Costume
Emancipazione femminile, morte del maschio = crisi delle relazioni?
Il maschio alfa è morto, la donna si è emancipata e – pare – che per questo le relazioni non si sentano benissimo.
Quante volte abbiamo sentito amiche e conoscenti lamentarsi della scomparsa degli “uomini di una volta”? Quelli che ti venivano a prendere a casa e ti aprivano la porta del ristorante al primo appuntamento, quelli del “tu non ti preoccupare che ci penso io” e delle insicurezze nascoste dentro un’auto ben curata e una casa lasciata allo stato brado. E quante volte abbiamo letto articoli dedicati alla crisi del maschio causata – si dice – dall’emancipazione di donne sempre più impegnate nel mondo del lavoro, sempre meno angeli del focolare, sempre più concentrate sulla propria realizzazione personale?
Ora, fra il serio e il faceto, pare che la crisi delle relazioni, l’insoddisfazione di molti nei confronti del partner derivi, in larga parte, da questa demascolinizzazione dell’uomo diventato troppo simile alla donna per continuare ad essere “l’altra metà della mela”. D’altronde come si può evitare l’insofferenza di fronte all’interesse dimostrato dal proprio compagno per una crema antirughe o nei confronti del suo essere “troppo sensibile”? Se per un’uscita al cinema si fa aspettare sotto casa più di mezz’ora e durante la proiezione piange come una vite tagliata da una parte è colpa dell’eccessiva indipendenza e intraprendenza delle donne contemporanee, dall’altra è inevitabile che si riveli inadeguato alle aspettative riposte su di lui.
Questo ragionamento implica tre cose, tutte decisamente poco positive.
1) L’essere femminile è ancora caratterizzato, nella mentalità comune, da elementi di fragilità e debolezza (vanità in primis). Gli uomini si sarebbero “femminilizzati” non perché hanno assunto, nel corso degli ultimi decenni, comportamenti storicamente percepiti come femminili (la capacità di cura e accudimento, l’attenzione all’ascolto, l’empatia), ma perché ne hanno assunto i vezzi. E questo certo non fa onore alla storia delle donne.
2) Le donne a loro volta si sono emancipate assumendo i tratti più “rigidi” dell’atteggiamento maschile.
3) La mediazione non sembra prevista, la comprensione reciproca nemmeno, e nel rapporto a due tutto si riduce ad un soddisfacimento di bisogni personali.
Attribuendo al portato femminista e all’avanzare della società liquida la frammentazione delle relazioni e la loro conseguente crisi – oltre all’aumento esponenziale dell’insoddisfazione individuale in ambito relazionale – si semplifica e si “esternalizza” il problema. Si trascura innanzitutto la potentissima influenza che, fin dall’infanzia, esercitano su di noi i modelli sociali e culturali nei quali cresciamo. Per qualcuno ad esempio è il romanticismo che ha ucciso l’amore, per altri semplicemente si tratta dell’emancipazione (maschile e femminile) dalle logiche di coppia “tradizionali”. Romanticismo e femminismo però sono realtà ormai “antiche” e giustamente ci si chiede che cosa sia cambiato negli ultimi decenni. Ciò che è cambiato è forse l’aspettativa nei confronti della relazione.
Donne e uomini cercano nell’altro una conferma di sè, partendo da una lista di “desiderata” che il partner ideale dovrebbe esaudire. La donna ideale e l’uomo ideale insomma, possibilmente unici e possibilmente pronti a riconoscere un legame eterno e stabile con noi. Compagni funzionali al nostro stile di vita, ai quali offrire – come si legge in un passaggio dell’articolo apparso sull’Huffington Post – un manuale d’istruzioni che ci definisca e permetta al partner di “comportarsi con noi nella maniera corretta”.
Interesse, scoperta dell’altro, esplorazione, rischio e messa in discussione non sembrano centrali in questa dinamica. E come potrebbero esserlo se il prodotto finito della relazione deve corrispondere di necessità a determinati requisiti?
Il punto – forse – è che a fronte di un aumento del riconoscimento del valore del nostro desiderio e delle nostre ambizioni personali, non abbiamo assistito ad un parallelo crescere del senso di responsabilità nei confronti dei desideri e delle ambizioni degli altri. Degli altri a cui teniamo quantomeno. E questo ha poco a che fare con l’emancipazione della donna e femminizzazione del maschio, ha poco a che fare con la società liquida (che in nessun caso implica la mancanza di responsabilità relazionale), ha pochissimo a che fare con la scomparsa del maschio. Ha molto a che fare invece con lo scarso allenamento alle competenze emotive e con l’idea che, nella vita, esista la perfezione delle relazioni e, diretta conseguenza, la perfezione e completezza della persona che in quella relazione concretamente dovrebbe stare.Vogliamo, da donne, il maschio che ami i bambini e, in caso di figli, faccia le notti in piedi a cullarli con noi. Lo vogliamo sensibile e attento ai nostri bisogni, molto distante dal maschio del secolo scorso, pronto a liquidare qualsiasi problema femminile come un’isteria da donnetta. Lo vogliamo curato e attento al suo aspetto, ma meno di noi. Legato alla casa, ma non esperto in stoffe dell’Ikea. Le mensole si, piatti e tazzine no. Ancora un po’, sì, ma non troppo. Vogliamo, da uomini, la donna curata, ma che non trascuri le nostre esigenze per la sua carriera o la sua forma fisica. Che guadagni, ma se guadagna più di noi può essere un problema, che abbia interessi e relazioni, ma che si occupi di casa e figli.
Vogliamo tutto, lo vogliamo così come ce lo immaginiamo.
“Perché noi valiamo”. “Immagina puoi”.
Vi suona familiare? Forse ci è più familiare del concetto di morte del maschio, ma ammetterlo e ammettere il condizionamento è un traguardo ancora lontano a venire.
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