Geopolitica
Il Controcolonialismo di Erdoğan in Germania
Domenica, a Colonia, 40 mila turchi di Germania hanno manifestato in nome del Presidente turco Recep Tayyip Erdoğan. Una manifestazione durante la quale sarebbe dovuto intervenire in streaming lo stesso Presidente. La diretta è stata però vietata dalla Corte Costituzionale tedesca. Il motivo del divieto sarebbe dovuto a dettagli formali, ma non può nascondere l’irritazione di Berlino di fronte alla sempre più insistente e aperta propaganda politica di Erdoğan sul territorio tedesco. La reazione di Ankara alla decisione della Corte è stata impostata su quella che è diventata una consuetudine: convocare l’Ambasciatore tedesco in Turchia (o, in questo caso, il suo Vice). Il tutto è avvenuto nel pieno dell’ennesima disputa tra Turchia e UE: Ankara chiede l’esenzione dei visti per i cittadini turchi da ottobre, minacciando, come sempre, di far saltare l’accordo sulla gestione della cosiddetta crisi dei migranti. Un accordo che era stato fortemente voluto da Angela Merkel, in difficoltà in patria per le sue politiche dell’immigrazione, e che rende evidente l’escalation del confronto politico tra i governi tedesco e turco.
IL POPOLO DI ERDOGAN IN GERMANIA
Nel rapporto con la Repubblica Federale Tedesca, l’aspirante Sultano sembra sempre più spregiudicato nel mobilitare i suoi sostenitori politici in Germania. La mano lunga di Erdoğan sui turchi tedeschi si è incredibilmente rafforzata negli ultimi mesi, fino ad agitare un’intera comunità per affermare il potere contrattuale del Presidente. Ormai, ci troviamo quasi di fronte a una dichiarazione di sovranità su un’intera popolazione di donne e uomini residenti in Germania, utilizzati in nome di quello che può essere interpretato come un contro-colonialismo d’ispirazione post-ottomana. Se consideriamo un particolare rapporto di forza extraterritoriale come uno dei tratti essenziali del colonialismo, allora si può concludere che Erdoğan abbia messo in campo una forza sociale contro-coloniale, con cui intende affermare in uno stato estero i propri più diretti interessi ideologici, politici e religiosi.
Lo scorso novembre, quasi un milione di cittadini turchi ha partecipato alle elezioni politiche turche dalla Germania, scegliendo in modo chiaro la leadership del Presidente, il cui partito islamista AKP è stato votato dal 59,7% dei turchi tedeschi. Il resto dei voti è andato ad altre realtà, tra cui i partiti di minoranza come il HDP curdo, attestatosi attorno al 15% di voti.
Ed è qui che iniziano i problemi: la sovranità sostanzialmente rivendicata da Erdoğan in Germania non sembra solo volersi occupare di accudire i propri sostenitori, ma anche di intimidire e sfiancare i propri oppositori, nel solco della repressione sempre più diffusa in patria. Dopo il fallimento del cosiddetto golpe in Turchia, anche in Germania, infatti, i sostenitori del governo AKP si sono impegnati a scovare e, in alcuni casi, aggredire, i cosiddetti traditori, a partire da chiunque fosse vicino alle associazioni legate al movimento Gülen, indicato dal Presidente come il grande manovratore del fallito putsch.
La spaccatura tra fazioni delle comunità di origine turca in Germania si è rivelata subito una situazione incandescente, che la scorsa settimana era passata in secondo piano solo a causa degli episodi di terrore che hanno sconvolto la Baviera. Già il giorno 21 luglio, a meno di una settimana dal fallito golpe, il Ministro degli Interni tedesco Thomas de Maizière si era sentito in dovere di ricordare alle comunità turche e curde che non sarebbero stati accettati eccessi contrari all’ordine e al diritto dello Stato tedesco.
Come spesso accade, è nel momento in cui l’ordine pubblico e il controllo del territorio da parte delle istituzioni sembrano in pericolo che lo Stato tedesco interviene con immediata risolutezza.
LA MANIFESTAZIONE DI COLONIA
In questo clima si sono sviluppate le particolari precauzioni della Polizei in occasione della manifestazione pro-Erdoğan di Colonia, indetta dalla UETD (Union Europäisch-Türkischer Demokraten), un’emanazione diretta dell’AKP. La manifestazione di Colonia si è svolta con forti misure di sicurezza, anche a causa di almeno altre quattro contromanifestazioni nell’area. Diventa evidente come negare l’autorizzazione allo streaming dell’intervento del Presidente turco sia stata anche una scelta di ordine pubblico. Le autorità tedesche non avevano alcuna garanzia che Erdoğan non avrebbe ripetuto le dichiarazioni fatte nelle ultime settimane, in cui i suoi sostenitori erano stati invitati a ribellarsi ai cosiddetti traditori della patria.
La scarsa simpatia che si può avere per le operazioni autoritarie di Erdoğan, però, non permette di svalutare la legittima partecipazione di tanti turchi tedeschi alla manifestazione. Ci si trova, difatti, di fronte a un gioco abbastanza intricato e quasi perverso: i manifestanti di Colonia vivono in Germania e vedono nel celebre Presidente un simbolo della loro rivendicazione identitaria di migranti o figli di migranti. Al tempo stesso, Erdoğan sembra più interessato a utilizzare i suoi sostenitori all’estero per garantire geopoliticamente il proprio potere in Turchia e cavalcare il suo sogno di restaurazione ottomana.
Tra i tanti manifestanti di Colonia si è potuto vedere il volto più religioso-conservatore della diaspora turca, ma anche quello semplicemente nazionalista, ancora legato a una certa tradizione laica. Gruppi di persone che, magari, in Turchia si troverebbero addirittura in difficoltà con la svolta conservatrice e islamista dell’aspirante Sultano, ma che, in Germania, sono alla ricerca di punti di riferimento. In questo senso, è considerevole l’abilità dell’AKP di continuare ad attrarre più istanze sociali e culturali, pur mantenendo un’agenda di chiara regressione conservatrice dello stato e della società.
Paradossalmente, la parola d’ordine ripetuta come un mantra dai partecipanti alla manifestazione di Colonia è stata quella del “sostegno alla democrazia” turca, messa in pericolo dal tentato golpe. Un golpe che, in verità, è sembrato più la farsa finale di un’ormai tramontata via militare al laicismo, ma che continua a essere percepito da molti turchi come un tentativo d’ingerenza estera nel destino del loro Paese.
Le contraddizioni della folla di Colonia sono anche emerse quando molti manifestanti hanno, più volte, inneggiato al reinserimento della pena di morte in patria, per punire i traditori della nazione, nel pieno rispetto della retorica dell’AKP. Nella Colonia invasa di bandiere turche, il feticcio della democrazia è stato invocato dopo che il Governo Erdoğan, nelle ultime due settimane, ha compiuto circa 15 mila tra detenzioni e arresti, ha sospeso o rimosso decine di migliaia di impiegati pubblici e privati e chiuso con la forza numerosi organi d’informazione, a partire dai pochi media indipendenti che erano rimasti. Una grande manovra repressiva che, com’è chiaro a tutti quanti, è andata ben al di là della bonifica delle zone grigie in cui sarebbe nato il disastroso e disperato golpe militare. Una manovra che è andata a compiere il passo finale di una svolta autoritaria minuziosamente e strategicamente preparata nel tempo.
VERSO UNO SCONTRO DIPLOMATICO TRA TURCHIA E GERMANIA?
L’irritazione tedesca nei confronti del Governo turco sembra ora vicino al punto di non ritorno. Negli ultimi mesi, le pretese e i ricatti dell’aspirante Sultano si sono susseguiti senza sosta. Ad aprile, poco dopo il primo fragile accordo sulla gestione della cosiddetta crisi dei migranti, è scoppiato il caso del comico Jan Böhmermann, durante il quale il Governo Merkel si è mostrato a dir poco accondiscendente con la richiesta di censura del governo turco. Una richiesta che, già allora, è sembrata una rivendicazione di autorità extraterritoriale di Ankara sui cittadini turchi in Germania, che non dovevano avere il diritto di vedere, nemmeno in Germania, una forma di satira che in Turchia è da tempo sottoposta alla censura di Stato.
Al caso Böhmermann sono seguite, lo scorso giugno, le veementi proteste turche per il riconoscimento da parte del Parlamento tedesco del Genocidio degli Armeni. In quell’occasione, il campanello d’allarme è scattato quando una fin troppo orchestrata campagna di attacchi e minacce si è riversata contro i parlamentari tedeschi di origine turca che avevano votato in favore del riconoscimento dello sterminio degli armeni da parte dell’Impero Ottomano.
Insomma, in pochi mesi Erdoğan, che già non godeva di particolari simpatie, è riuscito ad assicurarsi nemici in tutto il Bundestag tedesco. I Verdi, guidati dal tedesco di origine turca Cem Özdemir, trovano proprio nel loro leader uno dei più acerrimi avversari dell’aspirante Sultano. Özdemir è probabilmente il vero anti-Erdoğan della comunità turca in Europa e c’è chi dice che il Presidente lo tema ancora di più degli oppositori che ha in patria. La Linke, invece, è da anni schierata in difesa dei diritti della minoranza curda, che, da sempre, cerca in Germania quella libertà e quella protezione negatele dallo Stato turco.
Ma non finisce qui, in questi giorni le risposte più secche nei confronti della Turchia stanno giungendo proprio dalla CDU, il partito di Angela Merkel, a conferma del fatto che i cristiano-democratici stessi siano decisamente insofferenti verso l’impossibile amicizia strategica tra la Cancelliera e il Presidente di Ankara.
Se Sigmar Gabriel, socialdemocratico e Vice-Cancelliere, si è limitato a far sapere alla Turchia che l’Europa non si farà sottoporre a pressioni per quanto riguarda le decisioni sui visti, quasi sprezzante è stata la dichiarazione del cristiano-democratico bavarese Andreas Scheuer, che ha sentenziato che le trattative sul tema della liberalizzazione dei visti non si svolgono in “un bazar turco” e che dovranno rispettare i criteri già stabiliti.
CHE COSA SIGNIFICA “INTEGRAZIONE”?
Della manifestazione di Colonia si è invece occupata la Presidente CDU del Land della Saarland, Annegret Kramp-Karrenbauer, che ha così commentato: “Quello che abbiamo visto a Colonia è anche il risultato di un’integrazione che non è avvenuta”. Una posizione che riafferma la preoccupazione politica di fronte a particolari forme di sovranità limitata dello Stato tedesco su specifiche comunità in Germania.
Già otto anni fa, nel 2008, proprio in Germania e proprio a Colonia, Erdoğan, che allora si spacciava ancora per un moderato, aveva fatto una delle sue più celebri dichiarazioni politiche. Pur affermando che l’integrazione dovesse essere l’obiettivo delle comunità turche in Europa, l’allora Primo Ministro aveva avvertito che il vero pericolo fosse una non meglio specificata “assimilazione” dei turchi immigrati all’estero. “L’assimilazione è un crimine contro l’umanità”, così aveva sentenziato Erdoğan, di fronte a oltre 20 mila turchi d’Europa.
Emergono, quindi, due interrogativi cruciali:
Che cosa intende il Governo turco per assimilazione?
Che cosa intende la Germania per integrazione?
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