Questa è una di quelle storie di cui i giornali non trattano e che – se non avesse un contorno tragico attualissimo – parrebbe uscita da un libro di racconti degno di Kipling.
Questa storia potrebbe anche essere una delle recondite ragioni per la quale Arabia Saudita, Baherein, Yemen, Egitto hanno rotto col Qatar. Si dice infatti che quest’ultimo abbia eluso l’accordo sotteso di non dare benefici all’Iran e ai suoi alleati, Hezbollah in primis.
I protagonisti di questa storia ambientata tra Iraq, Iran, Siria e Qatar sono alquanto diversi tra loro: Guardiani della Rivoluzione Islamica Iraniani, Lealisti di Assad, Islamisti di Al Nusra (Al Qaeda), civili siriani filo governativi e ribelli, miliziani Iraqeni sciiti di Ketab Hezbollah, undici membri della famiglia reale qatariota, centinaia di falchi da caccia e per finire un paio di miliardi di dollari ($2.000.000.000).
Varie fonti sono concordi nel confermare che nel dicembre 2015 ventisei qatarioti, di cui 11 membri della famiglia reale, avessero deciso di recarsi per un battuta di caccia col falco in una zona desertica del Governatorato di Muthanna. Purtroppo per loro non passarono inosservati e per mesi nulla si seppe più di loro.
Nel contempo, da anni ormai, in Siria la guerra civile ha ormai interessato diversi attori regionali (Arabia Saudita, Emirati Arabi, Turchia, Iran,…) e soprattutto la popolazione civile con le drammatiche e tragiche conseguenze che in Europa conosciamo.
Entrando più nello specifico e addentrandoci nel plot intricato di questa storia, dal 2011 vediamo che le città in mano ai ribelli di Zabadani e Madaya, nei pressi di Damasco, patiscono un duro assedio dai lealisti di Assad, mentre dal 2015 nella provincia di Idib le cittadine filo governative di Fuoua e Kfarya subiscono la stessa sorte a parti invertite.
Per oltre due anni non si riesce a trovare una soluzione pacifica alle pesanti conseguenze che la popolazione civile di queste città subisce – parliamo di oltre 30.000 persone – ma a fine marzo 2017 succede qualcosa di inaspettato grazie alla mediazione qatariota e turca coi ribelli da una parte e quella iraniana e russa nei confronti di Assad. Si giunge infatti all’accordo di trasportare tutti i civili “ribelli” a Jarablus ovvero nella zona di controllo di milizie filo turche e di trasferire i civili “lealisti” ad Aleppo, ovvero in una città controllata dalle truppe di Damasco.
Purtroppo il teatro di guerra siriano non è pronto alle buone notizie e pertanto lo scambio di popolazione non è accettato da tutte le parti in causa: quando tutto sembra funzionare, lo scorso 15 aprile almeno 130 civili in fuga da Fuoua e Kfarya, per la maggior parte bambini, muoiono tragicamente in seguito all’esplosione di un’autobomba proprio mentre sostano ai controlli di sicurezza prima di lasciare la zona ribelle.
Quello che però passa in sordina, coperto dal tragico bilancio di piccole vite, è che sembra che per giungere allo scambio il Qatar abbia trovato l’accordo per liberare i famosi 26 suoi concittadini, di cui 11 membri della famiglia reale, catturati a fine 2015 in Iraq mentre erano impegnati nella battuta di caccia col falco. Accordo che, oltre allo scambio di popolazione in Siria, pare sia costato l’enorme cifra di due miliardi di dollari di riscatto. Se così fosse – chi avrebbe intascato questa enormità non si sa – ma sarebbe lecito aspettarsi che molti di questi soldi possano finanziare l’acquisto di armi in una zona dove le milizie locali sono già armate fino ai denti.
Risulterebbe allora più chiaro e coerente il perché l’Arabia Saudita e i suoi più stretti alleati, non accettando un accordo come questo, che romperebbe il tabù della trattativa con gli iraniani e con Assad, vogliano dare un segnale forte ai “traditori” qatarioti nelle maniere e con le conseguenze che leggiamo oggi su tutti i giornali.
Chissà se di questo hanno parlato i Sauditi col Presidente Trump nella sua prima visita ufficiale all’estero, che iniziava appunto da Rhiyad, e in cui era evidente l’assenza dei qatarioti, mentre erano presenti tutti gli altri capi di Stato, Egitto in testa, che hanno rotto i rapporti con Doha.
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