Calcio
De Rossi, la storia sbagliata della faccia buia di Roma
Daniele De Rossi è un paradosso vivente, che sta a rivelarci come sia possibile affrontare i patemi della vita anche per un valoroso, piacente e ricco protagonista del pallone. Nato nel luglio del 1983, cresciuto a Ostia, figlio di un ex calciatore di Serie C e allenatore delle giovanili della Roma, Daniele ha sempre forgiato il suo cammino da predestinato nel segno della passione. La passione che mette per la sua Roma in campo è talmente impetuosa da prevaricare a volte la sua lucidità: «l’unico mio rimpianto –scrisse nella sua autobiografia – è quello di poter donare alla Roma una sola carriera», laddove per carriera s’intende proprio un cammino spirituale nei meandri del romanismo e della romanità, che fa di questo ragazzo il Capitan Futuro, o meglio quel capitano da sempre pronto a impugnare con orgoglio l’alternativa oscura del “Pupone” Totti.
Figlio della terra e non Dio sceso dal cielo, Daniele De Rossi è sempre stato legato visceralmente a un universo di strada che solitamente i suoi colleghi preferiscono evitare: la sua ancestrale natura pulsa come la sua giugulare che si gonfia ad ogni rete, si accende come quel volto paonazzo che sembra esplodere ad ogni marcatura con lo stesso impeto, che il gol lo segni lui, Totti, Gervinho o chiunque si trovi in quel momento ad indossare quella maglia sul rettangolo di gioco.
L’amore di De Rossi verso Roma squadra e Roma città è una forma d’amore irta di spine, non è certo di una forma celestiale come quella di Totti. Non ha piedistalli, non ha tanti sorrisi, ha il sapore della terra e il colore del sangue, è questione di personalità . L’ombrosità di De Rossi è evidente, come è evidente che la sua vita abbia rispecchiato tutte le caratteristiche che questa indole comporta. Chi lo vede a Trigoria parla di un De Rossi “che sta sotto a un Tir”-come tutti i giornali han fedelmente riportato- dopo l’espulsione nell’ultimo incontro col Sassuolo, ma soprattutto dopo la sua comparsa nell’inchiesta “Mafia Capitale” in cui ci sono anche alcune sue telefonate con uno dei maggiori imputati, il boss Giovanni De Carlo detto ‘Giovannone’.
Per carità, il ragazzo ha la pelle dura. Dopo il matrimonio –poi naufragato- con Tamara Pisnoli, Daniele è entrato in un vortice malsano che in pochi anni ha fortemente minato la sua serenità, e nonostante ora il rapporto sia formalmente archiviato non cessano certo i guai per chi come lui ha deciso di toccare certi ambienti. Nonostante quel matrimonio sia stato a detta stessa del calciatore “un errore”, gli strascichi di questa evoluzione troppo pericolosa non smettono di tormentare la vita di un ragazzo forse troppo atipico per fare il calciatore del 2000.
Scrive Federica Angeli su Repubblica Roma dello scorso 2 dicembre: «Le parole del gip sono chiare e nitide. Tamara Pisnoli, già figlia d’arte (il padre ex rapinatore fu ucciso nel 2008 con un colpo di fucile sparato in bocca nelle campagne di Aprilia) “ha una significativa tendenza all’uso della violenza”. Quel volto angelico che tutti ricordano in un candido abito nuziale – continua la giornalista –all’altare col campione giallorosso Daniele de Rossi “deve ritenersi una persona di indole violenta, con un’abitudine a rapporti improntati alla sopraffazione e all’intimidazione, che gestisce la sua enorme ricchezza appoggiandosi ad ambienti criminali”. Insomma “un soggetto vendicativo che ha l’abitudine a farsi giustizia da sé, ricorrendo alla violenza”. In quell’ordinanza la figura della ex Lady De Rossi appare come “capricciosa” le cui richieste – di violenze e ritorsioni – vengono appoggiate dal gruppo criminale di cui si avvaleva per ottenere ciò che voleva».
La Angeli continua raccontando che «si era intestardita con l’imprenditore A.I.» perché, come ha scritto il gip, «Lei era il capo e gli altri assecondavano i suoi capricci, ottemperando ai suoi ordini». Come quando si attuò appunto il piano: «E fu così che decise il sequestro, per mettere un po’ di paura al tipo e far capire con chi aveva a che fare, laddove la vittima ancora non lo avesse capito. A casa sua, in un lussuoso appartamento al Torrino, venne tenuto sequestrato il 17 luglio del 2013 un paio d’ore, seviziato con un coltello e minacciato di morte».
Tamara Pisnoli conosce De Rossi mentre è nel corpo di ballo della trasmissione tv ‘Sarabanda‘, ma le sue più autentiche evoluzioni si possono notare soprattutto in altri ambiti. A questo ci aggiungiamo quelle intercettazioni in cui De Rossi viene chiamato “amico mio” dal boss De Carlo. Non paghi, ci aggiungiamo anche la situazione della piccola Gaia, figlia di De Rossi e della Pisnoli – alla quale il giudice in sede di separazione diede l’affidamento della figlia: la miscela produce un cocktail quasi imbevibile, anche per un guerriero forgiato da mille battaglie e spinto da mille ambizioni.
Il matrimonio durò dal 2006 al 2009, e quella separazione costò a De Rossi una situazione non facile. Una parte della tifoseria romanista non lo ama, le opinioni a volte si spaccano, uomo simbolo per molti ma troppo anti-personaggio per altri, pagò il non facile rapporto con Zeman: «De Rossi non è integrato nella Roma», arrivò a dire il Maestro boemo. Scrive Jacopo Granzotto nell’ottobre 2012 su il Giornale.it: «Perché il tifoso ha deciso che a Daniele non gliene frega più niente di stare nella Roma e si sta mettendo contro la squadra, Totti compreso. E non è bello. Strano destino quello di Capitan Futuro, il più grosso investimento della Roma dai tempi di Totti, probabilmente più forte dello stesso pupone, solo meno furbo. E così da una settimana l’orticello di Trigoria è diventato grande come un campo da golf. All’improvviso i tifosi lo vorrebbero con la valigia pronta».
Strano e inspiegabile strappo -poi infatti mai rivelatosi tale- per uno come De Rossi che due anni prima, nel 2010, in un’intervista del dopogara di un Milan-Roma prenatalizio in cui si parlava della situazione non brillante del compagno di squadra Doni, da vicecapitano parlò del portiere brasiliano come «vittima delle follie di questa città» che «ha pagato qualche pappone che andava in giro per le radio a fargli terra bruciata intorno e a parlare male di lui», appartenente a quelli che poi sono «gli stessi papponi che entrano a Trigoria e fanno i padroni».
Il riferimento è a Mario Corsi, detto ‘Marione’, ex appartenente ai Nuclei Armati Rivoluzionari e col tempo diventato voce tra le più autorevoli nel variegato universo delle radio romane. Personaggio controverso con alle spalle delle poco limpide vicende giudiziarie in pieni anni di piombo, indagato e poi rilasciato per i fatti di Bologna, assolto in Cassazione per l’omicidio Zilli, Corsi è stato dapprima accusato (con Carminati) dell’omicidio di Fausto e Iaio avvenuto a Milano nel marzo del 1978 e poi assolto per insufficienza di prove. Nei primi anni Novanta riesce a farsi largo nel mondo radiotelevisivo sportivo grazie ad alcune amicizie in dirigenza – vedi Ciarrapico, che lo invita a intervenire in diverse trasmissioni come esponente della curva sud. Ora è il conduttore della trasmissione “Te la do io Tokyo” su Centro Suono Sport, e da tempo girano voci su vari attriti tra lui e De Rossi rinvigoriti da quell’alone tra realtà e mito che spesso circonda l’italica maniera. Raccontano ad esempio che l’appellativo “Capitan Ceres” per alludere ai vizi del centrocampista giallorosso fu coniato proprio da Corsi col tentativo di ridimensionare la popolarità di De Rossi, come si dice che fu lo stesso Corsi ad alludere ad una presunta spedizione punitiva ordinata dalla Pisnoli per sfregiare al volto il calciatore, che da allora –così malignano le voci di strada- usa portare la barba per coprire il ricordo dell’evento.
Al di là di queste suggestive indiscrezioni interne tra verità e leggenda, scendendo sulla Terra o meglio nel “Mondo di Mezzo” l’intercettazione che ha coinvolto Capitan Futuro è qualcosa di non troppo compromettente. Alle 3 di notte del 30 settembre 2013 De Rossi, in compagnia dell’allora romanista Mehdi Benatia, contatta De Carlo –identificato nell’inchiesta come uno dei referenti di Cosa Nostra nella Capitale- in seguito a un alterco avuto con alcuni individui nel locale: «chiamai De Carlo solo perché era in quel locale e conosceva il tipo con cui avevo litigato» ha spiegato poi il giocatore intervistato alla radio.
Tuttavia se le posizioni di molti personaggi comparsi nell’inchiesta sono facilmente gestibili, diversa è la posizione di De Rossi che potrebbe avere problemi connaturati all’inchiesta parallela –chissà quanto- sulla ex moglie, su cui tra l’altro si parla a proposito di una vicinanza abbastanza stretta con Giuseppe Casamonica, personaggio di spicco dell’omonimo clan mafioso, tra i più potenti a Roma. Confidando nell’estraneità di De Rossi, la sua è comunque una posizione non troppo comoda.
Ora non sta a noi appurare se queste siano storie vere o leggende, come non sta a noi appurare se effettivamente esista, come dicono alcuni, una strana sinergia tra l’ex moglie e una parte del tifo romanista atta a minare l’immagine di De Rossi. Non sta a noi neanche verificare l’attendibilità e il peso di intercettazioni e di legami pericolosi tra il centrocampista e il cosiddetto “Mondo di Mezzo”.
Quel che un appassionato di pallone può intuire è che Daniele De Rossi, ragazzo tutto cuore dal sorriso poco generoso, supposte simpatie di destra, ha le spalle sufficientemente larghe e la tigna necessaria per affrontare anche questa ondata.
Perché se è vero che dando uno sguardo da non romano per questa città Totti è il Sole, a De Rossi spetta di diritto tutto quel che può rappresentare la romanità lunare, quella un po’ più cupa, cinica, amara e burbera. De Rossi è la zona d’ombra di Totti, e insieme dipingono un quadro abbastanza netto di una realtà –quella romana- complessa e molto emotiva, in cui facilmente si cade e con forza ci si rialza, in cui gli amici non sempre sono amici e i brillanti non sempre sono di valore, in cui la vita scorre e facilmente ti trascina fuori dagli schemi fluttuando tra la vetta più alta e il fondo più putrido, tra la gloria e la polvere, tra una reazione rabbiosa che ti costa un’espulsione nel derby, e un rigore buttato all’incrocio in una finale mondiale.
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