Giustizia

Il problema non è far dimettere Marino, ma sciogliere per mafia Roma Capitale

4 Giugno 2015

Il tam-tam sul secondo round di Mafia capitale circolava da giorni. Ora, Renzi, sempre nell’ultimo miglio del Pd, ha altre rogne: Mafia Capitale atto II e l’incubo scioglimento (per Mafia?) Capitale. Seguendo l’impianto della prima ondata di arresti per Carminati, Buzzi e il resto della consorteria, i 44 arresti eseguiti dal ROS sembravano inevitabili e l’inchiesta, peraltro, sembra avere il più prevedibile degli epiloghi: quello della macchia d’olio che possa produrre episodi, prequel e sequel al pari delle migliori produzioni cinematografiche. Le voci sulla tempistica di questo  secondo atto sembravano consegnare anche l’immagine di un procuratore capo di Roma all’americana, di un District Attourney che alla fine sa il fatto suo. “Gli arresti arriveranno solo dopo le regionali” dicevano da giorni fonti ben informate nei luoghi di giustizia della capitale. Verosimile, dunque, che Giuseppe Pignatone, visto lo stato dell’inchiesta, potesse pure scegliere questa opzione per evitare di entrare a gamba tesa sulla competizione elettorale delle regionali con inevitabili strumentalizzazioni politiche benché poi, la black-list Bindi, ci abbia messo del suo in termini di virulenza della battaglia politica prima, durante e dopo i pasti della campagna elettorale. “Già siamo critici quando la magistratura si fa politica, figuriamoci quando la politica si fa magistratura” ha fatto notare qualche giorno fa Michele Ainis. Una cosa però è certa. Al di là di ogni eventuale strategia temporale, la DDA di Roma era in attesa di un’altro step giurisdizionale (e giuridico) importante, conquistando un’altra conferma dell’impianto accusatorio da parte di un altro organo, giudice terzo, dopo il Tribunale del Riesame e le prime richieste d’arresto accolte dal GIP. Ovviamente, la stampa non l’ha coltivata granché come Notizia: un paio di giorni prima di quest’atto II, la procura antimafia di Roma ha chiesto e ottenuto il rinvio a giudizio immediato per i primi arresti di Mafia Capitale. Il Gip Costantini infatti ha deciso che non occorreva dar vita ad un ciclo di udienze preliminari per valutare la sussistenza o meno della tenuta processuale per gli indagati. Senza-se-e-senza-ma e ritenendo già sufficiente il materiale probatorio prodotto da Pignatone e l’aggiunto Prestipino, con la formula del giudizio immediato, il GIP di Roma ha rinviato a dibattimento di primo grado Carminati e gli altri 33 imputati dell’inchiesta pilota: appuntamento 5 novembre prossimo alla (dicono “tostissima” per gli imputati) sezione decima del tribunale penale di Roma che ha già curato il processo concluso con condanne a carico degli esponenti del clan Falciani.

L’atto secondo ora consegna una rogna a Renzi – idem ad Alfano – ed una patata bollentissima a Franco Gabrielli neo prefetto di Roma, ovvero: la pratica ancora aperta, a distanza di più di sei mesi, sullo scioglimento coatto per Mafia di Roma Capitale. Chiaro che la faccenda è delicata, delicatissima: hai visto mai una capitale europea sciolta per mafia? L’imbarazzo, trattandosi di Roma si taglia col coltello e proprio il Viminale, pure chiamato in causa da alcune condotte processuali contemplate nell’inchiesta con intercettazioni che abitano nei fascicoli del tipo “ci compriamo mezza Prefettura”, rischia di ritrovarsi al centro di una tempesta politica (e non solo) se non mette un punto fermo evitando di allungare un brodo già stracotto di suo. Riavvolgendo il nastro nelle settimane pervase dal clamore dei primi arresti di Mafia Capitale proprio qui su Gli Stati ponemmo la domanda-titolo: A sciogliere per Mafia il comune di San Procopio sono tutti bravi: e Roma? Da un paio di settimane infatti la “commissione di accesso agli atti”, prevista dal T.U. sullo scioglimento per Mafia degli enti locali, mandata ai primi di gennaio dall’ex prefetto di Roma Pecoraro, è rientrata dalla sua prima missione ed ha eccezionalmente ha chiesto un’inedita proroga di altri tre mesi, giusto per allungare in modo smisurato la zuppa ove mancassero (mancano?) le evidenze. Ma già, è sull’andazzo prefettizio che s’annida un mix di falsi misteri e prevedibili imbarazzi.

Alcune settimane fa, proprio l’organismo antimafia guidato a San Macuto da Rosy Bindi, ebbe in audizione la vice prefetto Marilisa Magno che guida la commissione prefettizia d’accesso agli atti. La seduta fu segretata dall’inizio alla fine: i cronisti non sentirono manco l’introduzione di rito, l’ordine del giorno, il processo verbale, etc. Segretata dentro e fuori. Più segretata della c.d. lista degli impresentabili che pur ebbe le sue prime soffiate non ufficiali alla stampa con in quattro nomi già declinati sui portali web in formato fotosegnaletica che Travaglio non stava nella pelle. Quella della Magno è stata la seduta più secretata, addirittura e perfino della stessa audizione del direttore dei servizi segreti interni Gen. Esposito: che venne pure inibita all’ascolto pubblico dei cronisti ma che almeno, a fine seduta, produsse un paio di lanci d’agenzia giusto per capire in termini generali l’audizione del Generale. Invano il tentativo del cronista di carpire qualcosa scomodando almeno un resoconto, una percezione da parte di uno dei commissari. Il cronista mette mano all’agenda. Il vice presidente Claudio Fava che non c’era perchè (come tanti) alla presentazione del libro a Roma del Pm star Nino Di Matteo, idem la Sarti dei cinque stelle e manco De Cristofaro di Sel ed altri ancora. In molti s’erano “dati”, insomma. Alla fine un paio di cinque stelle presenti a quell’audizione si trovano sempre: e si lanciano in un “per noi non è stata esaustiva, semmai è stata reticente”.

Cronache e approfondimenti? Non pervenute e candidabili alla ricerca delle miglior Sciarelli, probabilmente perché, nell’Impero dei Sensi, meno in questo caso si parla di commissioni e scioglimenti coatti, meglio è. Non che le cose siano andate diversamente nella giornata del secondo round segnata dalle gazzelle del ROS dei carabinieri alla caccia delle 44 prede cui notificare l’arresto. Mentre la notizia dell’atto II di Mafia Capitale già dalle prime luci dell’alba colorava di brutto le red lines delle allnews, i principali talk show mattutini, intrattenevano i telespettatori sui destini di Renzi al Senato con soli 9 voti di maggioranza, vari retroscena ipertrofici dell’ego retroscenico a buon uso della Meli Generation e uno sbraitante Landini che non guasta mai quando di parla di lavoro, denaro, tasse, disoccupazione e miseria.

Eppure la “roba”, nell’accezione che fu di Ernesto Rossi, riguarda eccome l’inchiesta Mafia Capitale. Che per la seconda volta ricopre di guano anche il partito di maggioranza nell’area metropolitana di Roma: migranti, appalti, corruzione e mafia. Tanto per capirci, oltre ad un ex presidente del consiglio comunale capitolino, hanno arrestato pure l’ex presidente Tassone, mini sindaco della municipalità di Ostia. Una città-nella-città, dove si è scelta una strada ritenuta un po’ furbetta e per niente diversa a quella adottata a Fondi, che al tempo scatenò non poche polemiche durante il governo Berlusconi e il MinInterni di allora. Il commissario Orfini un paio di mesi fa, ostentò praticamente il dimissionario Tassone quasi come un eroe al pari di un Libero Grassi qualsiasi ma in realtà, nell’Ostia già falciata dal clan Falciani appena condannati in primo grado, si capiva già dove s’andava a parare. La politica gioca d’anticipo e dunque, Ostia andava sciolta di suo dai partiti prima che potesse arrivare l’eventuale mannaia dello scioglimento coatto per Mafia da parte della prefettura capitolina. Ostia e non solo: Roma Capitale tutta è interessata dal fenomeno e forse anche da mosse di questo tipo.

Davvero, difficile far finta di nulla. Nella relazione finale sullo stato del Partito Democratico nell’aera metropolitana di Roma realizzata dall’ottimo Fabrizio Barca, a cui i social hanno ironicamente dedicato il meglio del forbitissimo repertorio linguistico, conclude con un semplice, netto, secco ed impietoso “partito pericoloso e clientelare”. Il commissario del Pd a Ostia mesi fa ha detto che “qui c’è del marcio, è come Reggio Calabria” (che però – ops – è stata sciolta coattamente per Mafia), l’ex Pm antimafia Alfonso Sabella abituato a non risparmiarsi sul colore, ingaggiato da Marino come passpartout-résolvez-tuot, ha perfino scomodato “il napalm per radere al suolo tutto”. Fin qui le suggestioni serie (Barca) e quelle meno serie della politica. Poi però ci sono quelle della giurisdizione che basterebbero da sole ad fugare ogni dubbio, ogni commissione d’accesso al brodo. Non tanto e solo un Gip che in prima battuta ratifica i mandati di cattura, ma persino il giudice a cui gli avvocati ritualmente fanno ricorso in nome dei loro assistiti tentando di demolire l’impianto accusatorio o al massimo una derubricazione del reato contestato. Il tribunale del Riesame di Roma, che ha confermato al 90 % l’impostazione della dottrina Pignatone sulle autoctonie di Mafia, infatti ci ha messo del suo nelle motivazioni scrivendo di una mafia che a Roma “è infiltrata nei gangli vitali dell’amministrazione”. E non abbiamo ancora aggiunto, nell’inventario giurisdizionale, l’ordinanza di rinvio a giudizio immediato del Gip che l’altro ieri ha mandato direttamente Carminati e gli altri 33 imputati davanti al collegiale di primo grado.

Per carità, la giustizia faccia il suo corso, le garanzie pure. Tuttavia, negare oggi l’evidenza non convincerebbe nemmeno un giudice in preda al peyote. L’inventario delle evidenze giurisdizionali e non, non lasci alibi. Nemmeno al povero Gabrielli che pur nei giorni scorsi ha tentato di derubricare il tutto a criminalità ordinaria, non sapremmo dire con quanto e quale “entusiasmo” Pignatone e Prestipino abbiano colto una simile affermazione. Va detto peraltro come lo stesso Consiglio di Stato ha “ordinato” ai prefetti italiani di evitare il ricorso al brodo delle commissioni d’accesso agli atti quando le evidenze penali sono patenti: ergo Roma poteva già essere sciolta hit et nunc già all’esplodere dell’inchiesta. La commissione d’accesso la manda Pecoraro, un prefetto in servizio nella Roma di Mafia Capitale per ben sette anni ed ora se la ritrova Gabrielli come neo-prefetto. Capiamo tutto, la Capitale, gli occhi del Mondo sull’Italia, Papa Ciccio e il Giubileo, le immagini e i Sensi televisivi: ma chiediamoci quanto serva allungare il brodo per ridurre i danni in zuppa, ammesso che riduzione del danno poi si possa parlare. Ora non restano che i passaggi memorabili dell’inchiesta e le sue intercettazioni che il brillante pubblicista di turno, a mezzanotte e tre sta già pensando a un altro libro. Un Carminati che parla col suo interlocutore sbruffone: “.. e te vieni a fa’ er malavitoso a me’. A me???”. Ecco, cari Renzi, Orfini, Alfano e via andare. Il rischio e che poi ci sia sempre qualcuno di voi che poi sbraiti: “..e te vieni a fa’ il legalitario a me’. A me???”.
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