Calcio

Parma: un modo di vivere

22 Febbraio 2015

“Parma un modo di vivere” recitava un adagio promozionale del Comune di Parma nel dicembre 2010.

Febbraio 2014 il Parma calcio è in fallimento, ultimo di una serie di crack che, ormai da anni, affliggono la città.

Nel 1998, quando Elvio Ubaldi venne eletto per la prima volta alla carica di sindaco di Parma – con la lista civica Civiltà Parmigiana – avevo quattordici anni. In città si respirava un clima di rinascita, si diceva che Parma sarebbe passata dall’essere una grigia realtà di provincia, amministrata con rigorosa attenzione ai bilanci, ma poca “fantasia” da Stefano Lavagetto, ad una piccola metropoli che avrebbe vissuto un consistente aumento di popolazione, di capitali d’impresa, di edilizia abitativa e infrastrutture. Investimenti, crescita, “città vetrina”. Sembrava che, all’improvviso, il futuro dovesse arrivare a Parma, pronto a riportare la petite capitale ai mai dimenticati fasti della corte di Maria Luigia. Per qualche tempo la cosa sembrò anche funzionare e, agli occhi di un’adolescente che – come tanti suoi coetanei – viveva il mito della luccicante Milano, la costruzione di nuovi centri commerciali, le concessioni edilizie che portarono al fiorire di nuovi “futuristici” progetti architettonici (come il ponte De Gasperi: una struttura in acciaio e cemento, costruita in curva sopra un torrente secco quasi tutto l’anno), gli investimenti legati alla promozione turistica rappresentavano davvero “la rinascita” urbana.

Nella stagione 1998/99 il Parma vince la Coppa Uefa: grandi festeggiamenti, senso diffuso di fiducia, di crescita. Il futuro “è adesso” per la città. Si incomincia a parlare di spostare lo stadio, di ampliarlo portandolo al livello di una grande squadra e dei grandi nomi che animano le domeniche dei parmigiani. Sulle maglie giallo-blu lo sponsor della formazione, la Parmalat, altra “gloria” cittadina. Il nome più illustre dell’imprenditoria parmense a fianco della Barilla. Ma già in quegli anni – nei bar del centro storico e fra i “vecchi” di piazza Garibaldi (cuore pulsante dell’opinione pubblica cittadina) – circolano voci sullo stato di salute del colosso alimentare. Si parla di scatole cinesi, di investimenti a rischio, di titoli “tossici”. Callisto Tanzi, patron di Parmalat, mecenate benemerito per la città (tanto da essere stato insignito nel 1988 il prestigioso premio Sant’Ilario) contribuisce con ingenti somme di denaro al restauro del Battistero, delle navate del Duomo e degli affreschi del Parmigianino della chiesa della Steccata. Stimato e apprezzato in città, vero e proprio modello d’imprenditoria illuminata. Fino al 2003 quando scoppia il “caso Parmalat” e la città, insieme all’intero mondo della finanza, si accorge della polvere sotto il tappeto.  Ma si tratta di “un caso”. Parma continua a progettare il suo luminoso domani fra teatrali prime del Teatro Regio, spettacolari restauri (come quello del giardino Ducale terminato nel 2001) ed inaugurazioni di nuovi centri servizi (come i nuovo Direzionale unico comunale, per i parmigiani “il Duc”, 2002).

 

Nel 2007 Elvio Ubaldi “benedice” la candidatura di Pietro Vignali, ex assessore all’ambiente e suo rampollo, a sindaco della città. La campagna elettorale è all’insegna dell’ottimismo e della freschezza. Vengono organizzati happy hour e circolano gadget dedicati ai più giovani in cui il candidato viene presentato come “un simpa”.

600 mila euro di campagna elettorale che il giovane aspirante sindaco fa pagare, letteralmente, ai parmigiani attraverso trasferimenti dalle casse comunali e delle partecipate al budget per la comunicazione e promozione. Vince: i parmigiani continuano a immaginare una città ricca e prospera e il neo-sindaco tappezza la facciata del teatro Regio di rose gialle per l’inaugurazione della stagione. Fiori a teatro, fiori nelle rotonde, addobbi floreali sui ponti e nelle vasche del centro storico. Ma non si tratta dei soli fiori “problematici” per Parma. Nel 2008 il tribunale dichiara il fallimento della celebre margherita di Guru, del giovane rampante imprenditore Matteo Cambi. Un altro crack che lascia la città più perplessa che scossa, ma la crisi, quella vera, inizia a farsi sentire davvero. Incominciano a chiudere i negozi, si riduce il numero dei rinnovi delle quote nei celebri circoli privati della provincia. Il teatro Regio propone allestimenti meno sfarzosi e circolano sempre meno nomi illustri sul palcoscenico. Chiudono i cinema, chiudono locali storici. La geografia economica del centro si modifica rapidamente e in modo consistente: gli spazi lasciati liberi dalla chiusura dei negozi di lusso delle vie del passeggio vengono occupati dalle grandi catene di abbigliamento e cosmesi. Parma si profuma, ma chiude la storica libreria Battei, proprietà dell’omonima casa editrice locale. Sparisce il mercato permanente di piazza Ghiaia, letteralmente inghiottito da una struttura in ferro e vetro che doveva rilanciarlo in una versione aggiornata e che invece lo ha lentamente ucciso privando la piazza della sua identità, un’identità che la città sembra aver smarrito, lo sguardo offuscato da sempre nuove infrastrutture e sempre nuovi investimenti, reali (il ponte Nord) o solo immaginati (la metropolitana).

E adesso? Adesso la città affronta anche la crisi della sua squadra, ultimo atto di quello che sembra essere un inesorabile percorso di declino segnato da un debito che, a dispetto della politica di austerity della giunta 5 stelle, si aggira ancora intorno ai 600/700 milioni di euro. Parma però è una città strana: di fronte alla crisi non smette di sognare e quando non ha i mezzi per essere all’altezza dei suoi sogni si arrangia come può e costruisce un’alternativa. Non si deve infatti dimenticare che uno dei gioielli della città, il teatro Farnese, venne costruito – in legno e stucco – nel 1618, di gran fretta, per volontà di Ranuccio I, desideroso di non sfigurare in occasione del passaggio del granduca di Toscana Cosimo II. Non c’era tempo, né sufficiente denaro per edificare un teatro in marmo, ma Parma doveva essere all’altezza dell’appuntamento e ora la città conserva, come ricordo di questo sogno di grandezza, una delle opere più interessanti dell’architettura teatrale italiana. Non tutti i sogni svaniscono in crack. Parma forse si trova ad un bivio: continuare ad inseguire sogni che non le appartengono o cercare di ricostruire un’identità che, ormai da anni, sembra esserle sfuggita di mano e aver trasformato il sogno in un incubo.

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