Costume

Il problema non sono i social network ma l’imbecillità degli italiani

15 Giugno 2015

Umberto Eco ha sbagliato bersaglio prendendosela con i social network rei, a suo giudizio, di offrire parola a “migliaia di imbecilli”.

Il reale problema, caro professore, non è internet ma le migliaia di imbecilli che vivono nel nostro paese perché, se non fossero tali, i social network non sarebbero un problema ma una straordinaria opportunità.

Facebook è semplicemente una vetrina, uno specchio del paese e dei cittadini, un po’ come la classe dirigente che ci governa, mediocre e inadeguata ma straordinariamente simile al popolo italiano.

La rovina di questo paese è da ricercarsi nell’infimo livello culturale dei suoi cittadini, la mancanza di cultura si ripercuote in ogni settore della società, se gli italiani fossero più attenti e informati saprebbero scegliere in modo più oculato i propri leader, saprebbero indignarsi in modo fermo e deciso a scandali e ruberie e prendere decisioni drastiche per contrastare determinati malcostumi.

La situazione in cui si trova l’Italia in questi anni è frutto di una crisi culturale che, a partire dagli anni ’70, ha attanagliato il nostro paese per poi esplodere negli ultimi anni in tutta la sua drammaticità.

Questa crisi culturale ha determinato una crisi politica e di leadership sfociata in tangentopoli, da quel momento, che sarebbe dovuto essere un’occasione di ricambio e trasformazione, non si è più ricreata una classe dirigente all’altezza, riproponendo vecchi leader riciclati o nuovi scaltri faccendieri.

La mancanza di una preparazione culturale da parte della stragrande maggioranza degli italiani fa sì che i nostri concittadini siano facilmente manovrabili e convincibili attraverso i mezzi di comunicazione di massa che trasmettono in modo martellante i messaggi che più si avvicinano alle strategie dei partiti.

Se fino a pochi anni fa la televisione – come denunciavano con anni di anticipo scrittori come Pasolini e Bianciardi – plasmava le opinioni dei cittadini, oggi lo scenario, a causa della diffusione di internet e dei social network, è mutato.

Oltre alla televisione, che sta cercando di mantenere, seppur con grandi difficoltà, il proprio ruolo di opinion maker, su internet è il trionfo della (dis)informazione non filtrata e non verificata con bufale, false notizie, scoop inesistenti che sono letti, condivisi e presi per veri – e qui ritorna il discorso della mancanza di una base culturale degli italiani – solo perché scritti.

In questo caso ha ragione Umberto Eco sostenendo che gli imbecilli che scrivono sui social network: “prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività”, oggi invece le loro opinioni riportate online rimangono nel tempo, scipta manent.

L’aspetto più drammatico della situazione italiana è la non consapevolezza del problema che affligge il paese, è un cane che si morde la coda, proprio la mancanza di cultura non permette agli italiani di comprendere la genesi di tutti i mali.

Cosa pretendere d’altronde in un paese dove solo il 41,1% di italiani nel 2014 ha letto un libro nel corso dell’anno, dove nel 2013, con il 22,4% della popolazione laureata, siamo l’ultimo paese in Ue per numero di laureati (ci sarebbe poi da aprire una parentesi sulla qualità di questi laureati, in un’università pubblica allo sbando). Per fare un confronto, la media europea è del 36,8%, siamo sotto a Romania (22,8%), Croazia (25,9%) e Malta (26%).

D’altronde la laurea non dimostra il valore culturale di una persona – e questo, soprattutto in Italia, è più che vero – ma cosa, più dei consumi culturali, è il termometro per la situazione del paese?

Secondo il rapporto Una strategia per la cultura, una strategia per il paese realizzato da Federculture nel 2013 (il rapporto è stato realizzato nel 2014 con i dati dell’anno precedente), “ben 39 italiani su cento non hanno preso parte ad alcuna iniziativa culturale. […] questi dati ci pongono tra gli ultimi posti delle classifiche europee, ma tra i primi per il disinteresse pubblico nelle attività culturali. Secondo Eurobarometro, l’agenzia europea che misura e analizza le tendenze dell’opinione pubblica, il nostro indice di partecipazione culturale è pari all’8%, ma la media europea è del 18%”.

I social network, caro professor Eco, sono l’ultimo dei nostri problemi, abbiamo un problema maggiore, molto più difficilmente risolvibile: gli italiani.

Era il 1866 quando Massimo Taparelli, marchese d’Azeglio (comunemente noto come Massimo d’Azeglio), nella prefazione a I miei ricordi scriveva:

“il primo bisogno d’Italia è che si formino italiani dotati d’alti e forti caratteri. E pure troppo si va ogni giorno più verso il polo opposto: pur troppo s’è fatta l’Italia, ma non si fanno gl’Italiani”.

Ancora oggi gli italiani non si sono fatti poiché manca un collante culturale, una visione condivisa che nasca da solide basi e punti fermi che vadano oltre ideologie, opinioni politiche, leader passeggeri.

 

Francesco Giubilei

@francescogiub

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