Libia, ecco la proposta Onu per un governo di unità unazionale
Il 24 marzo 2015 la United Nations Support Mission in Libya (Missione di Supporto delle Nazioni Unite in Libia, UNSMIL) ha per la prima volta presentato una proposta pratica di governo di unità nazionale. In sei punti questa proposta dovrebbe strutturare un potere politico capace di trascinare il paese fuori dalla crisi in cui versa da ormai quasi un anno: una vera e propria guerra civile che ha opposto una compagine occidentale con sede governativa a Tripoli e una compagine orientale con sede governativa a Tobruk, l’una priva e l’altra invece pienamente dotata di legittimità internazionale.
Precisando che si tratta solo di proposte prodotte dagli esponenti libici di entrambi i governi che in questi mesi si sono riuniti, non senza difficoltà, proprio sotto l’egida delle Nazioni Unite, il documento propone:
1. Un esecutivo tecnico, i cui elementi siano privi di esplicite affiliazioni politiche, riunito in un Consiglio Presidenziale.
2. Un parlamento costituito dall’attuale legislativo riconosciuto, quello appunto orientale: la House of Representatives (Casa dei Rappresentanti, HOR) di stanza nella cittadina di al Baida, che costituisce il risultato delle elezioni del 25 giugno 2014. La differenza sarà che mentre ora questo legislativo rappresenta di fatto la sola Libia orientale, una volta deciso il governo di unità nazionale, lo stesso diventerà, come recita il documento, «rappresentante di tutti i libici».
Seguono altri quattro corpi le cui funzioni e i cui rapporti reciproci dovrebbero essere oggetto delle prossime discussioni: un «Alto Consiglio di Stato ispirato da simili istituzioni esistenti in un numero di paesi. Un’istituzione fondamentale nel governo dello Stato»; un’Assemblea costituente col compito dare alla Libia una Costituzione definitiva che si sostiutisca a quella provvisoria dell’agosto 2011 o che la integri; un Consiglio di Sicurezza Nazionale e un Consiglio delle Municipalità che il presidente dell’UNSMIL Bernardino Leon, in conferenza stampa a Bruxelles insieme all’Alto Rappresentante europeo Federica Mogherini, ha presentato in anteprima come un corpo fondamentale nelle future istituzioni libiche.
Benchè sia bene ricordare ancora il carattere puramente propositivo di questi punti, è anche lecito pensare che di fatto questi costituiranno quanto meno una bozza di partenza per le definitive istituzioni. Che nelle intenzioni dovrebbero essere rese note, complete dei nomi delle personalità che ne faranno parte, entro la scadenza dello stesso mandato dell’UNSMIL: il prossimo 31 marzo.
Sembra molto probabile, comunque, che il mandato dell’UNSMIL, la cui scadenza era stata inizialmente prevista per il 13 del mese, venga prolungato fino al 15 settembre 2015.
La creazione di queste strutture unitarie darà il via libera all’azione della comunità internazionale, che proprio in sede europea in aprile dovrebbe presentare delle proposte concrete di intervento: difficilmente, pare, si tratterà di un intervento militare.
Prima domanda: come si risolverà la questione militare di Khalifa Hafter?
La situazione politica e, soprattutto, militare che fa da sfondo alla pubblicazione di questo comunicato è molto complessa e tesa: gli ultimi giorni, in particolare, hanno registrato una nuova intensità dell’attività militare orientale nell’area occidentale attorno a Tripoli, colpita soprattutto con l’utilizzo dell’aviazione. Secondo dati comunicati all’ANSA proprio dalla struttura militare del governo occidentale, la coalizione Libya Dawn, sono stati 11 gli armati della sua parte morti negli scontri più recenti, mentre la parte avversa avrebbe subito 13 perdite. Nei social networks, invece, si parlava giusto il 23 marzo di un importante capo militare islamista morto negli scontri di Bengasi, Est della Libia, primo e maggiore teatro di guerra del paese, dove la situazione sembrerebbe volgere a favore della compagine governativa di Tobruk. Il giorno stesso anche il Libya Herald riportava la notizia, ma c’è da dire che mentre l’alleanza tra il governo di Tobruk le milizie della città occidentale di Zintan, da cui partono per motivi geografici la maggior parte degli attacchi verso l’area della Capitale, è praticamente ufficiale, meno esplicita appare l’alleanza di Tripoli con le milizie che a Bengasi si oppongono al governo orientale.
Rilevare la complessità del panorama militare libico non è questione di secondo piano, perché potrebbe essere proprio quello, il piano militare, a costituire uno dei nodi principali da risolvere entro fine mese per creare un governo finalmente unitario.
Il punto è che il 9 marzo la HOR ha ufficializzato definitivamente la propria alleanza con la Operation Dignity del Generale Khalifa Hafter, la stessa che, all’epoca ancora illegale, aveva iniziato il 16 maggio 2014 la guerra cittadina di Bengasi contro le milizie islamiste presenti in città. Con l’evolversi della crisi, la conquista dell’aeroporto internazionale di Tripoli da parte della Libya Dawn e lo spostamento dell’esecutivo e del legislativo a Est, la Dignity è diventata di fatto l’esercito del governo legittimo ed è riuscita gradualmente a far entrare propri elementi in posizioni importanti dello stesso: per esempio il Capo di Stato Maggiore Abdel Razeq al Nazouri lo scorso agosto. E ora, con la cerimonia del 9 marzo scorso, lo stesso Khalifa Hafter, già gheddafiano della primissima ora nel settembre 1969 e poi ribelle nel 2011, è diventato parte delle strutture ufficiali come Capo delle Forze Armate.
Dal momento che Hafter non sembra fare grande differenza tra i vari tipi di islamisti che gli si oppongono, Tripoli, il cui parlamento contiene invece una buona preponderanza di tali forze politiche, non potrebbe vedere di buon occhio la presenza del Generale nell’esecutivo unitario e infatti ha chiesto almeno una volta a Bernardino Leon, sempre prudente senza mai troppo esporsi nelle questioni più delicate, di esprimersi in merito.
Nulla si sa ancora dei nomi dell’esecutivo e quindi tanto meno si sa di quelli militari, ma è difficile nascondersi che questi saranno i più delicati: sia Tripoli che Tobruk devono gran parte del loro potere a un rapporto non necessariamente diretto e limpido con le milizie sul campo, più che ai nomi che vigono all’interno dei palazzi del potere e soprattutto ad Est quello di Khalifa Hafter è stato un nome che dall’inizio ha catalizzato su di sé l’attenzione, favorevole o sfavorevole che fosse: Tripoli non ha motivi di volerlo nelle strutture politiche unitarie, Tobruk non ha motivo di scaricarlo con leggerezza nemmeno un mese dopo essersi unita a lui. Non è un caso, infatti, che tra le due sia stata Tripoli, soprattutto negli ultimi tempi, ad andare più all’unisono con le Nazioni Unite e col loro progetto di pacificazione; sicuramente molto più di Tobruk, che il 4 marzo, al Consiglio di Sicurezza, per mezzo del proprio rappresentante Ibrahim Dabbashi ha rivolto parole durissime all’intera comunità internazionale; facendo temere in quei giorni una crisi che però sembra essersi – almeno in parte, almeno per ora – assorbita.
Secondo Mattia Toaldo dell’European Council on Foreign Relations (Consiglio Europeo sulle Relazioni Estere, ECFR) Hafter sarà addirittura il vero elemento capace di decidere la fine o la continuazione delle ostilità, indipendentemente dall’esito del Dialogo Nazionale. Scrive l’analista italiano a conclusione di un suo recente articolo: «Se i colloqui sono destinati ad avere successo e se il governo consensuale opererà effettivamente da Tripoli, sta ad Hafter chiudere l’offensiva contro Tripoli. Ma questo difficilmente accadrà se lui ha amici tanto potenti [Egitto e Emirati Arabi Uniti] nella regione e amici potenti tra quelli amici in Europa, in particolar modo i governi italiano e francese».
Seconda domanda: quale posizione per Tripoli nelle nuove strutture unitarie?
Nei mesi precedenti infatti Tobruk non aveva mai posto l’accento sulla necessità di unirsi con un governo che per altro lei considera abusivo, ma aveva invece richiesto esplicitamente, anche forte dell’appoggio egiziano, che il suo esercito venisse armato ed equipaggiato per far fronte a quella che, senza troppe scremature tra Stato Islamico, Ansar al Sharia e compagine tripolina, indicava come una minaccia terroristica potenzialmente pericolosa anche fuori dai confini nazionali. E aveva indicato una linea rossa da non superare mai: l’esistenza stessa della HOR eletta nel giugno 2014.
Differente era invece stata la retorica delle diverse entità internazionali, dall’Unione Europea alle Nazioni Unite: il terrorismo interno alla Libia, che esiste ed è pericoloso anche per gli altri Stati dell’area sia africana che europea, deve essere superato da Tripoli e Tobruk insieme. E Tripoli, che diversamente non può ambire ad alcun riconoscimento ufficiale, era stata ben felice, dopo un’iniziale diffidenza, di appoggiare quella retorica.
Il 4 marzo Tobruk, per bocca quindi di Dabbashi, torna a parlare con la comunità internazionale e lo fa, come già detto, con un tono diverso ma anche con un contenuto parzialmente diverso: vada il governo di unità nazionale ma a condizione che la HOR dia la propria conferma per il nuovo esecutivo. Il punto due del nuovo documento dell’UNSMIL sembra esaudire in pieno questo desiderio, ma è legittimo chiedersi, nella contrattazione che lo ha preceduto e che seguirà, quali garanzie avrà chiesto e ottenuto Tripoli. Dal momento che alla fazione orientale va il parlamento e alla fazione orientale va, presumibilmente, anche una certa influenza decisionale su un esecutivo che dovrebbe essere tecnico e privo di affiliazioni politiche, viene da guardare almeno agli altri corpi per cercare, invano fino a che non se ne saprà di più, tracce dell’attuale compagine occidentale.
Bernardino Leon ha sottolineato, in conferenza stampa il 25 marzo, l’importanza del «principio di legittimità e di inclusione, che significa con tutti i membri del parlamento», ma sempre Toaldo sottolinea anche che «l’inclusività è stata un problema del parlamento di Tobruk sin dall’inizio: alcuni dei suoi membri non sono stati eletti per questioni di sicurezza, mentre altri lo hanno boicottato a causa della sua posizione nel feudo territoriale di Hafter, nonostante la Costituzione ne avesse stabilito il posizionamento a Bengasi».
Entro qualche tempo questi quesiti potrebbero – e dovrebbero – avere qualche risposta.
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