Filosofia

La filosofia, per fortuna, è inutile

9 Settembre 2016

“Le facoltà di filosofia se vogliono continuare ad esistere devono diventare degli ibridi, mischiarsi alle altre discipline e creare pensiero critico su di esse: modellarle e direzionarle. Fuor di dubbio i filosofi di domani devono avere competenze tecniche. Il bla bla bla stanca, soprattutto in un mondo in cui la parola intellettuale è stupendamente tramontata. Non ci si può continuare ad occupare dell’idea dell’idea dell’idea dell’idea…Meravigliosa l’utilità: così deve diventare la filosofia, utile”.

Così Stefano Consonni, chiude il suo articolo pubblicato sugli Stati Generali (http://www.glistatigenerali.com/filosofia/la-filosofia-puo-non-essere-inutile/).

Leggo, rileggo sbalordita. E una grande irritazione (eufemismo) mista a sconforto mi assale. Ho appena consegnato la mia tesi di dottorato in tedesco all’Università di Friburgo in Brisgovia (in co-tutela con l’Università degli Studi di Milano) sulle nuove vie della fenomenologia aperte dal dialogo tra Ludwig Landgrebe, Eugen Fink e Jan Patočka. Trattasi proprio di idea dell’idea dell’idea di cui parla Consonni. Con tutta la fatica che si fa a studiare il concetto, ad analizzarlo (e ci vuole tempo, non è come mettere un like), e alla fine trovare un filo rosso che collega i diversi contesti e tempi e li inserisce in un comune cammino dell’umano troppo umano, leggere un articolo di un ex studente di filosofia che invoca l’utilità della materia che ha scelto all’università come unica sua – della filosofia – via di salvezza non è affatto bello. Tutto ciò che afferma Consonni è giustificato dalla nostra quotidianità, dalle esigenze del mondo del lavoro, dalla globalizzazione, dai mass media e quant’altro. Tutto più che ragionevole, certo. Questo contesto è probabilmente anche la causa dell’irrimediabile crisi in cui versano i dipartimenti di filosofia in tutta Italia, che stanno gradualmente ma inesorabilmente scomparendo. Perché la filosofia non è “utile”, come scrive Consonni.

E allora, quale sarebbe la soluzione?  L’amore per il sapere deve diventare un ibrido, mischiarsi con le altre discipline, offrendo così agli studenti competenze (rabbrividisco al solo scrivere questo termine, confesso) per poter poi meglio inserirsi nel mondo del lavoro, è la risposta. Che sembrerebbe logica. C’è però un piccolo dettaglio: così facendo la filosofia muore. Semplicemente. I dipartimenti forse potrebbero essere “salvati”, ma con la filosofia avranno davvero poco a che fare. Tanto vale essere onesti fino in fondo e chiamarli con altri nomi. Tanto vale non ingannare i futuri studenti, millantando delle presunte “competenze filosofiche” insegnando tutt’altro che filosofia. Perché, se non altro per rispetto verso la materia che amiamo o abbiamo amato, la filosofia si sceglie per curiosità, per amore del sapere, per aprire la mente. E se solo ognuno di noi fosse consapevole del potenziale che la comprensione della “Fenomenologia dello spirito” di Hegel comporta, si farebbe davvero tante risate delle presunte competenze. Andrebbe in questo mondo, veloce, globalizzato, ipertecnologico e se lo mangerebbe, sorprendendosi pure delle inaspettate vie che gli si sono aperte dopo una laurea in filosofia. Vie differenti una dall’altra, perché ognuno di noi è diverso e perché le “competenze”, sono convinta, si apprendono sul campo, praticando i mestieri e praticando la filosofia per quella che è: inutile ma di una inutilità creativa di cui abbiamo ancora bisogno.

Tanto per dire, Socrate non insegnava a costruire navi, ma a porsi domande, a pensare. Le triremi greche non ci sono e non ci servono più, il metodo dialettico socratico, il ragionare con la propria testa alla ricerca della verità, resta sempre di attualità, soprattutto in una società dominata dai persuasori occulti non solo pubblicitari. Esempi se ne potrebbero fare a decine, di tutte le epoche. La filosofia è nata millenni fa e durerà altri millenni, perché nel nostro dna ci sono grandi curiosità e uomini e donne continueranno a porsi domande e a cercare risposte.

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