Germania
Ma l’Europa è un valore in sé? Una domanda per Schulz
Giovedì scorso, aprendo il congresso della SPD, Martin Schulz ha fatto una dichiarazione interessante, affermando di volere gli Stati Uniti d’Europa entro il 2025.
Guardando l’attuale stato dell’Unione, che ha appena perso il Regno Unito e che vede crescere i movimenti antieuropeisti al suo interno, l’affermazione suona quantomeno visionaria e rischia di farlo apparire fuori dalla realtà. Come se non bastasse, poco dopo Schulz ha aggiunto che occorre una Costituzione Europea, con conseguente uscita dall’Unione dei paesi che non la sottoscriveranno.
Proprio quest’ultima dichiarazione aiuta a rendere evidenti le contraddizioni di fondo della sua proposta. Esprimersi per gli Stati Uniti d’Europa è giusto, oltre che coraggioso. E certo la politica deve essere coraggiosa, ma in nessun modo il coraggio deve diventare irresponsabilità.
Affermare che deve uscire dall’Europa chi non sottoscrive, da qui a otto anni, la Costituzione europea, significa volere la fine dell’Europa. Nell’attuale panorama, infatti, una prova di forza su una Costituzione Europea si risolverebbe in una sconfitta per gli europeisti, quale che sia la strategia adottata. Se infatti si sottoponesse la Costituzione al voto popolare, è difficile immaginare un esito positivo in molti paesi (e il caso di Francia e Olanda nel 2005 lo dimostra chiaramente), con il rischio di decimare gli stati membri. Se invece l’adozione non coinvolgesse l’elettorato, si accentuerebbe la visione di un’Europa come organismo tecnocratico dove gli spazi di rappresentanza sono altamente ridotti, alimentando nel lungo termine i movimenti antieuropeisti.
Le proposte di Schulz, dunque, aprirebbero scenari in cui a vincere sarebbero solo le forze che remano contro gli Stati Uniti d’Europa. E testimoniano tutte le incertezze teoriche dei socialisti europei: tutti concordano sull’importanza di accelerare il processo d’integrazione europea per rispondere meglio alle sfide del tempo, così come tutti concordano sulla necessità di democratizzare l’Unione, ad esempio dando maggiori poteri al Parlamento o rendendo elettive alcune cariche della Commissione.
Tuttavia la mancanza di una elaborazione più profonda sulla democrazia e sulla rappresentanza nell’UE, oltre a testimoniare la crisi teorica della socialdemocrazia europea, rischia di far apparire questi temi in secondo piano rispetto alla costituzione di un’Europa unitaria; come a dire che la priorità è fare l’Europa, e poi dotarla di strumenti democratici atti a rappresentare le istanze sociali. Il problema è che questa è esattamente l’attitudine che ha portato agli attuali problemi dell’Unione, e che ha mandato in crisi i partiti socialdemocratici, schiacciati tra l’europeismo neoliberale e i sovranismi.
Vedere l’Europa come un valore in sé, invece che come uno strumento per realizzare obiettivi storici e sociali, rischia di far perdere la bussola ai progressisti, e spiega anche la fascinazione che alcuni, a sinistra, hanno avuto per figure come Emmanuel Macron. Fare dell’Europa l’unica posta in gioco dello scontro politico, in linea con la vulgata sempre più diffusa per la quale non esisterebbero più la destra e la sinistra, ma solo chi vuole un mondo aperto e chi un mondo chiuso, vuol dire rinunciare a sostenere un progetto europeo che sappia porsi come democratico e rappresentativo delle rivendicazioni sociali dei cittadini. Significa, in altri termini, chiudere l’unico spazio politico oggi legittimamente occupabile dal socialismo europeo.
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