Geopolitica

La necessità di dialogare con lo Stato Islamico

26 Novembre 2014

Ora che l’ha detto anche Papa Francesco, mi sento un po’ rassicurato nel pensare che si debba (o almeno che si possa) dialogare con lo Stato Islamico, dialogare con al-Baghdadi e i suoi militanti nonostante si siano resi responsabili di indicibili carneficine, di sgozzamenti, di terrorismo anche mediatico; nonostante abbiano minacciato di portare la sharia anche a casa nostra. Ma prima di tutto, che cosa ha detto il Pontefice? “Non so se si possa dialogare con lo Stato Islamico, ma io non chiudo mai una porta. È sempre aperta”.

Ecco, la strategia occidentale è stata invece fin dall’inizio quella di chiudere ogni porta alla possibilità di intraprendere un dialogo con lo Stato Islamico, passando invece direttamente ai bombardamenti. D’altra parte, come si fa ad aprire un canale di comunicazione con dei “pazzi terroristi fanatici”? Dietro a questo modo di operare, però, c’è una grossa ipocrisia, fatta di bombardamenti “soft” (un paradossale modo di dire per intendere che non c’è stata nessuna massiccia campagna che mirasse a distruggere l’Isis, ma solo un coinvolgimento limitato, per non esporsi –  e spendere – troppo) che hanno consentito all’Isis, fino a oggi, di proseguire quasi indisturbato nella sua espansione e consolidamento.

Se lo Stato Islamico continua a esistere è perché, in una certa misura, gli viene consentito. E gli viene consentito perché una campagna di bombardamenti tale da fare tabula rasa dei militanti islamici causerebbe un numero spaventoso di vittime civili, di innocenti. I bombardamenti “soft”, invece, causano un numero che evidentemente si considera ragionevole di vittime, numero al quale si dovrebbe sommare però anche quello delle persone che muoiono per mano delle persecuzioni dell’Isis, alle quali non si riesce a porre fine.

Non è ipocrita tutto questo? Lo è, eccome. Almeno tanto quanto è ipocrita dire che “non si può parlare con i terroristi” nel momento stesso in cui un alleato di ferro degli Stati Uniti come l’Arabia Saudita pratica le decapitazioni (e non solo) senza che nessuno alzi un dito. Certo, per aprire un canale di comunicazione bisogna almeno essere in due, e non è affatto detto che al-Baghdadi sia interessato a dialogare. Manca la controprova, però, perché nessuno – almeno da quello che si sa – ci ha mai nemmeno provato.

Sarebbe il caso di farlo, invece, almeno di provarci. Perché la geopolitica, le strategie internazionali, non si sono mai fermate tanto sulle questioni etiche, ma si sono sempre basate su un principio di realpolitik che aveva il solo scopo di portare a casa il risultato. Nel corso dei decenni si è trattato con i talebani, si è trattato con l’Ira e con l’Eta (terrorismi diversi, ma non è questo il punto), a volte ottenendo buoni risultati, a volte no.

Dialogare con lo Stato Islamico, per ottenere cosa? Difficile a dirsi adesso. Adesso che l’intero Occidente non sa nulla dell’Isis se non quello che l’Isis stesso – attraverso le sue ottime campagne di comunicazione e le sue tremende campagne di terrore mediatico, nelle quali andrebbero inclusi anche gli sgozzamenti – ci trasmette attraverso i suoi canali, i suoi video, le sue riviste, la sua propaganda. In un certo senso, lo Stato Islamico sta già comunicando con noi, forse – solo forse – siamo noi che non abbiamo capito che cosa sta cercando di dirci. Soprattutto non abbiamo idea di quali siano i veri obiettivi dell’Isis, al di là dei loro retorici proclami che andrebbero derubricati alla voce propaganda.

L’ha spiegato molto bene Lucio Caracciolo su Limes nel volume Le maschere del Califfo: “Se non riusciremo a coglierne i tratti profondi, a interpretarne le azioni e a coglierne gli scopi, contribuiremo a moltiplicarne la statura. Esattamente ciò che al-Baghdadi e associati desiderano. E perseguono finora con notevole successo (…) Fuori dai sensazionalismi e orientalismi di maniera, serve concentrarsi sugli scopi e sulle strutture che promuovono il “califfato”. È suggerito un esercizio di modestia, che senza mirare a ricavarne verità definitive tenti di rispondere ad alcune domande chiave”.

Nulla sappiamo dello Stato Islamico, delle frange che lo compongono, dei suoi veri scopi, di dove davvero vuole arrivare. Se crede nella sharia globale o solo nell’ottenimento di qualche pozzo di petrolio. Quel che è sicuro, è che fino a quando si muoverà battaglia ciecamente saranno le frange più estreme a dettare la comunicazione e la strategia del terrore. L’esperienza insegna che quando si cerca di dialogare, qualcuno disposto ad ascoltare salta fuori spesso e volentieri.Esistono ali moderate dell’Isis (come esistono dei talebani)? C’è un modo di prendere contatto con loro, per capire che cosa davvero vogliano al di là della propaganda e del terrore? Invece di restare succubi della loro comunicazione, sarebbe il caso di provare almeno a dare qualche risposta a queste domande, provando ad aprire un dialogo diretto con il nemico. Come si è sempre fatto.

@signorelli82

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