Se non è una strage poco ci manca. Nel solo mese di marzo, a Londra, sono stati accoltellate a morte 22 persone. Per lo più adolescenti. Non è tutto: da inizio anno i decessi per ferite da arma da taglio sono stati 36. A questo ritmo, fa notare il quotidiano britannico Independent, nel 2018 le morti per accoltellamento potrebbero aumentare del 50% rispetto all’anno scorso, superando le 120 vittime. Sono numeri a dir poco drammatici, la spia di una vera e propria epidemia di violenza per le strade di una delle metropoli più ricche e potenti dell’Occidente. Peggio, questi numeri sono soltanto la punta dell’iceberg. In realtà il fenomeno è molto più ampio. Si pensi a Mariam Moustafa, la giovanissima italo-egiziana deceduta dopo il pestaggio subìto da un gruppo di coetanee inglesi. Contro di lei non fu brandita nessun coltello, ma l’epilogo fu comunque fatale.
Come vaticinava qualche decennio fa J. G. Ballard, Londra sta diventando più pericolosa. I dati della Metropolitan Police, che i londinesi chiamano the Met, mostrano un chiaro aumento della criminalità dal febbraio del 2014, specie per categorie sinistre come “violenza contro la persona”, “reati sessuali”, “furto e ricettazione”. E l’allarme lanciato dal Sunday Times all’inizio di aprile, sul fatto che Londra sarebbe oramai diventata più pericolosa di New York, ha avuto eco mondiale.
Comparazioni a parte, è vero che nella capitale britannica gli accoltellamenti hanno toccato i livelli più alti da 7 anni a questa parte. Certo, il problema è nazionale (nel 2017 i reati con arma da taglio in Inghilterra e nel Galles sono aumentati del 21% secondo l’Istat inglese), ma a Londra è una vera e propria emergenza. Una parola è sulla bocca di tutti: gangs. Che sono molto diffuse nella metropoli. Nel 2012, secondo una stima della polizia, erano attive 250 gang, per un totale di circa 5000 membri.
Di fronte all’impennata del crimine, Londra corre ai ripari. Il sindaco Sadiq Khan ha promesso lo stanziamento di 15 milioni di sterline l’anno per progetti rivolti ai giovani di famiglie a basso reddito. Il governo ha lanciato la “Serious violence strategy” per contrastare i reati con arma da taglio e da fuoco, promettendo di investire 40 milioni di sterline. Nel frattempo, sulle pagine dei giornali e sugli schermi delle tv campeggiano le foto dei volti delle vittime, spesso giovanissime. Uno shock. Nella seconda economia d’Europa. Ecco perché la tentazione di ridurre queste morti a episodi di bullismo sfociati in tragedia è forte. Si tende a parlare di “broken homes”, nuclei familiari distrutti. Di ragazzi dei quartieri poveri, privi di figure paterne, allo sbando.
Ma non è tutta colpa delle famiglie, della povertà, della solitudine. C’entra anche qualcosa di molto familiare a noi italiani, ma che a queste latitudini si preferisce non menzionare: il crimine organizzato.
Lo confermano gli esperti sentiti da Gli Stati Generali. «Dietro questo aumento della criminalità non ci sono gruppetti di bulli di quartiere – spiega Federico Varese, professore di criminologia presso l’Università di Oxford e autore del saggio “Mafia Life: love, death and money at the heart of organised crime” –. Si tratta di organizzazioni molto più complesse, che conducono vere e proprie guerre per il controllo del territorio dello spaccio di droga». Un fenomeno che, secondo lo studioso, non è trattato come tale in Inghilterra. «In questo Paese c’è una totale mancanza di consapevolezza del fatto che anche qui esiste la criminalità organizzata – dice –. In realtà è in corso una guerra tra gang». Guerra con le lame anziché con i proiettili, ma sempre guerra. In Inghilterra non è facile accedere alle armi da fuoco sul mercato illegale, mentre è ovviamente molto semplice comprare coltelli, coltellacci e altre armi da taglio. «E così si finisce a combattere le guerre con i coltelli anziché con le pistole. Ma la sostanza non cambia» nota mestamente Varese.
Ovviamente le cause del boom di violenza sono molteplici. Come osserva Simon Harding, professore di criminologia presso la University of West London, esse includono la riduzione del numero dei poliziotti e i tagli ai servizi sociali per i giovani, arrivati in tempi di austerity. Sul crimine organizzato in Inghilterra, Harding nota come «si tenda a pensare che sia quello di livello superiore, per così dire, coinvolto nell’importazione di droga da canali internazionali, ad esempio, o nel traffico di esseri umani. In realtà i gruppi di ragazzini attivi in molti quartieri di Londra non ne sono del tutto estranei».
Tutt’altro. Le gang sono strutturate secondo una gerarchia precisa. I vari livelli hanno nomi che ricordano la struttura dei gruppi di boy-scout: ci sono “i giovani”, tra i 12 e i 15 anni, che trasportano la droga in giro; poi ci sono “i grandi”, tra i 15 e i 20 anni, che ricevono la droga e la distribuiscono organizzando lo spaccio; e più in alto ci sono “gli anziani”, in genere fra i 20 e i 30 anni, che si rapportano direttamente con il crimine organizzato, ricevendo da questo la droga importata dalla Colombia, dalla Turchia e da altri paesi. «Perciò è tutto collegato – continua Harding – e i ragazzini più giovani sono molto vulnerabili. Girano per Londra in bicicletta, talvolta in motorino, per portare in giro la droga. Perché ormai è cambiato il metodo di spaccio, oggi se vuoi qualcosa fai una telefonata e ti arriva la consegna a domicilio». Proprio qui, dice Harding, potrebbe trovarsi un collegamento importante con l’aumento degli accoltellamenti.
«Quando vanno a consegnare la droga questi ragazzini portano con sé molti soldi, e naturalmente un coltello. Ciò li rende un obiettivo per altri ragazzi, sia di gang rivali che della loro stessa gang. Non è raro che “un grande” di una gang organizzi una rapina ai danni di un suo “giovane”, in modo da aumentare il suo potere sulla manovalanza, ma anche in modo da incassare il doppio dei soldi in un colpo solo. E se qualcosa va storto, è facile che ci scappi il morto accoltellato».
Le gang londinesi infatti sono molto violente anche al loro interno. «Le liti scoppiano per le solite ragioni – dice Harding –. Insulti, soldi, ragazze. Ma ora c’è un altro problema molto grave, ed è che “i giovani” sono furiosi con “i grandi”, che secondo loro si prendono la metà del loro guadagno; se ne stanno seduti con le mani in mano mentre loro corrono grossi rischi. Vogliono levarsi “i grandi” di torno».
Per Varese il primo passo per risolvere il problema è cominciare a chiamare le cose con il loro nome. «Sento politici che parlano di ragazzini provenienti da famiglie distrutte, dove mancano le figure paterne. Ovviamente sono spiegazioni che lasciano il tempo che trovano. La verità è che c’è un grave problema di criminalità in Inghilterra, che viene derubricato come una questione di giovani privi di modelli famigliari. Così non si va da nessuna parte».
Certo, in Inghilterra esistono famiglie criminali vecchie di tre o quattro generazioni, ma neanche le gang sono una novità (come sanno bene i fan del telefilm Peaky Blinders, ambientato a Birmingham nel 1919). E le problematiche alla base della piaga gang sono, in primis, socioeconomiche. Del resto, secondo la fondazione Trust for London, il 27% dei londinesi vive in povertà (una volta pagati i costi legati all’alloggio) e il 50% della ricchezza di Londra è posseduta dal 10% della sua popolazione, mentre il 50% dei londinesi ne detiene solo il 5%.
Nella capitale inglese, come anche nel resto del mondo, la diseguaglianza è un problema molto serio. «Ci sono intere comunità in Inghilterra, che non sono governate dallo Stato – nota Varese –, perché in questo Paese c’è un classismo profondo, e interi quartieri sono segregati e abbandonati a se stessi, di fatto si autogovernano. Il problema è che, a volte, questo autogoverno sfocia in guerre di mafia. Perché io le chiamerei proprio così».
Solo che a differenza delle mafie le gang non si coordinano fra di loro, e non condividono una serie seppur minima di regole comuni. Le gang di città come Londra o Liverpool vanno ognuna per i fatti propri, e quindi sono prive di numerosi meccanismi di riduzione della violenza. «Inoltre i loro membri sono molto più giovani – sottolinea Varese –, quindi mentre nelle mafie classiche si diventa boss a 60 anni, in una gang londinese ci si può arrivare molto prima. Con la conseguenza che la capacità di leadership è ovviamente più bassa, e il livello di violenza si alza».
Una delle misure messe in atto dal Comune di Londra per contrastare il fenomeno della violenza giovanile è la campagna “London needs you alive. Don’t carry a knife”. Ossia, Londra ha bisogno di te vivo, non uscire con un coltello. Nella cornice di questa campagna il Comune collabora con varie ONG, da anni impegnate con i giovani londinesi. Gli Stati Generali hanno parlato con due esponenti di queste organizzazioni, ambedue fondate da madri di ragazzi uccisi da coetanei, con una coltellata o un colpo di pistola.
Per entrambe le esponenti i tagli governativi ai servizi per i giovani hanno avuto un effetto diretto sulla violenza giovanile. I ragazzi si sentono incompresi e abbandonati, e non vedono altre opzioni – dichiara Lorraine Jones, amministratrice delegata e fondatrice dell’ong Dwaynamics –. Pensano di non avere nulla da perdere, e non capiscono perché non dovrebbero prendere la strada delle droghe, delle gang e della violenza».
Jones sostiene di aver ricevuto un grande sostegno dalla polizia e dal governo, che ora sembrano più attenti che mai al fenomeno. «Tuttavia non credo stiano facendo abbastanza – aggiunge – né a livello comunale né di governo centrale. Devono mettere la questione al centro di un’agenda, e dedicarle tempo e risorse. Nessun bambino è mai nato criminale. La chiave è capire cosa lo porta a diventarlo, ed evitare che accada».
Emilia Gill è una ricercatrice della JAGS Foundation, attiva a Croydon, uno dei quartieri dove la violenza giovanile è più grave e frequente. «La Serious violence strategy appena varata non è niente di nuovo, in realtà – spiega –. Il governo centrale non ha destinato nuovi finanziamenti, e non è interessato al lavoro che organizzazioni come la nostra fanno ogni giorno con i giovani. Non lo vedono come un elemento utile da cui partire per elaborare le sue politiche. Ora se ne parla, fantastico. Ma non si sta implementando niente di nuovo».
Gli Stati Generali hanno chiesto un commento al Comune di Londra e al Ministero dell’Interno. Il primo non ha risposto, il secondo ha inviato il comunicato stampa sul lancio della Serious violence strategy. In esso sono citate le parole della Ministra dell’Interno Amber Rudd [dimessasi il 29 aprile]: “una parte fondamentale del nostro approccio sarà concentrarci e investire di più sulla prevenzione. Dobbiamo fare tutto il possibile per affrontare il problema, e far sì che nessun genitore debba più seppellire i propri figli”. Il primo passo, probabilmente, è dare loro una speranza. «Questi ragazzi hanno un enorme potenziale – conclude Jones –. È questione di pochissime svolte, giuste o sbagliate, perché finiscano per avere una vita del tutto diversa».
Immagine di copertina: Pixabay
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