Fumetti

L’età della febbre: oltre l’ego dopo gli anni del narcisismo

29 Luglio 2015

La precarietà obbliga alla necessità così come la letteratura vive (o dovrebbe vivere) stretta tra visione e bisogno. Nulla è più necessario di ciò che ci permette di vivere così come nulla è più necessario delle parole che si ha necessità di esprimere, e per farlo bisogna ricorrere alla precisione e sopratutto fare un esercizio di attenzione che sia rivolto più agli altri che a se stessi. Andare oltre l’ego dopo aver attraversato il deserto degli anni del narcisismo è il primo segnale di vivacità che mette in mostra la bella antologia curata per Minimum Fax da Christian Raimo e Alessandro Gazoia dal titolo (molto ben centrato) L’età della febbre. Storie di questo tempo (329 pagine, 16,00 euro).

Gli undici autori chiamati a scrivere rappresentano probabilmente seppur con tutti i limiti di una selezione limitata il meglio che la narrativa italiana sta proponendo in questo periodo e proporrà nei prossimi anni. La prima cosa da dire è che la situazione è molto meno grigia di quanto la retorica pubblicistica abbia lasciato pensare: all’interno de L’età della febbre ritroviamo delle storie la cui urgenza è straordinariamente vivace e se manca ad oggi un narratore o meglio un autore rappresentativo della generazione dei trentenni/quarantenni e che ne sia una guida o nume tutelare è più per una conseguenza dello stato comatoso delle imprese editoriali e in generale culturali di questo paese, ormai lasciate molto spesso alla periferia del dibattito pubblico. La febbre oltre che rappresentativa di un’età è principalmente uno stato ed in certi casi uno stato d’eccitazione che qui si rivolge principalmente ad un presente che è forse la materia più sconosciuta di questi anni ossessionati dal futuro e schiacciati dal passato. Il presente è la scena con le sue piccole noie quotidiane trasformate in stati dell’arte, passaggi emozionali e imprevisti carichi di suspense. Storie spesso semplici e quindi dirette, ma il cui percorso si snoda in equilibrio tra paranoia e realtà: una sorta di stato di trans dentro al quale i protagonisti di questi racconti percepiscono il proprio essere.

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L’età della febbre sembra preparare nella migliore e nella più preferibile delle ipotesi a quella che potrebbe essere definita come l’età del rischio: se qui tutto vive ancora in equilibrio dopo non sarà più possibile. Dopo sarà il tempo del salto nel vuoto. Un salto però preparato oggi con una ritrovata sensibilità per l’attorno e per i luoghi che lo mettono in scena più che per l’ormai tristemente mitologico ombelico autoriale italiano. Non che manchi l’Io, anzi rimane il punto di partenza (ma per fortuna non più il punto d’arrivo) come si legge nell’incipt della graphic novel di Manuele Fior, ossia “Perché proprio io?” ed è probabilmente il testo di Fior (che firma anche la bella copertina) quello che più rappresenta la raccolta nella sua ricchezza. Fior spinge quasi all’estremo l’essenzialità del tratto con l’asciuttezza della scrittura creando un’inedita sostenibilità tra testo e immagine, nulla di rivoluzionario sia chiaro, ma certamente una costruzione in cui i fili si tendono al servizio di una narrazione inscindibile.

Sicuramente da segnalare poi i racconti di Chiara Valerio e di Emmanuela Carbé, due tra le più interessanti autrici italiane che seppur agli antipodi nello stile di scrittura evidenziano un’idea del narrare e contemporaneamente un lavoro sull’autobiografia dal taglio molto letterario – e mai artefatto – comune e visionario. Entrambe le scrittrici sembrano così capaci di costruire un percorso autonomamente e strettamente contemporaneo, ma in grado – senza complessi d’inferiorità – di dialogare con la mitologia letteraria del Novecento italiano. E se Vincenzo Latronico che apre la raccolta si conferma ormai un narratore saldo e sicuro anche se non raramente rischia di scivolare un poco nel manierismo, sorprende e colpisce per la bella prova di Giuseppe Zucco autore di vari racconti, ma sostanzialmente esordiente. L’età della febbre sembra così riuscire nel suo intento di porsi come paradigma di una riflessione attorno ad una letteratura italiana che sia capace di rinnovarsi e sopratutto di rileggersi reinterpretando al meglio la propria storia e rintracciando così il proprio percorso originale.

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