Geopolitica

La Grecia prende la via di Mosca e pone l’Europa al bivio

9 Aprile 2015

Avevamo lasciato il governo Tsipras mandare letteralmente “in porto” le trattative con Pechino per la gestione del Pireo, lo ritroviamo ossequioso e ligio nel rispettare le scadenze con il Fondo Monetario-450 milioni di dollari versati-  e recentemente impegnato con Mosca a discutere su una possibile sinergia tra Grecia e Russia per distribuire il gas in Europa.

Vero  è che l’incontro con Putin era da tempo in agenda, vero altrettanto che con Tsipras non si sta davvero mai fermi: da Bruxelles a Roma, da Parigi a Pechino passando per Berlino, adesso anche Mosca. Un’odissea apparentemente interminabile quella del premier greco, che a tratti ci fa quasi scordare la giovinezza -tre mesi neanche- di questo esecutivo. Non c’è il tempo di fermarsi ad analizzare un passaggio che già si è rivolti al successivo. Prima la Troika, poi la Cina, poi la Russia, poi l’FMI. Concertazioni con chiunque, trattative aperte su tutti i fronti, nonostante da più parti si affrettino a paventare “il rischio default”, nello stile da pompiere che spesso contraddistingue un certo tipo di stampa allineata: “La Grecia rispetta i tempi, ma è a rischio default”, come per dire “non esultate troppo” e dove magicamente la notizia diventa non il rispetto delle scadenze ma il rischio default, di fatto una non-notizia. Ma veniamo al piatto più ricco, ossia al vertice greco-russo, che di ortodosso questa volta ha avuto ben poco:

«Con il Presidente Putin abbiamo posto le basi per un ruolo sostanziale nel riavvio dei rapporti tra il nostro paese e quello russo -scrive oggi Tsipras- La Grecia è un paese sovrano con un diritto di eseguire la politica estera a più dimensioni per sfruttare al meglio il suo ruolo geopolitico. Rispettiamo i nostri impegni con le organizzazioni internazionali e siamo pronti a utilizzare tutte le opportunità a livello internazionale».

Intanto  dopo l’incontro sia dalla Germania come da oltreoceano  sono arrivate reazioni composte ma piuttosto diffidenti, pronte a considerare quello di Tsipras verso la Russia come un errore di tempistica o come un illusorio palliativo che non eviterà ad Atene di affrontare il conto aperto con Bruxelles e con Berlino. Per l’eurodeputato tedesco dei Verdi, Rebecca Harms, «Atene potrebbe dare il segnale di come sia possibile un orientamento verso Mosca e non verso Bruxelles», giudicandolo «un grande errore»; per il quotidiano Die Welt in poche ore si passa dal monito secondo cui «Nessun accordo compensatorio o speciale con la Russia aiuterà il governo socialista in Grecia» alla teoria che ci racconta come in realtà Putin avrebbe rimandato a casa Tsipras a “mani vuote”. Sempre in Germania, il cristiano-democratico Brok ha addirittura consigliato di “monitorare” Tsipras e le sue tendenze russe. Il concetto è stato ripetuto dal deputato cristiano-sociale bavarese Markus Feber, che ha consigliato ad Atene di non cedere alla proposta russa sui prodotti agricoli, in quanto l’unico obiettivo di Putin è quello di evitare le sanzioni costruendo un varco nell’Unione Europea, tutto questo partendo ovviamente dall’assioma secondo cui a soffrire di immobilismo economico sia la Russia, e non l’Ue.

Ma quali sono questi accordi sulle esportazioni, se la Grecia fino a prova contraria è ancora un paese dell’Unione Europea, e se l’Unione Europea è in guerra economica con Mosca?

«Non possiamo molto per un paese dell’UE ma possiamo trovare un modo per creare imprese comuni», ha detto Putin in relazione al possibile ruolo esterno della Russia nella crisi greca, e non lesinando certo puntualizzazioni sul braccio di ferro con Washington e Bruxelles per la questione ucraina: «la Grecia è stato costretto a votare a favore di sanzioni contro la Russia», ha detto Putin, specificando che «il 90% delle esportazioni della Grecia in Russia sono prodotti agricoli, ma non possiamo fare altrimenti, perché non ci possono essere eccezioni con un paese dell’Unione Europea». E quindi? E quindi la situazione è ancora tutta da definire. Sicuramente in futuro i due paesi inizieranno un percorso di creazione di società greco-russe in territorio russo con gli esportatori greci di prodotti agricoli, che possono portare i loro prodotti in Russia. Questo processo però non è considerato una vera e propria esportazione, in quanto  si tratterebbe di società anche russe in cui, però, parteciperebbero investitori e produttori greci. Questo eviterebbe ai prodotti di essere bloccati per legge, e darebbe non poco respiro aun settore -quello delle esportazioni- fortemente vessato.

Ma veniamo al discorso del gasdotto, questo Turkish Stream, su cui i due leader sono stati più esaustivi. Tsipras ha chiaramente detto di essere avverso alla guerra economica contro Mosca, mentre ha ribadito di essere d’accordo con il protocollo di pace approvato a Minsk. quindi ha parlato dell’intenzione di finanziare il gasdotto che bypassi la zona ucraina e che arrivi nel cuore dell’Europa attraverso il confine tra Macedonia e Grecia.

La questione è molto più spinosa e importante di ciò che si pensi, anche perché quella del gasdotto alternativo è un’idea non certo nuova da parte di Putin. C’era infatti un progetto chiamato South Stream, nato nel 2007, che aveva già messo in cantiere questa eventualità. Oggi tutti i giornali parlano di sostituzione tra South Stream -vecchio progetto russo- e Turkish Stream: due alternative di gasdotto, tratte differenti, tempi di concepimento e di realizzazione differenti, proscenii differenti.

 

Tutte le tratte (eventuali e proposte) dei gasdotti euroasiatici
Tutte le tratte (eventuali e proposte) dei gasdotti euroasiatici

 

 

Riavvolgiamo il nastro, e torniamo al 2007. In Italia il Premier è Romano Prodi, vacillante come non mai. Tuttavia i colossi energetici Eni e Gazprom già da un anno si incontrano per elaborare sinergie strategiche.

Eni e Gazprom hanno firmato oggi, alla presenza del ministro dell’Industria ed Energia della Federazione Russa Viktor Khristenko e del ministro dello Sviluppo Economico Pierluigi Bersani, un memorandum d’intesa per la realizzazione del South Stream, un sistema di nuovi gasdotti che collegheranno la Russia all’Unione Europea attraverso il Mar Nero.

Così l’ufficio stampa dell’Eni, il 23 giugno 2007, annuncia la riuscita della trattativa. Un investimento tra i 19 e i 24 miliardi di euro per il finanziamento di un condotto che sarebbe dovuto passare sotto il Mar Nero ed attraversare Grecia, Bulgaria, Serbia, Ungheria, Romania, Slovenia, Croazia e Austria. Nel gennaio del 2008 il governo Prodi cade, e nel maggio del 2008 le elezioni segnano il ritorno di Berlusconi. La trattativa tra Eni e Gazprom però non sembra risentire del cambio di guardia, anzi: è proprio nel 2008 che i due colossi fondano la società South Stream A.G. (50% Eni, 50% Gazprom), stanziando l’inizio dei lavori per l’inizio del 2013.

La strada, quella strada balcanica tra due mezze lune fertili, è quasi la stessa di Nabucco, che non è l’antico sovrano babilonese ma un progetto comune di approvvigionamento che fino al luglio del 2013 fu il più serio avversario del gasdotto South Stream. Nell’intesa facevano parte Turchia, Bulgaria, Romania, Ungheria, Austria e Germania: i turchi come primo tassello del percorso -i giacimenti di estrazione sarebbero stati quelli al confine tra Turchia e Iran-, i tedeschi come ultimo. In mezzo, i paesi attraverso cui la via del gas avrebbe dovuto distendersi, nel suo obiettivo di emancipare l’Europa del gas dalla Russia. Erano i tempi di un’Ucraina molto diversa da questa, quella che chiudeva i rubinetti e che lasciava mezzo continente nella prospettiva di congelamento – effettivo, in quel caso.

Con la via principale bloccata, con il North Stream canale riservato per il nord europa sull’asse Russia-Germania, al sud restavano poche scelte. Nabucco da una parte, South Stream dall’altra. Nabucco europeo, South Stream russo. No, anzi, Nabucco europeo e South Stream sì russo, ma anche italiano. O meglio, gas russo trasportato su materiale italiano: il ruolo dell’Eni infatti si sarebbe limitato alla realizzazione delle tubature -tramite Saipem, “Società Anonima Italiana Perforazioni E Montaggi”-. Scrive Carlo Stagnaro nel dicembre 2010:

South Stream vuol dire 900 km di tubo sottomarino che solo Saipem può realizzare, e qualche altro centinaio di km a terra. Nabucco sono 3.300 km tutti a terra, che possono essere divisi in lotti e affidati a “n” soggetti ugualmente bravi. Cioè, South Stream dà la certezza di una grassa commessa per Saipem; Nabucco no. I giochi sono solo e tutti lì.

E noi a pensare che fosse tutto per via del rapporto compagnesco Putin-Berlusconi. La questione era ben altra e ben più alta, la competizione agli approvvigionamenti. Competizione giocata su più fronti: in Italia, con la famosa deposizione di Berlusconi, diventato troppo scomodo, giudicato inadeguato -non per noi, ma per tutti. In Bulgaria, con pressioni occidentali su Sofia per bloccare il progetto russo.

Se l’Europa non vuole realizzarlo -South Stream-, allora vuol dire che non sarà realizzato. Favorendo il flusso delle risorse energetiche in altre regioni del mondo. Non abbiamo ottenuto i permessi necessari dalla Bulgaria, così non possiamo continuare il progetto. Non possiamo fare investimenti solo per fermarli alla frontiera bulgara.

Così Putin nel dicembre 2014, a rimarcare volutamente e in suo stile l’ostilità -a detta sua gratuita- dell’Ue nei confronti di Mosca.

Il progetto Nabucco nel frattempo fu accantonato un anno e mezzo prima (luglio 2013) in favore del TAP (Trans Adriatic Pipeline), un progetto più ridimensionato che prevede una rotta Grecia-Italia con la collaborazione della Turchia, e che allaccerebbe il Trans Adriatic Pipeline al Trans Anatolic Pipeline.

Nabucco accantonato, problemi risolti? Neanche per idea. Scrive Fabio Indeo su Limes, è appunto il luglio del 2013:

La scelta di Tap e il congelamento di Nabucco priverà Bulgaria, Romania, Ungheria (che teoricamente avrebbero dovuto essere alimentate da quest’ultimo) di una rotta alternativa di approvvigionamento, indispensabile per rafforzare la loro sicurezza energetica, mantenendo inalterata la loro profonda dipendenza dalle importazioni russe: sia sufficiente considerare che Bulgaria e Romania soddisfano oltre il 90% della loro domanda di gas attraverso importazioni dalla Russia. Una delle principali beneficiarie di questo scenario in evoluzione appare proprio Mosca, in quanto la realizzazione di Tap risolverà a suo favore la competizione geopolitico-energetica che vedeva contrapposti il progetto Nabucco e il gasdotto South Stream: ora la Russia potrà consolidare i propri legami energetici con i paesi dell’Europa sudorientale esclusi dal corridoio meridionale (praticando anche delle riduzioni sul prezzo del gas). I 10 mmc di gas trasportati da Tap non scalfiranno la preminente posizione russa sul mercato europeo, mentre i 30 mmc di gas previsti da Nabucco avrebbero rappresentato circa un terzo delle importazioni attuali di Mosca verso l’Ue.

Il paradosso che emerge insomma è quello secondo cui in Europa si preferisce il ridimensionamento e la sudditanza ostile nei confronti di Mosca, piuttosto che avviare una seria trattativa. O meglio, la sensazione è che a trattare con Mosca possano essere solo alcuni partner privilegiati -vedi accordo Germania-Russia sul North Stream- e che comunque la degna schiavitù imponga di raccogliere le briciole piuttosto che inchinarsi all’antipatico e opulento vicino, col risultato di arricchirne influenza e potere senza poter trarne vantaggio in alcun modo.

La sensazione è che Tsipras sia stato il primo leader europeo ad ufficializzare un rapporto trasparente con Mosca, a partire dal rifiuto delle sanzioni. Questo non in nome di chissà quale principio etico o ideologico, ma in nome di un realismo politico che appariva perduto, su piccola e su larga scala. Si traccia il percorso appunto, come spiega Panagiotis Tsoutsis sul quotidiano greco Ethnos

Notare come il presidente russo Vladimir Putin abbia osservato che la parte greca “vuole promuovere la privatizzazione delle imprese statali”, esprimendo la volontà della Russia di partecipare a concorsi. L’interesse del governo russo è vivo nell’ investire in infrastrutture come porti, trasporti (UCI TRAINOSE) e questo era evidente dalla partecipazione alle discussioni del presidente di Gazprom Alexei Miller, del presidente delle Ferrovie russe Vladimir Giakounin e del ministro delle finanze Anton Silouanof

Scrive Vittorio Da Rold su IlSole24Ore:

Se Atene accetterà di aderire all’estensione del Turkish stream, il gasdotto che dovrebbe sostituire il South Stream, la Grecia potrebbe diventar un hub energetico di prima grandezza. Certo l’Europa rimarebbe legata al solito fornitore russo, il cui gas cambierebbe percorso saltando l’Ucraina, ma non risolverebbe il problema della diversificazione dei produttori. Questo però per Putin è solo un dettaglio.

A Putin non interessa la diversificazione dei produttori, ma all’Europa non interessa neanche la diversificazione dei consumatori, leggasi “concorrenza”, per intenderci quella che potrebbe permettere alla Grecia -grazie alla collaborazione russa- di abbattere i prezzi sui costi, di far crescere il PIL, di creare occupazione. Perché se si parla di riforme, è opportuno prima di tutto dare il significato a questo nome: «parlare di riforme in Grecia è come parlare di democrazia in Iraq» ha dichiarato il ministro del tesoro greco Ianis Varoufakis durante un convegno dell’OCSE a Parigi: «In Grecia -così Varoufakis- abbiamo bisogno di dare alla parola ‘riforma’ un buon nome. L’unico modo per farlo è quello di attaccare gli interessi radicati che stanno dietro i governi precedenti e hanno cercato di imporre alla società la necessità di riforme, mentre rifiutano le riforme stesse».

Cambiare per dare forma nuova, ecco come la Grecia incarna il ruolo di laboratorio continentale dell’Europa che potrebbe essere, ecco perché Tsipras sembra così dinamico in questo universo anchilosato chiamato Ue. E infatti tornando agli accordi con Mosca, guardando il contraltare appare strano come nell’Eurozona si parli continuamente di flessibilità in ogni settore, ad eccezione di quello geopolitico e geoeconomico. Da una parte l’orgoglio russo, dall’altra la remissività europea che paga scontri ideologici in cui non recita neppure la parte da protagonista: questo il destino monolitico di un continente incartapecorito, mentre alla sua periferia più vessata è affidato il compito -chissà con quale patrocinio- di indicare un possibile sentiero, iniziando a spiegare che un’Europa con le spalle rivolte a Mosca è un’Europa destinata rapidamente a prosciugarsi sotto i colpi dell’autolesionismo.

 

 

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