Filosofia

La filosofia può non essere inutile

27 Agosto 2016

Quando ho iniziato a lavorare tre anni fa, in modo stabile intendo, mi mancava ancora un esame sui Lineamenti di filosofia del diritto di Hegel per concludere il corso di laurea magistrale in scienze filosofiche alla Statale di Milano: mi sono laureato dopo un anno di lavoro con una tesi sul potere in Michel Foucault. In quel periodo e negli anni a seguire, non ho potuto fare a meno di interrogarmi sul ruolo della filosofia come preparazione al mondo del lavoro e questo perché ho spesso sentito un senso d’inferiorità nei confronti di chi aveva maturato nel proprio percorso formativo competenze tecniche spendibili: alcune domande sono affiorate in modo istintivo, viscerale: che cosa ho studiato per cinque anni? Quali strumenti mi ha fornito la facoltà di filosofia affinché io possa inserirmi nel mondo del lavoro e comprendere il presente? Questo presente e non quello dell’800?

Nessuno in facoltà mi ha mai parlato, per esempio, del fatto che internet sta cambiando i modi sociali di produzione; niente sulla robotica; niente sui social media e sul marketing digitale; niente sui nuovi media; niente sulla teoria dell’informazione e sui rischi della manipolazione nell’informazione; niente sui big data; niente su come è strutturata un’azienda; niente infine sulla geostrategia e sul pensiero politico contemporaneo.

È una cosa gravissima, significa che la filosofia non si interroga sul presente, non si innova, non si rende utile al miglioramento della società.

Mi sono sentito dire che questi non sono temi che riguardano la filosofia ma piuttosto altre discipline come la sociologia, l’economia, il diritto, l’informatica. Mi si dica allora che cos’è la filosofia, se non riflessione critica sul presente? Il rischio maggiore a mio parere è l’afasia: non c’è ad oggi un linguaggio filosofico in Italia che non utilizzi categorie ottocentesche (pensiamo a Diego Fusaro, un filosofo così giovane e già così vecchio, senza speranza). Eccezione viene fatta per l’epistemologia e la filosofia della scienza che si stanno spostando sempre più, a ragione, verso le scienze cognitive riuscendo ad adottare un linguaggio che parla del nostro tempo. Ci sono poi casi che riguardano il mondo anglosassone (per esempio la filosofia dell’informazione ideata da Luciano Floridi ad Oxford).

Il problema è il rapporto tra l’Università e il lavoro. Quest’ultimo è in grande trasformazione e la speculazione filosofica è completamente assente. Il nuovo paradigma, contenuto nel concetto di Industry 4.0 sta rivoluzionando non solo la manifattura che sempre traina, ma tutti i settori ed è in questo contesto che i filosofi di domani andranno ad inserirsi senza strumento alcuno, senza collocazione specifica e con una cultura anti-industriale di banale contestazione verso l’esistente. Essa cresce e fermenta nelle nostre polverose Università umanistiche livellando e distruggendo il pensiero; ciò che è peggio, è la boria con cui si atteggiano vecchi professoroni, ristampe viventi di libri ottocenteschi.

L’introduzione dell’internet delle cose e delle tecnologie additive (prima fra tutte la stampante 3D) al mondo produttivo e dei servizi sta modificando i modi di produzione, i modelli di business in aziende grandi e piccole e il lavoro dei singoli. L’operaio di fabbrica, che si voglia o no, non è più da concepirsi sul modello fordista: i nuovi operai dovranno avere un’alta conoscenza dei sistemi informativi, analizzare in tempo reale i big data e sapersi muovere tra sistemi cyber fisici. Formazione e industria non potranno che andare di pari passo per via dell’urgenza competitiva. Il rapporto tra tempo e lavoro sta mutando perché da remoto si possono e si potranno controllare intere fabbriche: nello stabilimento di General Motors a Torino lo smartworking non è un progetto del futuro, ma realtà. “Grazie ad un accordo sottoscritto con le parti sociali sarà possibile usufruire degli strumenti informatici dell’azienda per autogestirsi per dieci giorni all’anno. Si tratta di lavoratori che progettano i nuovi motori diesel ma che allo stesso tempo gestiscono una fabbrica su tre turni che produce i motori stessi. Grazie alla rete potranno condividere in tempo reale l’andamento della produzione e governarlo da remoto attraverso il proprio pc o tablet, sia in vacanza che accompagnando il figlio ad una visita medica” (Francesco Seghezzi, IManifattura. La manifattura nella rivoluzione delle macchine“).

L’uomo all’interno del nuovo paradigma acquisisce una posizione centrale, non è schiavo dei processi ma li governa perché governa le macchine e l’interazione tra le macchine. Questo porta ad un aumento della disoccupazione? Si, se continuiamo a ragionare all’interno del modello fordista. No, se pensiamo di essere all’interno, appunto, della trasformazione del lavoro e dunque dei lavori.

Le facoltà di filosofia se vogliono continuare ad esistere devono diventare degli ibridi, mischiarsi alle altre discipline e creare pensiero critico su di esse: modellarle e direzionarle. Fuor di dubbio i filosofi di domani devono avere competenze tecniche. Il bla bla bla stanca, soprattutto in un mondo in cui la parola intellettuale è stupendamente tramontata. Non ci si può continuare ad occupare dell’idea dell’idea dell’idea dell’idea….

Meravigliosa l’utilità: così deve diventare la filosofia, utile.

 

 

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