Giustizia

Lo Stato che assolve lo Stato: sulla pelle di Stefano Cucchi

31 Ottobre 2014

Prendiamola sul serio la sentenza che assolve tutti, ma proprio tutti gli imputati per la morte di Stefano Cucchi,  il giovane arrestato nella notte tra il 15 e il 16 ottobre 2009 per possesso di stupefacenti e morto il 17 ottobre per le violenze subite, dopo che il suo arresto fu convalidato dal giudice monocratico. Assolti quasi tutti in primo grado, nel giugno 2013, tranne i medici condannati per omicidio colposo. Alcuni, tra gli assolti, si esibiscono in un pregevole doppio dito medio, come fossero gladiatori che passano sotto la curva nemica. Assolti tutti, ma proprio tutti, oggi pomeriggio, in base all’impossibilità di accertare le cause del decesso. Attendiamo le motivazioni, e intanto – dicevamo – prendiamola sul serio, questa sentenza.

Un giovane viene arrestato (da rappresentanti dello stato italiano) per possesso di stupefacenti; arriva il giorno davanti a un giudice monocratico (che rappresenta lo stato italiano) per la convalida dell’arresto; non era in salute, Stefano Cucchi, non stava bene, e se ne accorge un medico del tribunale che riscontra delle echimosi sugli occhi; ma finisce subito nelle patrie galere (patrie, quindi dello stato italiano); lì inizia a stare peggio e viene “curato” da medici di un ospedale pubblico (pubblico: sempre dello stato italiano) che riscontrano ulteriori lesioni; curato e poi rimandato in carcere (vedi sopra) dove evidentemente non poteva proprio stare, tanto che il giorno dopo viene portato al reparto protetto dell’ospedale Pertini (sempre dello stato). Il giorno dopo purtroppo è l’ultimo giorno, perché Cucchi muore. L’esito processuale della vicenda è storia di oggi, e noi siamo obbligati, da bravi cittadini dello stato italiano, di prenderlo sul serio. Come dobbiamo prendere tremendamente sul serio le parole proferite oggi da Gianni Tonelli, segretario generale del sindacato di polizia Sap. “In questo Paese bisogna finirla di scaricare sui servitori dello Stato le responsabilità dei singoli, di chi abusa di alcol e droghe, di chi vive al limite della legalità. Se uno ha disprezzo per la propria condizione di salute, se uno conduce una vita dissoluta, ne paga le conseguenze. Senza che siano altri, medici, infermieri o poliziotti in questo caso, ad essere puniti per colpe non proprie”.

Prendiamole sul serio, queste parole. E sappiamo, allora, che mentre nessuno potrà restituire Stefano alla sua famiglia, alla sua vita complessa, ai suoi sbagli, qualcuno dovrà provare a restituire questo paese, questo stato, a tutti noi. Che ci chiediamo – scusate, ma dobbiamo chiedercelo – come può un paese civile lasciare che in una vicenda come quella di Cucchi nessuno sia, per i tribunali cioè per lo Stato, responsabile di nulla: per azioni violente, per mancata vigilanza, per omissione di soccorso, mentre l’unico segno di ammissione resta il risarcimento che l’ospedale Pertini ha accettato di pagare alla famiglia Cucchi. Intanto, quella giustizia, pomposamente “amministrata nel nome del popolo” italiano, oggi sembra amministrata tutta e solo in nome dello stato. Che non è necessariamente la stessa cosa. Anzi.

 

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