Filosofia

Non sono d’accordo con quello che dici, ma darei la vita perché tu possa dirlo?

23 Agosto 2016

Come Galilei non ha mai scritto: « Eppur si muove» e in nessun luogo delle opere di Machiavelli si trova: « Il fine giustifica i mezzi», allo stesso modo Voltaire non ha mai scritto né detto «Non sono d’accordo con quello che dici, ma darei la vita perché tu lo possa dire». E allora da dove nasce questa leggenda metropolitana?

Ricordo che il giornalista televisivo Sandro Paternostro, vanesio e inconcludente, colui che ha impostato definitivamente, anche per chi l’ha succeduto, il “canone” delle corrispondenze televisive da Londra sulla filiera tematica leggera tipo cappellini-della-regina-mostre-canine-e-via-minchionando (e tutta l’Inghilterra di Hume e di Dickens, del Labour e di Shaw che vada a farsi benedire) amava ripetere questa formula nel programma televisivo “Diritto di replica” di qualche decennio fa.

Ancora oggi viene ribattuta con grande enfasi e magnanimità citrulla tutte le volte che si fa mostra di elegante tolleranza nei confronti del proprio avversario. Essa è tanto pregna di un fair play vanitoso quanto logicamente debole se ci si pone a pensare che se concediamo al nostro avversario la libertà di poter dire tutto, anche l’intenzione di uccidere, noi o altri, egli da una parte lo farebbe di già e molto prima che noi ci immolassimo per consentirgli di dirlo, oppure lo farebbe col nostro consenso. L’idea di tolleranza non può che partire da un “minimo etico” e non può non essere che reciproca, ovviamente, ma non può ammettere nell’interlocutore idee di sterminio o altri abomini, che pertanto nessuno, e per giunta a sacrificio della propria vita, può consentire di dire ad alcuno.

Se infatti si deve essere tolleranti coi tolleranti, viceversa non si può essere che intolleranti con gli intolleranti.  Karl Popper argomenta riccamente il “paradosso della tolleranza” nei termini seguenti:

«Se estendiamo l’illimitata tolleranza anche a coloro che sono intolleranti, se non siamo disposti a difendere una società tollerante contro l’attacco degli intolleranti, allora i tolleranti saranno distrutti e la tolleranza con essi. In questa formulazione, io non implico, per esempio, che si debbano sempre sopprimere le manifestazioni delle filosofie intolleranti; finché possiamo contrastarle  con argomentazioni razionali e farle tenere sotto controllo dall’opinione pubblica, la soppressione sarebbe certamente la meno saggia delle decisioni. Ma dobbiamo proclamare il diritto di sopprimerle, se necessario, anche con la forza; perché può facilmente avvenire che esse non siano disposte a incontrarci a livello dell’argomentazione razionale, ma pretendano di ripudiare ogni argomentazione; esse possono vietare ai loro seguaci di prestare ascolto all’argomentazione razionale, perché considerata ingannevole, e invitarli a rispondere agli argomenti con l’uso dei pugni e delle pistole. Noi quindi dovremmo proclamare, in nome della tolleranza, il diritto di non tollerare gli intolleranti. Dovremmo insomma proclamare che ogni movimento che predica l’intolleranza si pone fuori legge e dovremmo considerare come crimini l’incitamento all’intolleranza e alla persecuzione, allo stesso modo che consideriamo un crimine l’incitamento all’assassinio, al ratto o al ripristino del commercio degli schiavi». ( La società aperta e i suoi nemici, nel mio ebook kindle posizione 5624, i grassetti sono miei).

Ma tagliando corto, il signor di Ferney non ha mai detto simile frase. Come mai allora gliela si attribuisce?
La sola versione nota di questa citazione è quella della scrittrice inglese Evelyn Beatrice Hall, « I disapprove of what you say, but I will defend to the death your right to say it. », The Friends of Voltaire, 1906, ripresa anche nel successivo Voltaire In His Letters (1919).
Per chiudere la storia di questa falsa citazione, Charles Wirz, Conservatore de “l’Institut et Musée Voltaire” di Ginevra, ricordava nel 1994, che Miss Evelyn Beatrice Hall mise, a torto, tra virgolette questa citazione in due opere da lei dedicate all’autore di Candido, e la stessa riconobbe espressamente che la citazione in questione non era autografa di Voltaire in una lettera del 9 maggio 1939, pubblicata nel 1943 nel tomo LVIII dal titolo “Voltaire never said it” (pp. 534-535) della rivista “Modern language notes”, Johns Hopkins Press, 1943, Baltimore.

Ecco di seguito l’estratto della lettera in inglese:
«The phrase “I disapprove of what you say, but I will defend to the death your right to say it” which you have found in my book Voltaire in His Letters is my own expression and should not have been put in inverted commas. Please accept my apologies for having, quite unintentionally, misled you into thinking I was quoting a sentence used by Voltaire (or anyone else but myself).» Le parole “my own” sono messe in corsivo intenzionalmente da Miss Hall nella sua lettera.

A credere poi a certi commentatori (Norbert Guterman, A Book of French Quotations, 1963), la frase starebbe anche in una lettera del 6 febbraio 1770 all’abate Le Riche dove Voltaire direbbe :
« Monsieur l’abbé, je déteste ce que vous écrivez, mais je donnerai ma vie pour que vous puissiez continuer à écrire. » Peccato che se si consulta la lettera citata, non si troverà né tale frase e nemmeno il concetto. Essendo breve tale lettera, è meglio citarla per intero e scrivere la parola fine su questa leggenda.

A M. LE RICHE,
A AMIENS.
6 février.
Vous avez quitté, monsieur, des Welches pour des Welches. Vous trouverez partout des barbares têtus. Le nombre des sages sera toujours petit. Il est vrai qu’il est augmenté ; mais ce n’est rien en comparaison des sots ; et, par malheur, on dit que Dieu est toujours pour les gros bataillons. Il faut que les honnêtes gens se tiennent serrés et couverts. Il n’y a pas moyen que leur petite troupe attaque le parti des fanatiques en rase campagne.
J’ai été très malade, je suis à la mort tous les hivers ; c’est ce qui fait, monsieur, que je vous ai répondu si tard. Je n’en suis pas moins touché de votre souvenir. Continuez-moi votre amitié ; elle me console de mes maux et des sottises du genre humain.
Recevez les assurances, etc.

Ma ormai la frase di Miss Hall aveva varcato l’Atlantico e dopo un piccolo rimbalzo nei circoli ristretti dei liberal era entrata nel formidabile circuito dei media americani, tramite il popolare Reader’s Digest (Giugno 1934) e la Saturday Review (11 Maggio 1935). E da allora la sua diffusione è stata inarrestabile.

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(Brani tratti da wikipedia.fr e en.wikiquote.org)

Testo già pubblicato su Linkiesta e su La Frusta Letteraria. Qui viene riproposto con alcune lievi modificazioni e con l’aggiunta delle considerazioni di Karl Popper.

Vedi anche: Il consumo voluttuario e la catena delle ingiustizie. “Le Mondain” di Voltaire

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