Filosofia

Tecnologie del desiderio

7 Ottobre 2016

L’anima elettrica è senza respiro, iperconnessa, riverbera sulle curve algoritmiche i propri spasmi pulsionali mentre le sue emozioni sussultano nello spazio luminoso tra gli occhi e la punta delle dita.

Seguo l’attività del gruppo di ricerca Ippolita dal 2005, anno in cui pubblicarono il loro primo libro Open non è free. Da allora hanno pubblicato altri quattro testi, tutti dedicati al rapporto tra tecnologia e politica: Luci e ombre di Google, per Feltrinelli, Nell’acquario di Facebook, per Ledizioni, Le rete è libera e democratica? FALSO!, per Laterza
Recentemente, le nostre strade si sono incrociate sempre più spesso e ho assistito alla genesi della loro ultima pubblicazione Anime elettriche, edito da Jaca Book, seguendone passo a passo l’evolversi e il prendere forma.
Questa non è quindi una recensione ma può essere considerata una sorta di commento, cui segue un breve estratto, una prolusione non richiesta che prende spunto da alcuni quesiti che la lettura di Ippolita evoca: cosa sono le anime elettriche che tutti siamo? Come vivono? Cosa vogliono? E, soprattutto, sono libere?

L’anima elettrica è il fantasmata smisurato, bulimico, ingordo, grumo di dati tra dati nell’iperrealtà degli ambienti digitali offerti dai servizi commerciali. La sua ragion d’essere è la numerabilità senza esitazioni, la quantità parziale, gli indici di misurazione.

Cieca di fronte ai propri desideri, e tra questi a quello più forte di realizzazione, esplora mondi digitali affidandosi a motori di ricerca, social network e le più diverse applicazioni.
Vivendo nell’affermazione di sé in un regime di contabilità, è sempre bisognosa di conferme, contatti, apprezzamenti. Anzi, si potrebbe dire che la propria grammatica interiore conosce solo queste forme di articolazione del confronto, ignorando completamente l’elemento negativo che caratterizza i piani di esistenza più crudeli. Naturalmente è capace di assistere ai filmati e alle foto più violente, oscene o toccanti, e anzi se ne nutre disperatamente, ma sempre da lontano. Così come si nutre di tutto ciò che le passa davanti e può essere utile al proprio accrescimento.

Questa anima elettrica è un campo aperto, attraversato e attraversabile dai più diversi vettori così come dai più diversi ordini del discorso e, cosa ancor più importante, è senza confini, senza limiti. Sarebbe un errore pensare che la sua sfera di influenza e il suo raggio d’azione siano limitati ai diversi dispositivi in uso o ai micro-mondi dei social media, perché è in fluida comunicazione con altri tipi di anime della nostra soggettività, e con cose e mondi molto terreni e concreti. Le sue azioni hanno infatti ricadute economiche, estetiche, politiche, etiche che investono la vita di tutti.

Nella luce della verità riposa e vive, scoprendo ciò che è nascosto, praticando una trasparenza ipoteticamente trasgressiva, esibendo nella luce la propria luce, sagacia, cinismo, intelligenza, sarcasmo.
Giovanissima e già messa in produzione – anzi, nata per essere lei stessa materia di produzione in un ambiente dove l’espressione di sé è merce – è come costretta all’irriflesso e, fin da subito, conforme allo specchio di Alice tecnologico, il dispositivo attraverso cui si affaccia su due mondi.
Addestrata ad essere performante ed efficiente, si muove in base ad un principio totalizzante, quello del piacere, che le consente di toccare, toccarsi, essere toccata, mostrare e mostrarsi, senza soluzione di continuità. È questo il suo esercizio spirituale sempre reiterato, la sua pratica quotidiana in uno spazio di pura trascendenza. Espressione dell’innovazione quale dimensione esistenziale e cifra essenziale, piacere della relazione quale sua causa prima e ragione del suo essere messa a profitto.

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Da un altro punto di vista, il suo mondo è un grande esperimento di coesione sociale, dove il negativo è bandito e il massimo valore è il bene comune computabile, l’impatto profittevole; mistero della trinità digitale: produttore, consumatore e merce al tempo stesso.

Quale sia il suo destino è difficile a dirsi, presa dalla potenza di calcolo delle piattaforme commerciali, sembrerebbe che ogni sua azione sia condannata alla ripetizione dell’identico, all’esecuzione della procedura consentita: loggarsi, postare, commentare, condividere. Ma è davvero così o esiste una possibilità di emancipazione? E anche se questa possibilità fosse data, rimarrebbe in una dimensione individuale o potrebbe diventare collettiva? Quale forma di autodifesa è immaginabile e praticabile?

“Quale ethos assumere nella società del controllo per non farsi leggere e sovrascrivere totalmente dal dispositivo? Consapevole dell’agio della servitù volontaria, dovrà essere una postura in grado di predisporre all’azione e alla riflessione, attività faticose: il contrario di un atteggiamento statico e inflessibile, un esercizio costante di equilibrio dinamico.
Nelle società della prestazione, il controllo è effettuato dal­l’utente, la norma è interiorizzata attraverso l’autocontrollo indotto.
[…] Non vogliamo rinunciare al conflitto, ma il conflitto è ciò di cui si nutre il nuovo capitale. Ciò avviene perché il capitale recepisce il conflitto come una delle possibili forme della singolarità legate all’elemento della trasgressione. Come tale è sempre compatibile con il sistema. Agli occhi del capitale non c’è differenza tra conflitto e trasgressione, ma per noi sì. La trasgressione è il narcisistico anticonformismo metropolitano. È la versione attuale dell’addomesticamento borghese della diversità: «com’è trasgressivo!», eccola etichettata, imballata e pronta per essere venduta. Il conflitto si manifesta invece quando si agisce in vista dei propri obiettivi politici, gli unici in grado di dispiegare le proprie energie efficacemente, e nient’altro. Non è voluto e ricercato, non è adeguato al palcoscenico e all’efficienza del ritmo della prestazione.
Il conflitto viene così a coincidere con la postura che cerchiamo, perché è disposizione all’autonomia, ethos di apertura all’altro senza volto, abito di relazione destrutturata, logica di affinità e di ospitalità […].
Il mondo intorno a noi è in via di riscrittura. Questa riscrittura è operata da chi ha il potere e i mezzi per farlo, ma come sempre il comando non sarebbe possibile senza l’obbedienza e l’asservimento volontario. Il cambiamento è in corso, anche se noi
non vogliamo farne parte. Il lavoro da fare è comprendere che tipo di riconfigurazione sta avvenendo e agire una decodifica
delle norme che stanno sovrascrivendo: è questa la postura, lo stile che stiamo ricercando”.

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