Giustizia

A sciogliere per Mafia il comune di San Procopio sono tutti bravi: e Roma?

8 Dicembre 2014

Quando si dice Made In Italy. Tra i tanti record legislativi, quello dello scioglimento coatto dei comuni per Mafia sembra essere un provvedimento che ha solo l’Italia. Chiariamoci, non è mica uno strumento di cui andarne proprio-proprio fieri solo per la sua esistenza, figuriamoci per i motivi che ne hanno portato al concepimento: che cronologicamente risale persino in un periodo non ancora pervaso dalle stragi di Mafia del 92-93.

E’ il 3 maggio del 1991 quando la faida di Taurianova – segnata da una trentina di omicidi – arriva là dove nemmeno un film di Quentin Tarantino poteva ancora arrivare. Il giorno prima, con una scaricata di colpi da una 7/65, Rocco Zagari verrà fulminato nella sala da barba da un killer che lo lascerà sulla sedia con il volto ancora coperto dalla schiuma. Il giorno seguente la faida avversa rispose con quattro omicidi senza perder tempo alcuno spostando i dettagli del crimine dalla schiuma da barba all’affettato. Il salumiere Giuseppe Grimaldi viene decapitato da un killer con uno dei coltelli della bottega. Quella testa, appena mozzata, verrà poi lanciata in aria all’aperto a pochi metri dalla piazza del paese, col gruppo di fuoco che si diverte a farne tiro a segno con tanto di “pull” davanti ad una ventina di paesani che guardano attoniti lo scalpo in volo bersagliato dai proiettili. Fu soltanto allora che lo Stato (luglio 1991) rispose con il varo della legge contro le infiltrazioni mafiose negli enti locali.

Ancora oggi alcuni relitti della prima repubblica ricordano bene anche gli accesi dibattiti parlamentari e le contrarietà di chi gridava, con fondate argomentazioni, al “commissariamento della democrazia”. Tuttavia, discutibile o no, lo strumento esiste e viene comunque usato. Dal 91 ad oggi di comuni sciolti per Mafia sono ce ne sono stati a centinaia e perfino con municipi sciolti più di una volta per gli stessi motivi. Nel 2012 in Italia avemmo pure un congiuntura particolare con “solo” cento comuni sciolti per infiltrazioni mafiose. Si tratta però di piccoli comuni. Piccoli municipi in territori di Mafia perlopiù siculi, calabresi e campani con un paio di letterali eccezioni al nord. Ovviamente il fenomeno in un piccolo comune (dove pure venti malacarne si fanno percepire come fossero centinaia), s’avverte maggiormente, si tocca facilmente con mano in tutta rapidità: tanto che nel 2007, davanti alla commissione parlamentare di San Macuto, fu proprio l’allora Procuratore nazionale Antimafia Pietro Grasso ad ammettere come “in alcuni paesi è lo Stato semmai che prova ad infiltrarsi nei comuni”.

Negli ultimi vent’anni però il carniere degli scioglimenti esibito dalla politica, non ha mai toccato capoluoghi di provincia e grossi centri urbani. A parte l’unica, recente, eccezione: Reggio Calabria. Questa no-flight zone dei governi adottata sulle grandi città ha presto una sua spiegazione (ove l’inchiesta MafiaCapitale non ce lo spieghi già di suo). A sciogliere un paesino di poche anime o una cittadina di pochi abitanti si fa presto. A sciogliere una grande città, che magari fa pure area metropolitana, è complicato quanto imbarazzante per i ceti politici dominanti associati. Non foss’altro che per ogni grande città, c’è un grande bacino clientelare. Per ogni grande città c’è un equilibrio della politica che sposta l’altro: tanto che non si contano talk show televisivi e paginate di giornali, via-via che si celebrano le elezioni amministrative attribuendo un valore nazionale ad ogni tornata che si tratti di Napoli, si tratti di Milano e via andare. Per ogni grande città ci sono affari per famiglie e cosche per appalti di vario tipo e varia portata. Per ogni grande città ci sono monumentali aziende “partecipate” che nella maggior parte dei casi agiscono pure a regime di monopolio sull’erogazione di beni e servizi. Per ogni grande città c’è sempre un esercito di politici trombati da piazzare, da stornare in sindacature, incarichi assessoriali, consulenze e vertici di aziende partecipate.

Insomma, i capoluoghi di provincia hanno un peso ed una “quota d’avviamento” delle aziende tutto loro, eccome. Peraltro – tra i motivi della no-fight-zone sulle aree metropolitane – va ricordato come la stessa legge contro le infiltrazioni mafiose negli enti locali preveda anche lo scioglimento coatto proprio di Asl e aziende municipali partecipate e non. Volendo restare sempre sui grandi numeri della “roba”, quella stessa legge contempla perfino lo scioglimento dei consigli provinciali, mai raggiunti da tale mannaia istituzionale. E se non sono state raggiunte le province, figuriamoci le regioni che i legislatori si sono guardati bene dal tenere esonerate da qualsiasi strumento di scioglimento coatto per Mafia, soprattutto a Sud del Lazio isole comprese stile Aiazzone, con alcune legislature (si pensi per esempio al passati consigli calabri) che vedevano il partito degli incensurati come forza di minoranza.

Lo scioglimento dei comuni per Mafia è stato spesso usato, diciamolo, anche con riflessi propagandistici da entrambi gli schieramenti. Qualcuno ricorderà – per esempio – le mitiche conferenze stampa dei ministri di Giustizia e Interni del governo Berlusconi pronto sempre ad esibire il copioso numero dei comuni (piccoli) sciolti per mafia come fossero trofei di una antimafia istituzionale senza-se-e-senza-ma. Una conferenza stampa, in particolare, si rivelò decisamente tragicomica per non dire fatale: quella tenuta proprio a Reggio Calabria dove a reti unificate Berlusconi, Alfano e Maroni illustrarono il mitico pacchetto antimafia. In quella conferenza stampa abita pure un formidabile ringraziamento dell’allora ministro della giustizia Angelino Alfano che  (non l’avesse mai fatto) ringraziò “il sindaco di Reggio Calabria che sarà presto impegnato in altri incarichi e gli faccio gli auguri più cordiali per tutti i progetti che ha, nella mente e nel cuore”. Il Sindaco destinatario degli auguri si chiamava Giuseppe Scopelliti poi divenuto governatore della Regione Calabria “nella mente e nel cuore”, almeno fino a quando non si è dovuto dimettere dopo una condanna di primo grado per abuso d’ufficio, falso e interdizione dai pubblici uffici. A Reggio Calabria seguì (immaginiamo, anche lì, “nella mente e nel cuore”) un altro sindaco del Pdl: salvo poi cessare il proprio breve mandato, visto che il comune venne poi brutalmente sciolto per Mafia dal governo di Mario Monti.

A meno che non si dia luogo allo scioglimento di Roma per MafiaCapitale, quello di Reggio Calabria al momento rimane dunque il precedente-dei-precedenti per quanto riguarda un capoluogo sciolto per infiltrazioni. Che però ha una coincidenza che non potrà certo essere derubricata a mera fatalità delle coincidenze. La politica romana della no-flight-zone sulle grandi città tutto poteva prevedere “nella mente e nel cuore”, tranne che al palazzo di giustizia di Reggio Calabria potesse arrivare (ma guarda un po’) un procuratore capo come Giuseppe Pignatone: che mise a soqquadro la città con inchieste e processi su Mafia&Politica, facendo in un paio di anni ciò che nessun vertice giudiziario calabro d’origine autoctona arrivò a fare dal dopoguerra ad oggi in quei territori. A volersi concedere un gratuito esercizio di sarcasmo, si direbbe che dove passa Pignatone viene sciolta una grossa città. Tuttavia, l’archetipo del procuratore capo “straniero” ha il suo perché (benché con il sabaudo Caselli a Palermo non accadde così). Qualcuno dovrà pur prendere atto come non proprio in tutti-tutti i palazzi di giustizia dei vari distretti di Corte d’Appello ci sia la dovuta integrità. Infatti non è per nulla raro come, soprattutto a Sud di Roma isole comprese, ci sia una tossica bi-direzionalità che attraversa le mura degli uffici giudiziari.

Alla fine della fiera hai visto mai che non trovi  un magistrato o un giudice magari con la moglie assessore o consigliere, un magistrato magari con un parente che dirige l’azienda “partecipata”, un magistrato magari con un testimone di nozze che ha il grosso degli appalti nel distretto in cui esercita. Questioni dove magistratura associata e Csm, ancora oggi, sembrano fare gli gnorri. Non meno importanti sono anche gli incarichi assunti in prima persona dai loro associati tanto in politica quanto negli enti locali che, a giudizio di non pochi magistrati, incrinano la credibilità della magistratura tutta. Vicende che, per esempio, la dicono pure lunga sull’incredibile stagione di assessori Pm e giudici ingaggiati dagli ultimi due governi regionali della Regione Sicilia quanto basta per certificarsi d’antimafia come il fosse il bollino blu della banana. Esponenti dell’Ordine Giudiziario che peraltro hanno svolto servizio come assessori – ecco la fatalità delle coincidenze – per un ex-presidente successivamente condannato in primo grado per reati di Mafia.

Ora il contesto di Mafia Capitale tiene sul tavolo l’ipotesi dello scioglimento della Capitale. Che ha procedure tutte sue. Il Viminale dovrebbe nominare come da rito una “commissione di accesso agli atti” (Angelino, lo fara? O se la giocherà nello scacchiere della maggioranza?) e solo dopo le risultanze del caso indurranno il Prefetto ad adottarne l’eventuale scioglimento coatto per Mafia del comune di Roma. Nella città eterna e nei suoi palazzi della politica romanocentrica, ora tutti i reggenti di sinistra e destra sudano freddo. Anche perché, ricordavamo un tot di righe fa, come lo scioglimento possa pur riguardare – eccome – anche le aziende partecipate, proprio quelle “public utilities”, tipo AMA, che l’inchiesta MafiaCapitale oggi addita come uno dei principali rifornimenti delle cambuse mafiose ed elettorali a Roma, come in fondo accade nel resto d’Italia.

Come dire: riusciranno mai a rinunciare alle scorciatoie? Come dire: valla poi a fare una campagna elettorale con quelle cambuse vuote e gli enti commissariati. Sarà pure importante auspicare una generazione di prefetti e funzionari del Viminale “attrezzati” e all’altezza della situazione (possibilmente neutri e senza strani addentellati sul territorio, ivi compresi quelli parentali) e con una cultura adatta ai tempi che corrono: concetto d’auspicio – quello dell’altezza non fisica – che in realtà andrebbe esteso anche al vertice degli Interni. Basti ricordare come per fatti meno pervasivi di MafiaCapitale siano già stati sciolti (piccoli) comuni mentre – per fatti di pari portata se non più gravi e più pervasivi del “Mondo Di Mezzo” romano – ci sono comuni (grandi) mai stati sciolti. Che sia o no condivisibile, quello dello scioglimento coatto dei comuni per Mafia, è uno strumento che la dice lunga per come sia stato usato dal potere romanocentrico: ed è tutta lì che si gioca la credibilità, quanto la coerenza, della politica nell’Ultimo Miglio.

A sciogliere per Mafia il comune di San Procopio – o di Polizzi Generosa – sono tutti bravi: e a sciogliere il comune Roma?

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