Famiglia
Il cammino del ddl Cirinnà, tra resistenze e (moderato) ottimismo
L‘eventualità di una mediazione tra il Partito Democratico e i settori conservatori della maggioranza di governo su alcuni profili del disegno di legge sulle unioni civili è al centro del dibattito politico. Dal PD arrivano rassicurazioni, ma, sul piano tecnico, non mancano le preoccupazioni.
Il dibattito politico
Nelle ultime settimane, con il progredire dell’iter parlamentare di discussione del ddl sulle unioni civili, si è fatto più vivace il dibattito politico: il testo base approvato a marzo in Commissione Giustizia con i voti di Partito Democratico, Cinque Stelle, Sinistra Ecologia e Libertà e altre componenti minoritarie, è oggetto di istanze di modifica da parte dell’area cattolica PD e da parte di Area Popolare – Nuovo Centro Destra.
L’area cattolica del PD, rappresentata qui dalla senatrice Emma Fattorini e dal senatore Stefano Lepri, chiede di riformulare alcuni passaggi del testo, per distanziare formalmente e in maniera maggiore l’unione civile dal matrimonio.
Tra le richieste c’è quella di eliminare il rinvio ad alcuni articoli del codice civile richiamati nel testo, all’articolo 1 e all’articolo 3, inserendo la loro espressa enunciazione.
Un altro emendamento, infine, chiede di sostituire la cosiddetta “step child adoption” (adozione del figlio biologico o adottivo del partner) con l’affido temporaneo, rinnovabile fino ai diciotto anni di età del minore, propedeutica alla eventuale successiva adozione.
Più forti le istanze di opposizione da parte di alcuni membri di AP – NCD, che, oltre ad aver generato un serio ostruzionismo nelle settimane recenti, permangono contrari alla reversibilità della pensione e alla cd. step child adoption.
Il riconoscimento del diritto alla reversibilità della pensione sembra invece ormai consolidato, in ragione della ferma volontà politica di procedere in questo senso da parte del PD, ma anche grazie alle analisi giuridiche ed economiche svolte recentemente dall’INPS e dalla comunità scientifica.
La stessa step child adoption rimane uno dei punti fermi nelle parole di Matteo Renzi e di numerosi esponenti del PD (Boschi, Lo Giudice, Cirinnà, Campana). La senatrice Cirinnà, in particolare, ha ribadito che la proposta Fattorini circa la possibilità di affido è al di fuori del disegno del PD e al di fuori di ogni margine di negoziazione, anche in virtù delle recenti sentenze dei Tribunali di Palermo, Torino e Roma.
Alcuni oppositori sostengono che la step child adoption finisca per legittimare la pratica della gestazione per altri, ma in realtà si tratta una strumentalizzazione artificiosa in quanto il testo Cirinnà nulla dispone in merito alle metodologie e alle tecniche di fecondazione assistita. La gestazione per altri è vietata in Italia e, con l’approvazione del Cirinnà, continuerà ad esserlo.
Per quanto riguarda il PD, in queste settimane il senatore cattolico Giorgio Tonini si è adoperato per trovare una soluzione condivisa da tutto il partito, mentre in AP – NCD, esclusi gli irriducibilmente contrari (come Giovanardi e Sacconi), permangono le più moderate posizioni di Alfano e Schifani, che lasciano libertà di coscienza, vista l’estraneità del tema al programma di governo.
Il 2 settembre sono ripresi i lavori in Commissione Giustizia al Senato, per completare la fase emendativa, con la votazione dei circa 1500 emendamenti residui. La commissione ha votato su circa 150 emendamenti, uno dei quali, sempre di indirizzo Fattorini Lepri, accettato a maggioranza PD e M5S previa riformulazione, stabilisce un passaggio importante definendo, all’articolo 1, l’unione civile come “formazione sociale specifica”.
C’è da dire che anche i tempi previsti di approvazione sono notevolmente mutati rispetto alle attese originarie: se le riforme istituzionali fossero state completamente approvate entro dicembre 2014, infatti, le unioni civili sarebbero state affrontate subito dopo, come era nei piani iniziali annunciati da Matteo Renzi a giugno 2014. Il procrastinarsi delle riforme istituzionali ha comportato un ritardo anche per le unioni civili, che dovrebbero in Aula ad ottobre, salvo imprevisti e come promesso da Matteo Renzi già lo scorso luglio. Rimane propedeutica a tutto questo l’approvazione del ddl di riforma costituzionale, la mancata (o ritardata) approvazione del quale finirebbe per mettere a rischio anche le unioni civili.
Nelle cronache di questi giorni ha assunto importanza anche la ricostruzione, secondo la quale il ridimensionamento della legge potrebbe essere conseguenza di una mediazione fra Renzi e CL, avvenuta durante il Meeting di Rimini; ma ciò sembra essere smentito dalle ripetute e recenti dichiarazioni dello Renzi, che conferma che le unioni civili saranno approvate secondo il progetto originario, e dunque comprensive di estensione della pensione di reversibilità e step child adoption.
Dello stesso avviso è Micaela Campana, responsabile diritti e welfare del PD, che dal palco della Festa Nazionale dell’Unità di Milano, il 30 agosto scorso ha confermato che non ci saranno mediazioni al ribasso sul testo e che se dovesse servire, dopo le riforme costituzionali, il PD è disposto ad andare in aula anche senza la relatrice, pur di assicurare in tempi veloci un testo serio.
Rimane abbastanza sicura e scontata la battaglia in Aula con NCD, ma i numeri per avere la maggioranza dovrebbero esserci, considerando oltre al PD (o gran parte di esso) anche i voti di Cinque Stelle, SEL, alcune parti di Forza Italia, i senatori riconducibili al movimento di Raffaele Fitto, gli ex Cinque Stelle e altri senatori del Gruppo Misto.
Certo è che il PD deve essere in grado di gestire molto bene le dinamiche e le relazioni con le altre componenti parlamentari in modo da assicurare il testo più solido possibile, mantenendo la condivisione con le parti già adesso favorevoli.
La senatrice Cirinnà, dal canto suo, ha ribadito in più occasioni la sua ferma contrarietà ad ogni ridimensionamento del testo, pur rimanendo disposta a valutare eventuali modifiche (solo formali e non di sostanza) e sempre in maniera concordata con il tavolo delle associazioni LGBT, le quali ribattono che però, ad oggi, nessun accordo c’è stato con il PD e che non è nemmeno prevedibile in quanto l’unica richiesta è e continua a rimanere quella per il matrimonio egualitario.
L’emendamento approvato oggi in Commissione conferma che le cose cambiano, con una velocità superiore ad ogni previsione. Sono previste nei prossimi giorni altre sedute, anche notturne, per provare a completare la votazione degli emendamenti e poi andare in Aula. Nel frattempo già da adesso il PD sta lavorando per trovare una posizione unitaria da parte del gruppo dei deputati alla Camera, in modo tale che una volta che il testo arriverà lì possa essere votato in maniera rapida senza alcuna forzatura e stravolgimento. La previsione è che anche in quella sede ci sarà una importante dose di ostruzionismo da parte di NCD, pare ad opera del deputato Alessandro Pagano, che assumerà quello che al Senato è stato ed è il ruolo di Carlo Giovanardi. Il PD, comunque, non esclude che per superare atteggiamenti ostruzionistici si possa fare ricorso al metodo del “canguro” o far intevenire il Comitato dei Nove.
Le questioni tecniche sul tappeto
Dal punto di vista tecnico-giuridico, l’ipotesi di intervenire sul testo attraverso l’eliminazione dei rinvii puntuali al codice civile – e, più in generale, la stessa definizione dell’unione civile quale formazione sociale specifica, ai sensi dell’art. 2 Cost. approvata il 2 settembre – potrebbe mettere a rischio il già fragile equilibrio interno al disegno di legge, che si regge – è bene precisarlo – proprio su un sistema di rinvii alla disciplina codicistica relativa al matrimonio. Infatti, ad eccezione dell’art. 5 – che modifica la legge n. 184/83 sulle adozioni, consentendo l’adozione del figlio del coniuge anche alle parti di una unione civile – e all’art. 7, che prevede una delega al Governo per l’armonizzazione del vigente ordinamento dello stato civile (e, più in generale, del diritto di famiglia) al nuovo istituto dell’unione civile, tutte le altre disposizioni del ddl si incentrano su rinvii al codice civile.
Si tratta, d’altra parte, della tecnica normativa più adeguata: l’ordinamento già prevede un istituto per la disciplina delle convivenze familiari (il matrimonio) e, in presenza di un significativo tasso di omogeneità tra queste e l’unione civile, ragioni di economia ed opportunità hanno condotto alla formulazione mediante rinvio. L’omogeneità tra matrimonio e unione civile, peraltro, è stata riconosciuta – seppur parzialmente – dalla Corte costituzionale: nella sentenza n. 138/10, infatti, la Corte, pur riconducendo il riconoscimento delle coppie omosessuali al diverso fondamento dell’art. 2 Cost., ha affermato che, in mancanza di un intervento del legislatore, avrebbe provveduto ad assicurare, in casi concreti, un trattamento omogeneo delle coppie omosessuali rispetto a quelle coniugate. Allo stesso modo, la Corte europea dei diritti dell’uomo – che fin dal 2010 riconduce il riconoscimento delle coppie omosessuali all’art. 8 della Convenzione (tutela della vita familiare) – ha ribadito e consolidato da ultimo tale posizione, proprio nella sentenza Oliari c. Italia del 21 luglio 2015.
Anche la Commissione Affari costituzionali del Senato – nel proprio parere del 12 maggio 2015 sul ddl “Cirinnà” – ha riconosciuto l’opportunità di tale tecnica di normazione, affermando in particolare che la speciale protezione del matrimonio contenuta all’art. 29 Cost. “non può escludere che il legislatore possa estendere alle unioni civili diritti propri dell’istituto matrimoniale, la cui istanza di particolare protezione, accolta dal Costituente, non può considerarsi frustrata da una legislazione sulle unioni omosessuali che ne regoli le forme di esistenza giuridica, modellandole sul matrimonio”.
Al di là delle considerazioni di sistema, peraltro, un intervento sui rinvii al Codice civile, mediante loro sostituzione con l’enunciazione espressa dei corrispondenti diritti (e doveri) rischierebbe di pregiudicare – rendendola più incerta – l’effettiva portata della tutela della vita familiare omosessuale. Infatti, il rinvio a disposizioni del Codice – oltre ad avere il merito della sintesi e della chiarezza – inserirebbe l’unione civile in un sistema di relazioni giuridiche consolidato da decenni di interpretazione: in altre parole, la tecnica del rinvio ha il merito di assicurare all’unione civile – negli ambiti in cui è assicurata – una protezione perfettamente equivalente a quella riconosciuta al matrimonio perché, con il rinvio alla disposizione, si assume anche tutta la giurisprudenza (e la prassi applicativa) che su quelle disposizioni si è formata, limitando di molto il rischio di incertezze. Viceversa, la stesura ex novo di un elenco di diritti e doveri (indipendentemente dall’effettiva portata degli interventi emendativi) imporrebbe un faticoso lavoro di interpretazione, rendendo ardua la possibilità di fare ricorso – per colmare eventuali vuoti di tutela – agli strumenti dell’interpretazione estensiva e dell’analogia (vale a dire, l’estensione in via interpretativa alle unioni civili di ulteriori strumenti di tutela elaborati dalla giurisprudenza a partire dalle disposizioni del Codice “riprodotte”).
Altra disposizione a rischio sembrerebbe essere, poi, l’art. 3, comma 3, che prevede che – ad eccezione delle disposizioni del Codice civile non richiamate dal ddl e dell’art. 6 della legge n, 183/84 (adozione congiunta) – “le disposizioni contenenti le parole «coniuge», «coniugi», «marito» e «moglie», ovunque ricorrano nelle leggi, nei decreti e nei regolamenti, si applicano anche alla parte della unione civile tra persone dello stesso sesso”. Pare evidente che, qualora davvero si riuscisse ad espungere tale previsione dal disegno di legge, la portata dei diritti e dei doveri riconosciuti alle coppie gay e lesbiche sarebbe drasticamente ridotta: si pensi soltanto che è per il tramite dell’art. 3, comma 3, che potrà applicarsi alle parti dell’unione civile l’art. 13 del R.D.L. 14 aprile 1939, n. 636, norma generale tuttora vigente sulla pensione di reversibilità al coniuge superstite.
Unione civile e matrimonio: distinti ma non distanti
Modellare l’unione civile sul matrimonio non implica necessariamente uno svilimento dell’istituto matrimoniale, non pregiudica l’estensione delle tutele accordate a tale istituto e non vale minimamente a spostare la base costituzionale del disegno di legge dall’art. 2 all’art. 29. Soprattutto, non fa venire meno l’autonomia dell’unione civile rispetto al matrimonio. Lo stesso disegno di legge dimostra in più punti di essere perfettamente in linea con la distinzione tra i due istituti: ad esempio, se l’art. 3, comma 3, estende automaticamente alle parti dell’unione civile le norme vigenti che contengono le espressioni “coniuge/i” o “marito/moglie”, lo stesso non accade per l’equivalenza tra matrimonio e unione civile. Questa non potrà avvenire infatti in modo automatico, ma solo a seguito dell’esercizio, da parte del Governo, della delega di cui all’art. 7, oggetto della quale è, appunto, anche l’ “inserimento dopo la parola «matrimonio», ovunque ricorra nelle leggi, nei decreti e nei regolamenti e fatte salve le disposizioni del codice civile e la disposizione di cui all’articolo 6 della Legge 4 maggio 1983, n. 184, delle seguenti parole «o unione civile tra persone dello stesso sesso»” (art. 7, comma 1, lett. c).
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