Fumetti
Kobane Calling: Zerocalcare disegna la resistenza all’Is e fa vera informazione
Kobane Calling, si legge sulla quarta di copertina, è “un diario di viaggio tra Turchia, Siria e Iraq verso una coraggiosa utopia possibile: il Rojava”. Dell’esistenza della regione autonoma curda, situata all’estremo nord della Siria, al confine con la Turchia, autoproclamatasi tale nel 2013 senza ottenere riconoscimenti ufficiali da parte della comunità internazionale, siamo venuti a conoscenza proprio grazie a Kobane. La città simbolo della resistenza allo Stato Islamico era già stata oggetto di due reportage a fumetti da parte dell’autore, apparsi uno a gennaio e l’altro a ottobre 2015 su “Internazionale”: il nuovo libro di Zerocalcare, il settimo per il fumettista romano, recupera e “riarrangia” quel reportage inserendolo in un’opera di maggior respiro, che racconta anche un secondo viaggio in quelle terre.
Il fatto che gran parte delle informazioni sul Rojava, sulla sua costituzione avanzatissima e sul suo il tentativo in progress di creare un modello di convivenza interetnica e interconfessionale sia custodita all’interno di quello che è destinato a diventare uno dei fenomeni letterari dell’anno – si parla di una prima tiratura di centomila copie, un record nell’ambito del fumetto d’autore e di questi tempi pure nell’ambito dell’editoria tout court, e le prime presentazioni del volume hanno prodotto code chilometriche di lettori a caccia di disegno con dedica – significa diverse cose, non tutte necessariamente negative. La prima a venire in mente, negativa senza alcun dubbio, è quanto siano ormai deficitari, lacunosi e poco interessati all’approfondimento i nostri media tradizionali, dai quotidiani all’informazione televisiva, che di quella esperienza hanno fornito resoconti di seconda o terza mano, spesso infarcendoli di note folkloristiche fuorvianti e non necessarie (le guerriere delle YPG – le “unità di protezione popolare” – ammantate di esotismo come se si parlasse di suffragette in qualche vecchio filmato dell’Istituto Luce). La seconda è che, pur non dovendo dimostrare a nessuno la propria coerenza militante, mai ostentata ma sempre onorata con iniziative di vario tipo, Zerocalcare abbia deciso di portarla al centro del discorso, per la prima volta in modo così esplicito. Una mossa magari pure dettata dal bisogno di non vincolarsi troppo a una formula che funziona – volendo semplificare brutalmente la questione: l’ormai consolidato talento nel rendere comprensibile a un pubblico trasversale, e senza prendersi troppo sul serio, una certa autoreferenzialità generazionale, ovviamente non senza affrontare temi complessi e anche dolorosi – per esplorare nuove strade, ma perfettamente coerente con l’onestà intellettuale di chi la compie. La terza cosa, positiva, è che potenzialmente almeno un centinaio di migliaia di italiani saprà finalmente di che si parla quando si parla di curdi e di quello che sta accadendo da quelle parti. Citando il libro: “i media italiani tendono a spettacolizzare e a coprire solo il conflitto, noi potremmo fare una informazione diversa”.
E nel raccontare Kobane, ma anche i campi di addestramento del PKK sulle montagne ai confini con l’Iraq, Zerocalcare fornisce davvero una informazione diversa, facendo cronaca e al tempo stesso raccontando quello che la cronaca non può raccontare. Nel farlo, non si fa prendere la mano dalla retorica, cerca di spogliare di ogni tentativo di mitizzazione un apparato ideologico che pare troppo bello per essere vero ma che, tenuto conto di inevitabili complessità e contraddizioni, vero lo è sicuramente. Sempre attento a non verniciare il tutto di prematuro entusiasmo, consapevole che si sta raccontando una guerra difficile, rognosa, la quale difficilmente troverà soluzione in tempi ragionevoli. Simpatizzando evidentemente per la causa, ma senza strafare.
Al di là dei meccanismi narrativi più collaudati (c’è ovviamente l’armadillo, alter ego immaginario da sempre disincantato contrappunto allo Zerocalcare personaggio), e al di là dell’ossessione di non sembrare troppo “difficile” ogni volta che si cerca di sintetizzare in poche vignette complesse situazioni geopolitiche, un vero e proprio tormentone, il vero cuore pulsante del libro risiede nei ritratti: combattenti curdi di ritorno dal fronte, ragazze che si addestrano nei campi militari del PKK, militanti che raccontano tragedie e traumi, e non solo. Tutti quanti tracciati con encomiabile asciuttezza, senza ammiccamenti, senza quasi bisogno di parallelismi con questo o quell’altro frammento di immaginario condiviso con i lettori.
Sono questi ritratti, più che altro, a far sì che Kobane Calling sia qualcosa di più del nuovo libro di Zerocalcare. Un lavoro in cui l’autore oltrepassa i confini geografici del proprio mondo per andare alla ricerca di nuove speranze e chiavi di lettura della realtà, ma anche i confini della propria comodità narrativa. Sfruttando nel più costruttivo dei modi una popolarità inattesa e ancora vissuta con grande cautela, quando non con disarmante disagio: aprendo nuovi sentieri da far percorrere ai lettori, dando loro quello che si aspettano ma solo fino ad un certo punto. Ancora dalla quarta di copertina, leggiamo: “A me risulta difficile concepire un’appartenenza diversa dal mio quartiere. Forse però ci sono cose che trascendono la geografia e parlano ad altre corde, che manco sappiamo di avere”. In questo libro Zerocalcare le ha trovate, ed è riuscito a farle scoprire anche ai suoi lettori.
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