Medio Oriente

Perché la psicosi è l’unica vittoria che l’Isis può ottenere su di noi

18 Febbraio 2015

Voglio che sia subito chiaro: andare in Libia non è per forza di cose sbagliato. Il problema piuttosto è: che cosa ci andiamo a fare in Libia?  Secondo molti opinionisti, ed anche alcuni personaggi interni alla politica, ci vorrebbe un’azione di “peace keeping”. Ma, sinceramente, il termine non mi torna: per poter conservare qualcosa, bisogna che questo qualcosa esista. E in Libia, ormai da tre anni, la pace non c’è; quindi, non vedo come possa essere mantenuta. Prima di averla, bisognerebbe farla: ci vorrebbe, dunque, un’azione volta a costruire la pace. Ma in che modo? E soprattutto, combattendo dalla parte di chi? Del governo messo lì dagli occidentali nel 2011, che ormai non conta più nulla? Di una qualche tribù? E poi, problema ancor più grave, quando siamo lì, come evitiamo che le bande si saldino tra di loro contro di noi, che a quel punto diventiamo gli invasori (oltre che gli infedeli)? Per tutti questi motivi, se intervento deve essere, sarebbe bene pensarci su con meno faciloneria ed irruenza, ed è imprescindibile che ad occuparsene sia l’ONU. Ovviamente, gli interventisti si lamentano della lentezza che tale procedimento richiede: l’intervento in Libia, ci dicono, sarebbe urgente in quanto le forze dell’ISIS, per loro stessa ammissione, stazionerebbero ormai minacciosamente “a sud di Roma”.

 

Ora, lasciamo stare che a sud di Roma ci stanno i Castelli Romani, o al massimo Latina, non certo il Nord Africa. E’ vero, la Libia è vicina a noi, e non solo geograficamente. Da lì partono i barconi degli emigranti disperati che riempiono i nostri centri di prima accoglienza, lì c’è l’Eni, lì siamo stati potenza coloniale e tutto sommato siamo potenza post-coloniale (in senso economico). Quello della Libia è un dramma di cui noi occidentali portiamo delle enormi responsabilità, non solo negli errori del 2011. Ma commettere un errore in più non attenuerebbe il dramma e non ridurrebbe la minaccia.

 

Minaccia che, per adesso, è mediamente alta dal punto di vista terroristico ma prossima allo zero dal punto di vista di un attacco convenzionale, considerato l’armamento a disposizione delle truppe dell’ISIS (fucili, mitragliatori, cingolati, qualche barcone e al massimo qualche decina missili Scud) e soprattutto viste le difese presenti nel Mediterraneo, dove stazionano a tal fine diverse navi da guerra non solo italiane. Gli Scud, l’unica arma di qualche rilievo che potrebbe essere nelle mani dell’ISIS, sono vecchi missili balistici a corto raggio, il che vuol dire che non sono precisi, non sono guidati fin sul bersaglio (a meno che non si usi un puntatore laser sul luogo dell’impatto) e comunque hanno un raggio d’azione massimo di 300 chilometri. Sarebbero buoni quindi solo per un eventuale attacco dimostrativo verso Lampedusa, come d’altronde già accaduto ai tempi di Gheddafi, il quale, tra l’altro, aveva una forza armata superiore e molto meglio organizzata rispetto a quella dell’ISIS. Eppure, come si ricorderà, neppure in quel caso gli Scud riuscirono a causarci alcun danno.

 

Discorso simile può esser fatto per il timore di uno sbarco, che in realtà è un’ ipotesi abbastanza risibile: attraversare il Mediterraneo e mettere piede a terra in Sicilia in grande stile è impresa ben oltre le possibilità dei guerrieri del Califfo. Perché al di là della sua efferatezza e della sua grande visibilità (e la seconda non è che la diretta conseguenza della prima) l’ISIS non è una minaccia militare credibile. Certo, rimane una serissima minaccia terrorista, ma questo lo era anche prima di farsi notare in Libia. Ieri, l’Ansa, la maggiore agenzia di stampa italiana, ha dedicato alla Libia oltre cento titoli. L’AP, la maggiore agenzia di stampa americana e mondiale, appena una decina. E’ un dato su cui riflettere.

 

L’ISIS non è capace di dettar legge in Libia, come non ne è stato capace in Siria e in Iraq, paesi nei quali ha semplicemente approfittato dei problemi e dei limiti altrui, più che dare prova di grande potenza e capacità.
L’Italia è un paese con 60 milioni di abitanti, forze armate moderne e integrate nel dispositivo militare della NATO, e il Mediterraneo è presidiato dalle marine europee e da quella americana, le più moderne del mondo.
Per questo, chi spaccia qualche centinaio di guerriglieri in Libia come una minaccia per Roma o ha qualche problema di comprensione o, è più probabile, qualche inconfessabile interesse ad alimentare la psicosi.

Che poi, se ci si ragiona un pochino, è proprio questa psicosi l’unica vittoria che l’ISIS può ottenere su di noi: far provare terrore ai tanto odiati occidentali, benestanti ed imbelli nei loro paesi senza guerra.

Sta a noi decidere se è il caso o meno di dargliela vinta.

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