Fumetti

Naji Al-Ali, il vignettista palestinese ucciso perché sgradito a Israele e Olp

18 Gennaio 2015

Aveva dieci anni Naji Al Ali quando nel 1948, anno della proclamazione dello Stato d’Israele, espulso con la sua famiglia dalla Palestina, si rifugia in uno dei campi profughi del sud del Libano. Anche Handala, il bambino da lui disegnato che sarà poi protagonista di gran parte delle sue 40mila  vignette, ha dieci anni: piedi scalzi spalle voltate e testa spelacchiata. Il ritratto dell’innocenza di un popolo, dalle fattezze di un bambino, che perde ogni avere e diritti sarà consegnato alla storia e alla cultura palestinesi quando il 22 luglio 1987 all’uscita dalla redazione del quotidiano kuwaitiano per cui lavorava, “Al Qabas”, qualcuno fa fuoco su di lui. Morirà un mese dopo e a tutt’oggi l’autore o gli autori dell’omicidio restano ignoti. Dieci mesi più tardi dalla morte la polizia di Scotland Yard arresta Ismail Sowan, un ricercatore palestinese di 28 anni, originario di Gerusalemme.

La matita di Naji-Al Ali, infatti, un po’ come i disegnatori di Charlie Hebdo non risparmiava nessuno: i governi arabi, lo stesso consiglio nazionale palestinese, gli Stati Uniti d’America e naturalmente il governo d’Israele. La differenza fra i due lavori sta probabilmente nel tipo di satira scelta, fine e acuta quella di Naji Al Ali più dissacrante la verve comica di Charlie Hebdo, entrambe con il diritto a esistere e a non morire.

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Da quando la strage di Parigi del 7 gennaio scorso (4 omicidi nel supermercato kosher, 12 persone della redazione, 3 poliziotti e 3 terroristi, ha fatto rivoltare le penne e le matite di tutto il mondo e riunito capi di stato (e dittatori) a Place de la République, il nome di Naji Al Ali ha rimbalzato sul web e su poche testate per fissare il ricordo di un altro simbolo della libertà d’espressione. Spesso anche con l’intento di ricordare che in quel caso fu il Mossad a “prendere il volo per uccidere un vignettista”  (questo il blog che ha più fatto il giro in rete). Sowan tuttavia, di fatto l’unico sospettato acclarato anche se non vi fu nessun processo a dimostrarlo, era un uomo dalla doppia vita. Secondo le fonti di allora sembra portasse le barbe sia dell’OLP che del Mossad: le armi usate per uccidere Naji Al Ali furono ritrovate nel suo appartamento a Hull (Contea dello Yorkshire, Inghilterra). Un cortocircuito fra i servizi inglesi dell’MI5 e di Israele avrebbe provocato la falla nella prevenzione dell’agguato. Il Mossad, infatti, secondo le accuse di allora, non avrebbe informato i colleghi britannici dell’arrivo di quelle armi per non esporre i loro doppi agenti. Proprio per questo in Gran Bretagna Lady Thatcher fece chiudere la sede del Mossad provocando un irrigidimento dei rapporti fra i servizi dei due paesi. Sebbene questo non significò certo la fine delle operazioni coperte dei servizi israeliani in Inghilterra, almeno ufficialmente i rapporti restarono freddi per un po’.

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I documenti resi noti nel 1999 sui quali riferì The Independent raccontano di alcuni dispetti che i servizi di sicurezza inglesi e israeliani si scambiarono negli anni ’80 non rivelando in anticipo informazioni rilevanti per la loro sicurezza nazionale e dei loro uomini politici. Sembra che anche per la strage di Charlie Hebdo sia avvenuta una cosa simile: secondo la testata Canal Plus tramite il suo canale all-news I-Telé, il 6 gennaio i servizi segreti algerini avevano avvertito Parigi dell’imminenza di un attacco terroristico. Certamente una falla nell’azione di prevenzione che ogni servizio di intelligence è chiamato a svolgere nel proprio paese.Una fonte, un tempo vicina agli ambienti del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina il partito cui anche si avvicinò Naji Al Ali riferisce a Gli Stati Generali: «L’uccisione di Naji Al-Ali fu subito collegata ad una delle sue vignette che prendevano di mira la corrente “arafatiana” di Fatah; in cui veniva citata una certa Rashida Mahran (nominata da Arafat come consulente culturale in Tunisia, ndr)». Il settimanale britannico The Observer  – continua la fonte, che vuole restare anonima – ripubblicò la vignetta, accompagnata da un articolo intitolato “La vignetta che è costata la vita al suo disegnatore”, in cui veniva anche citato il fatto che Arafat, nel 1975, durante un incontro in una scuola in Kuwait, aveva minacciato di sciogliere le dita nell’acido a Naji.

«In molti casi – prosegue la fonte – dirigenti politici di Al-Fatah sono stati accusati di aver collaborato con i servizi israeliani con l’obiettivo di neutralizzare personaggi scomodi per entrambi, come fu il caso di Majed Abu Sharar, scrittore e responsabile del Dipartimento Culturale dell’OLP, ucciso nel 1981 a Roma. Molti dissidenti di Fatah sostengono che dietro la sua uccisione vi fu un responsabile di Fatah stesso che gli fece cambiare alloggio e lo mandò in una stanza d‘hotel dove era stata posto un ordigno. Naji Al-Ali aveva militato nel Movimento dei Nazionalisti Arabi (guidato da Habash, e la cui sezione palestinese si trasformò in seguito nel Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina in cui Naji non militò), e ne fu espulso per mancanza di disciplina. Ghassan Kanafani, infatti, scrittore palestinese e membro dell’Ufficio Politico del FPLP, gli chiese di entrare a far parte del Fronte ma Naji, nonostante scrivesse per il loro periodico ufficiale e ne condividesse le idee, rifiutò».

La prima volta che Naji Al-Ali  acquisì la fama fu grazie ad un articolo di Kanafani su “Al-Hurriya”, periodico kuwaitiano del FPLP fino al 1969 quando vi fu la scissione e nacque il Fronte Democratico Popolare per la Liberazione della Palestina. Naji Al Ali vittima dell’azione dei presunti doppi servizi dunque perché scomodo per entrambi i paesi: è il quadro spesso presente in alcune operazioni di intelligence di molti paesi. Quadro che emerge raramente pena la fine della guerra fra frazioni. In questo caso la fine della guerra per un pezzo di terra che anima e insaguina il medio oriente da sempre. «Handala è nato che aveva già dieci anni e avrà sempre 10 anni. (…) le leggi della natura non lo riguardano. Le cose torneranno normali quando anche la nostra terra tornerà a noi. (…) Inizialmente, è nato come bambino palestinese ma poi la sua coscienza si è sviluppata fino a ricoprire un orizzonte globale». Queste le parole del disegnatore palestinese Naji Al Ali che descrivono la funzione e il senso del personaggio da lui creato .

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«Handala – ricorda lo scrittore di origine algerina e ormai da anni in Italia, Tahar Lamri – appare per la prima volta nel 1969 sul quotidiano kuwaitiano “Al – Syassa”». Lamri insieme all’Associazione Mirada di Ravenna nel 2009 organizzò nella città l’unica mostra italiana mai avvenuta del vignettista. Naji Al Ali disse in un’intervista: «Io ho una prospettiva di classe ed è per questo che i miei disegni prendono questa forma. Io disegno situazioni e realtà e non presidenti o leader».  Secondo Lamri, che ha tradotto in italiano le vignette esposte (alcune delle quali sono proposte qui) l’arte e la creatività da sole se intese come critica agli effetti che talune strategie portano alle società che governano hanno un potere di disturbo. La figura di Naji Al Ali che emerge dal racconto di Tahar Lamri è una figura alquanto complessa: «per molti vignettisti palestinesi e del mondo arabo in generale era considerato come una sorta d’inarrivabile modello e martire: pochi hanno seguito le sue orme». Lamri che collabora attivamente con l’Associazione Mirada spiega inoltre: «Quel lavoro di traduzione nasce durante l’aggressione israeliana di Gaza del 2009 (“Operazione Piombo fuso”, una massiccia campagna militare lanciata dall’esercito israeliano sulla Striscia di Gaza, ndr). Furono anche vendute alcune riproduzioni dei disegni di Naji Al Ali e il ricavato fu devoluto agli ospedali diretti da Mustafa Barghouti, “The Union of Palestinian Medical Relief Committees”, in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza». Il disegnatore palestinese insomma era scomodo per entrambe le parti, le sue vignette elemento di disturbo proprio perché scevre da ogni partitismo, sebbene Naji Al Ali come tutto il popolo palestinese sempre rivendicò attraverso il suo lavoro il diritto a rientrare in possesso della propria terra.

«Mi chiede come avrebbe disegnato l’attacco di Parigi Naji Al Ali? – riflette Tahar Lamri – Immagino Handala a Parigi con una matita in mano. Non lo so. Forse non avrebbe disegnato nulla» . Come le due reazioni all’orrore che specularmente hanno caratterizzato la stampa italiana dopo la strage di Charlie Hebdo: chi ha preferito non pubblicare alcune vignette del settimanale di Chab e chi come “Il Fatto Quotidiano” ha invece deciso di allegare la prima copia andata a ruba dopo la strage. Non necessariamente una reazione è più giusta dell’altra. Semplicemente una scelta.

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Le vignette tradotte dallo scrittore Tahra Lamri sono presenti nell’account Flickr dell’Associazione Mirada 

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