionale (Ordinamento della Repubblica), va anche a demolire, direttamente ed indirettamente, le garanzie ed i diritti delle cittadine e dei cittadini contenute nella prima parte. La riforma costituzionale, rafforzata dal combinato-disposto con la legge elettorale, distruggerà definitivamente, infatti, i 2 pilastri fondamentali della nostra democrazia: la sovranità popolare ed il decentramento dei poteri dello Stato. “Chi vota NO vota la casta” sbraita Renzi. Perché per lui la “casta” saremmo noi che con il nostro NO vogliamo difendere i nostri diritti costituzionali. Innanzitutto la sovranità popolare garantita dall’art. 1 della nostra Carta costituzionale. Ovvero che tutte le cittadine ed i cittadini italiani (“eguali davanti alla legge”, art.3 Cost.) hanno il diritto di partecipare direttamente alla vita politica del Paese esercitando il proprio diritto di voto “personale ed eguale, libero e segreto” (art. 48 Cost.) per eleggere, secondo il metodo proporzionale (1 testa, 1 voto: dal 1946 al 1993, Legge Mattarella), i propri rappresentanti alla Camera dei deputati ed al Senato.
Disuguaglianza dei cittadini. Questa riforma, invece, sancisce la disuguaglianza dei cittadini per cui gli italiani non avranno tutti gli stessi diritti.
A) I cittadini che vivono nelle 15 Regioni NON a statuto speciale non potranno più esercitare il proprio diritto di partecipazione e di controllo sulle scelte fatte dalla propria Regione in materia, ad esempio, di ambiente, governo del territorio, produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia, tutela e sicurezza del lavoro, casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale. Semplicemente perché, se vincerà il SI’, le 15 Regioni perderanno la potestà di legislazione concorrente che esercitano a tutt’oggi in quanto quelle materie diventeranno di potestà legislativa esclusiva dello Stato.
B) I cittadini che vivono, invece, in Sicilia, Sardegna, Val d’Aosta, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige (le 5 Regioni a Statuto speciale) potranno esercitare il loro diritto di partecipazione e controllo sul loro territorio perché le loro Regioni sono state escluse dall’applicazione della riforma. Così è stato deciso. Ma, tranquilli, anche loro saranno penalizzati da questa riforma. Perché, almeno per ora e per un bel po’ di tempo ancora, non potranno essere rappresentati da propri senatori-consiglieri regionali in quanto il loro Statuti speciali, adottati con legge costituzionale, stabiliscono l’incompatibilità tra la carica di consigliere regionale e quella di parlamentare. E siccome la riforma prevede che 74 senatori (su 100, compresi i 5 nominati dal Presidente della Repubblica) debbano essere necessariamente consiglieri regionali, i cittadini delle 5 Regioni a Statuto speciale dovranno accontentarsi di avere solo 1 senatore-sindaco per Regione (ne sono previsti 21) ad eccezione del Trentino Alto Adige che ne avrà 2, uno per la Provincia di Trento ed uno per la Provincia di Bolzano. In Senato, quindi, se passerà questa riforma, ci saranno 12 seggi vuoti: dei consiglieri regionali, 1 per ciascuno, di Val d’Aosta, Friuli V. Giulia, Provincia di Trento e Provincia di Bolzano, dei 6 consiglieri regionali della Sicilia e dei 2 della Sardegna.
C) I cittadini italiani che vivono all’estero non solo perderanno il diritto di voto al Senato come i loro connazionali che vivono in Italia, ma non potranno avere più nemmeno un loro rappresentante (ne erano previsti 6) nel cosiddetto Senato delle autonomie (sarà, invece, il Senato dei localismi) per la “Circoscrizione estero” che è stata cancellata tout court (o dimenticata per un lapsus freudiano?). Inoltre, il loro voto non sarà calcolato ai fini della definizione delle liste o partiti che vinceranno le prossime elezioni e, dulcis in fundo, non potranno partecipare all’eventuale ballottaggio tra i due partiti che, alla Camera dei deputati, si contenderanno il premio di maggioranza per conquistare 340 seggi su 630 e la presidenza del Consiglio.
< Basta un SI’ per garantire la partecipazione > ci dicono. Ma di quale “partecipazione” stanno parlando? Questa riforma ci cancella, ci mutila e ci svuota il nostro diritto di voto garantito fino ad oggi dalla Costituzione del 1948. Per ora hanno deciso di abolire il nostro costituzionale diritto di voto per le Province ed il Senato. Intanto, chi voterà SI’ toglierà il diritto di voto ai giovani, oggi minorenni, che non potranno mai più votare né per le Province, né per il Senato e, oltre che agli uomini, anche, e soprattutto, alle donne che hanno potuto esercitare il loro diritto di voto solo per 70 anni, dal 1946 ad oggi. Ve la sentite di cancellarci con una croce sul SI’, il 4 dicembre, i nostri diritti? Ed anche voi, attenzione. Se non saremo capaci di fermare questa tragica deriva autoritaria, chissà quali altri diritti ci toglieranno. Il ventennio fascista insegna, e Renzi, a proposito della nuova Costituzione, in tv ha già detto che dovrà durare almeno 20 anni. Ricordate il monito della JP Morgan: la Costituzione dell’Italia va cambiata perché ci garantisce il diritto di protestare? Così è intervenuto Renzi a cancellare il diritto di voto per ben 2 istituzioni sulle 5 su cui è stata fondata la nostra Repubblica (Comuni, Province, Regioni, Camera e Senato), ma anche a modificare pesantemente il diritto a partecipare alla vita politica creando nuovi ostacoli a due istituti di garanzia costituzionale: la proposta di legge di iniziativa popolare e la richiesta di referendum.
Legge di Iniziativa popolare. Ci dicono: “Si assicurano ai cittadini tempi certi per esaminare le leggi di iniziativa popolare”. Tranello! Con questa riforma viene triplicato il numero di firme necessarie, da 50.000 a 150.000. Inoltre le garanzie che la proposta venga accolta dalla Camera sono rinviate al futuro regolamento e comunque la maggioranza parlamentare rimarrà libera di rigettare o modificare la proposta. Una limitazione grave del principio di “sovranità popolare” che non è giustificato da nient’altro se non dalla necessità di tacitare le proteste e/o i bisogni dei cittadini e diminuire (non “aumentare”, come sostiene Renzi) il loro potere. Il ricorso alle leggi di iniziativa popolare è stato esercitato poche volte in Italia e solo l’1,15 % delle proposte sono state approvate dal Parlamento, dal 1979 ad oggi.
Referendum. Ci dicono: “Si abbassa il quorum per i referendum”. Tranello! Questa riforma finisce per aumentare anche il numero delle firme necessarie per la richiesta di referendum. Perché, se si vuole che il quorum partecipativo sia calcolato sulla maggioranza dei votanti all’ultima elezione della Camera dei deputati (anziché sulla maggioranza assoluta degli aventi diritto), le firme da raccogliere non saranno più 500.000 ma 800.000. Resta possibile chiedere il referendum con 500.000 firme ma il quorum partecipativo rimane fissato come ora: la metà più uno degli aventi diritto. Un ostacolo praticamente insormontabile dato il crescente fenomeno dell’astensionismo (perfino nei 26 Paesi del mondo dove il voto è obbligatorio) e del disinteresse per la vita politica. Per quanto riguarda i referendum propositivi e di indirizzo, questi sono soltanto menzionati nella riforma. La loro disciplina, infatti, è rinviata ad una successiva legge costituzionale. Il motivo è chiaro: non li vogliono fare. Ma intanto hanno gettato fumo negli occhi a chi ancora gli crede.
Lo strapotere del governo. E se non bastasse, interviene il governo a toglierci i pochi diritti rimasti.
A) La clausola di supremazia. Ci potrebbero dire. La partecipazione di scelta e controllo dei cittadini potrà essere esercitata, nelle 15 Regioni NON a statuto speciale, per le materie che sono rimaste alla potestà di legislazione esclusiva delle Regioni. Come la pianificazione del territorio, la dotazione infrastrutturale, la programmazione e l’organizzazione dei servizi sanitari e sociali, la promozione dello sviluppo economico locale, la promozione al diritto allo studio, anche universitario. Invece NO! Perché questa riforma introduce la cosiddetta “clausola di supremazia” che dà al governo la possibilità di intervenire sulle materie non riservate alla legislazione esclusiva (dello Stato) “quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale”.
B) I disegni di legge essenziali al programma di governo. Renzi ha garantito che con questa riforma ci saranno meno decreti legge. Possiamo credere ad un presidente del Consiglio che ha usato come “mezzo ordinario” uno “strumento di straordinaria necessità e urgenza”? L’art. 76 della Costituzione vigente recita, infatti: “L’esercizio della potestà legislativa non può essere delegato al Governo, se non con determinazione di principi e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti”. Ed infatti, non c’è da credergli. Renzi ha aggirato l’ostacolo inserendo un comma all’art. 72 che non darà più alcuna possibilità, non solo ai cittadini, ma neanche al Parlamento di opporsi ad una proposta di legge che non condividono. Il nuovo comma 7 dell’art. 72 riformato equivale ad un bavaglio, ad un paio di manette, alle catene ai piedi. Con questo comma sarà impossibile fare opposizione. Ecco cosa ha scritto l’avv. Felice Besostri: “In forza del nuovo art. 72, c. 7 Cost., il Governo, quando dichiari un disegno di legge essenziale per il proprio programma – dichiarazione non soggetta a controllo – può imporne l’iscrizione nel programma dei lavori della Camera affinché possa essere approvato in via definitiva entro 70 giorni”. Non è vero che la Camera può respingere la richiesta come stanno dicendo in tv. Primo, perché la maggioranza dei seggi alla Camera (340 su 630) è in mano al partito unico che ha espresso come presidente del Consiglio il suo “capo”. Secondo perché la Camera, con la stessa maggioranza blindata, ha dato la fiducia al governo. Il testo del comma 7 recita: “[…], il Governo può chiedere alla Camera dei deputati di deliberare, entro cinque giorni dalla richiesta, che un disegno di legge indicato come essenziale per l’attuazione del programma di governo sia iscritto con priorità all’ordine del giorno e sottoposto alla pronuncia in via definitiva della Camera dei deputati entro il termine di settanta giorni dalla deliberazione”. Quindi. Non c’è niente da fare. Il Capo comanda e la Camera obbedisce!
Mi rivolgo a tutti coloro che sono ancora indecisi o che hanno deciso di votare SI’.
Vi chiedo – e rispondetevi da soli: “Secondo voi, questa modalità di approvare una legge ha qualcosa a che fare con la democrazia e con una repubblica parlamentare come la nostra?”. Se non vi viene alcun dubbio e restate convinti di votare SI’, almeno siete stati informati su ciò che ci/vi potrebbe capitare.
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