Geopolitica
La Turchia chiede il carcere per un comico tedesco
Fino a due settimane fa, Jan Böhmermann era un comico di successo in uno dei paesi più democratici del mondo. Conosciuto per il suo stile irrispettoso e tagliente, si era conquistato lo spazio di uno show personale sulla tv pubblica tedesca.
Oggi, Jan Böhmermann rischia di passare fino 5 anni in un carcere tedesco. La sua colpa? Aver offeso e insultato il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan.
LA PRIMA CANZONCINA
Tutto inizia il 17 marzo, quando il programma satirico extra 3 del network pubblico das Erste manda in onda una video-canzone che prende in giro Erdoğan, concentrandosi sulla sua gestione dell’ordine pubblico e della libertà dell’informazione.
Erdoğan non la prende per niente bene. Il 22 marzo la Turchia convoca ufficialmente l’ambasciatore tedesco per chiarimenti. Secondo alcune agenzie di stampa, la richiesta turca alla Germania è la cancellazione totale del video. La prima risposta del governo tedesco è una formale e pacata difesa della libertà d’espressione.
Convocare un ambasciatore per una canzone satirica è, per usare un eufemismo, un po’ esagerato. Comunque, dopo un paio di telefonate Berlino-Ankara, la questione potrebbe anche finire lì.
Ma non è così che evolvono le cose. Se per la Turchia quella canzoncina è una provocazione, per alcuni comici tedeschi la vera provocazione diventa proprio la richiesta turca di censura.
LO SBERLEFFO TOTALE
È Jan Böhmermann a decidere di rilanciare e rispondere per le rime. E lo fa in maniera inequivocabile.
La sera del 31 marzo il comico va in onda sul canale pubblico ZDFneo con il suo abituale show settimanale Neo Magazin Royale.
A un certo punto, Böhmermann si presenta con una bandiera turca alle proprie spalle e un ritratto di Erdoğan appeso al muro. Dichiara quindi di voler spiegare chiaramente cosa, al contrario della buffa canzoncina dei suoi colleghi di extra 3, possa davvero essere una satira illegale in Germania.
Il comico inizia quindi a declamare una poesia satirica dal titolo Schmähkritik. La poesia è completamente dedicata a Erdoğan, e l’escamotage dell’autore del dissociarsi dalle proprie stesse parole non ne mitiga il senso.
Nel giro di un minuto di recitazione, Böhmermann non risparmia nessun attacco al presidente turco, spaziando dalla zoofilia alla pedofilia, dalla micropenia a diverse perversioni, citando anche, forse molto più seriamente, le persecuzioni dei curdi e le violenze sulle donne.
Con la scusa di voler chiarire i limiti della satira in Germania, Böhmermann lancia la più plateale provocazione nei confronti della leadership turca. A scanso di ogni equivoco, durante la recitazione la poesia viene anche sottotitolata in turco (un dettaglio non trascurabile, in una Germania che conta quasi tre milioni di cittadini turchi o di origine turca).
PROCESSATE QUEL GIULLARE
Come prevedibile, Erdoğan se la prende ancora di più della prima volta.
Non solo, se l’aperta provocazione di Böhmermann voleva indagare i limiti legali della satira in Germania, nel giro di pochi giorni ne spunta uno che sembra fare proprio al caso suo.
Si tratta del limite alla satira sancito, di fatto, dal paragrafo 103 del Codice Penale Tedesco, che prevede una specifica pena in caso di offesa a un Capo di Stato estero. La legge è vecchia ed è stata a lungo dimenticata, ma ora sembra perfetta per punire l’assalto antidiplomatico del comico. Una particolarità della legge è quella di venire applicata nel momento in cui sia lo stesso Capo di Stato estero a chiederlo.
Per quanto riguarda la poesia di Böhmermann, il 10 aprile la Turchia richiede, de facto, l’applicazione della legge.
Il caso è ora nelle mani della procura generale di Magonza, assieme ad altri reclami e denunce contro la trasmissione e il suo autore. Sarà la giustizia tedesca a fare il suo corso: la pena massima in cui potrà incorrere il giullare politicamente scorretto è quella di 5 anni di carcere.
Ma è pur sempre il governo tedesco a dover ancora decidere, definitivamente, se accogliere o meno la richiesta di incriminazione di Böhmermann.
Nel frattempo, la televisione pubblica ZDF ha già rimosso, dopo nemmeno 24 ore dalla messa in onda, il video incriminato dalla propria videoteca.
Lo sketch resta però visibile a tutti, grazie al sito della Bild Zeitung, il giornale generalista più letto della Germania. Il video sta facendo il pieno di visualizzazioni e sta anche dimostrando la spaccatura dell’opinione pubblica sul caso. Tra le varie posizioni, non manca chi accusa il comico di un’impostazione razzista di alcuni cliché della poesia e chi sostiene che Böhmermann abbia rovinato la risonanza critica della prima canzone di extra 3, in cui l’attacco era più abilmente indirizzato alla politica del Presidente turco, piuttosto che alla sua persona. La verità è che, se la canzoncina dei comici di extra 3 era una contestazione antiautoritaria rivolta alla realtà turca, sembra che Jan Böhmermann abbia voluto soprattutto infiammare il dibattito culturale e politico della stessa Germania.
UNA QUESTIONE (GEO)POLITICA
La reazione della Cancelliera tedesca Angela Merkel al caso Böhmermann è, infatti, da sottolineare. Già il 3 aprile la Cancelliera ha avuto un colloquio con il Presidente del Consiglio turco Ahmet Davutoglu, occasione nella quale Merkel avrebbe riconosciuto la poesia del comico tedesco come un “insulto deliberato”, forse non ignorando che l’attacco di Böhmermann possa venire anche percepito come un attacco contro un intero popolo.
Inevitabilmente, il dibattito è ora diventato politico, profondamente politico, e le critiche alla cautela strategica di Merkel non si sono fatte aspettare.
Una delle più chiare prese di posizione è, fino ad oggi, quella di Thomas Oppermann, portavoce parlamentare della SPD, partito che è parte dell’attuale coalizione dello stesso governo Merkel. Oppermann ha apertamente dichiarato che l’onore di un Capo di Stato vale quanto quello di un normale cittadino, aggiungendo come la legge contro l’offesa di Capo di Stato estero sia obsoleta e vada eliminata.
Jan Böhmermann, intanto, ha praticamente scelto il silenzio. Il comico ha sospeso il suo programma sulla ZDF e, il giorno 8 aprile, non ha ritirato un premio televisivo che gli era stato precedentemente conferito, ironia della sorte, proprio per la sua attività satirica.
Come se non bastasse, è del 12 aprile la notizia, non meglio specificata, per cui Jan Böhmermann sia stato messo sotto la protezione della polizia. Una circostanza che non ha fatto che aumentare il sostegno al comico, in cui è difesa è anche partita una petizione su change.org (che sembra capace di raggiungere, entro breve, le 200 mila firme).
“JE SUIS CHARLIE”? NEIN, DANKE
Il caso non sembra destinato a sgonfiarsi.
Anche se, in linea di principio, è ancora difficile immaginare l’effettiva incarcerazione di un comico in Germania, la possibilità di creare un precedente è gravida di conseguenze, soprattutto se un interesse geopolitico dovesse prevalere sullo stato di diritto e se il governo tedesco continuerà nel suo imbarazzato barcamenarsi.
Da tempo, la politica tedesca si sta interrogando su quella che viene definita l’amicizia pericolosa tra Merkel ed Erdoğan, una relazione che evolve nel solco degli strettissimi rapporti tra i due stati, ma che, negli ultimi tempi, si sta trasformando. Soprattutto in occasione dell’attuale gestione della cosiddetta crisi dei migranti, la Turchia sembra voler inscenare una nuova e spregiudicata esibizione di potere contrattuale, non solo di fronte alla Germania, ma all’intera Unione Europea.
Nel frattempo, ci si potrebbe domandare come sarebbe andata se ad agire legalmente contro un comico europeo fosse stato un Silvio Berlusconi qualunque. Un politico che, nelle ultime fasi della sua presidenza del consiglio, è stato sbeffeggiato e sputtanato nelle televisioni di mezzo mondo. Non era, lui, nonostante tutto, un Capo di Stato estero?
Così come viene da chiedersi cosa farebbe oggi la Germania, se a esigere il processo di un comico fosse Vladimir Putin, il cattivissimo presidente russo di cui diversi articoli tedeschi ci segnalano senza sosta l’impostazione autoritaria.
Domande non banali, che puntano dritto al cuore degli attuali stravolgimenti europei. La facilità con cui le questioni politiche diventano geopolitiche, e viceversa, dimostra l’intensità storica dei mesi che stiamo vivendo.
La ragion di Stato non è mai una stupidaggine. Così come non lo sono i rapporti diplomatici, così come non lo è la realpolitik, così come non lo è l’esigenza di pace sociale interna ed esterna di un paese multiculturale come la Germania.
Quando si tratta di guerre, sicurezza, rispetto e vite umane, un governo può anche rivendicare il diritto di tenersi buoni degli alleati scomodi e perseverare in una strategia del compromesso.
Alla condizione, però, di trarne le più concrete conseguenze politiche.
Ad esempio, chi vuole sacrificare la libertà radicale sull’altare della governance, non dovrebbe mai più utilizzare, neanche per caso, uno slogan tanto abusato come “Je suis Charlie”.
Perché Charlie è proprio questa cosa qui: un tizio che dice cose assolutamente inopportune, totalmente sconvenienti, spesso insolenti, pericolosamente ambigue e politicamente controproducenti.
Guardando al presente, ogni giorno che passa, questo tizio, Charlie, sembra sempre più un piantagrane scomodo, emarginato e solo.
Charlie è oggi un migrante senza patria e con poco fortuna.
Charlie sta chiedendo asilo politico, ma nessun governante europeo sembra più disposto ad accoglierlo davvero.
Anzi, grazie agli ultimi accordi in tema di migranti, c’è il rischio che Charlie venga sbattuto proprio in Turchia.
Aggiornamento del 15.04.16, il governo Merkel ha deciso di autorizzare il procedimento contro Jan Böhmermann. Merkel ha dichiarato che la legge 103 verrà eliminata, ma a partire dal 2018. Quindi, ora, si può processare il comico. Leggi qua i dettagli: LIBERTÀ DI SATIRA? NEIN, ANZI JA. MA NON ORA, FRA 2 ANNI
Immagine: photo credit: Thomas Richter / Creative Commons License / Wikimedia.de
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