Città
Le periferie sole e disperate cercano compagnia e trovano Salvini
Sono a Roma, a Milano, a Padova, nelle città emiliane. Domani, dopo, potrebbero essere anche a Napoli e più a sud. Sono le periferie disperate su cui sta prendendo la sua lunga rincorsa da leader nazionale Matteo Salvini. Tor Sapienza, l’esasperazione delle popolazioni locali che esplode all’improvviso, la lunga inazione della politica, la benzina improvvisamente gettata sul fuoco, quel poco o tanto di razzismo che sicuramente esiste: per Matteo Salvini e il suo progetto politico questa è manna dal cielo. “Tor sapienza mi chiama, io ci vado”. E intanto oggi “la disperazione delle periferie”, dopo Tor Sapienza, arrivava perfino sulla prima pagina dei giornali.
Così, l’estrema periferia romana, un centro di accoglienza che diventa il bersaglio della rabbia e un campo di rom che continuano ad essere il bersaglio dei secoli che furono, costituiscono il mix di vecchia e nuova solitudine dentro al quale si butta la nuova Lega dei Popoli e delle Identità di Matteo Salvini. Che non a caso stringe alleanze ormai stabili con l’estrema destra di Casa Pound, punta il dito contro l’Europa e cerca alleati appena fuori dall’Europa: così lontani, così vicini, come la Russia di Putin.
La vecchia Lega divideva l’Italia, e poi il mondo, in nord e sud. La nuova Lega, quella di Salvini, cavalca su un’altra divisione, forse più efficace, sicuramente più contemporanea: quella tra centro e periferia. E mentre i centri si arroccano sempre di più su se stessi e a difesa di una rendita che si assottiglia, le periferia si gonfiano di vecchie e nuove marginalità. Invisibili agli occhi, lontane dai media salvo emergenze, ma ribollenti di pulsioni, rabbie e voti. Quegli stessi voti che hanno spesso deciso il destino delle elezioni nazionali o locali in Italia, mentre nel cuore del centro di Milano e di Roma politici e analisti stavano guardando un altro film. Oggi la distanza tra i due film, se possibile, è ancora più ampia, perché il contado e la periferia sono sempre di meno il luogo in cui si vive un benessere calmo e si campa della rendita lasciata da un modello di sviluppo, e sempre di più lo spazio in cui si misura la fine di quel modello di sviluppo, l’esaurirsi di quella rendita, la crescita della disperazione come fattore di scelta politica.
E insomma, Matteo, ogni tanto alza la testa dal Jobs Act e dalla polemica identitaria con la Cgil: a quindici chilometri da Palazzo Chigi e dalla principali redazioni italiane inizia un altro Paese. Un altro Matteo, a modo suo, se ne sta occupando, lo sta occupando, tutti i giorni.
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