Calcio

Totti la bandiera e Donnarumma il mercenario: una storia italiana

16 Giugno 2017

Antefatto: sei un predestinato. Chiunque ti ha visto giocare è certo che sia solo questione di tempo: un giorno diventerai un campione.

Una carriera, anche la più luminosa, può svilupparsi in molti modi diversi. Proviamo ad immaginare due scenari alternativi.

Primo scenario. Per una carriera intera scegli la strada più romantica ma anche più comoda, scegli di non rischiare più e, alla lunga, smetti di metterti alla prova. Ti accontenti di quello che hai e dai, invece di domandarti cosa potresti avere e dare altrove. Nel frattempo, ci fai pure un sacco di soldi.

Secondo scenario. Sei solo agli inizi, ma hai già dimostrato di che pasta sei fatto. Potresti crogiolarti nei complimenti e accontentarti degli applausi di chi ti ama, ma scegli la strada più scomoda. E allora rischi, ti metti alla prova, non ti accontenti di quello che hai. L’istinto dei tuoi diciotto anni ti porta a cercare una sfida che ti faccia crescere ancora e sempre di più. Nel frattempo, ci fai pure un sacco di soldi.

Nel primo caso sei Francesco Totti, e in Italia tutti ti celebrano come una bandiera.
Nel secondo, sei Gigio Donnarumma, e tutti ti danno del mercenario.

Francesco Totti è stato un campione immenso, uno dei più forti calciatori italiani di tutti i tempi. La sua scelta di non abbandonare mai la Roma va rispettata. L’amore viscerale di un’intera città non è pienamente comprensibile da chi non l’abbia sperimentato per un paio di decenni sulla propria pelle. Va inquadrato per quello che è: un folle, irrazionale e sconfinato amore.

Ma, limitandoci a parlare di calcio, lo scenario di Totti è sicuramente il primo: una fantastica e lunghissima carriera, tutta giocata in difesa. Una vita calcistica senza immaginarsi mai altrove, con la paura di vedere l’effetto che fa. La stessa paura che un umanissimo Francesco Totti ha confessato il giorno dell’addio al calcio. Con quel genere di umanità che, a noi italiani, fa proprio impazzire.

Limitandoci sempre a parlare di calcio, lo scenario di Donnarumma è il secondo: una carriera all’inizio, ma già giocata in attacco. “Non avere paura, aggredire gli spazi, fare il proprio gioco”, avrebbe detto Arrigo Sacchi. In quel Milan un giorno arrivò un certo Marco Van Basten. Lasciava il suo Ajax, la squadra che l’aveva lanciato e cresciuto, per mettersi in gioco in una delle società più ambiziose e ricche d’Europa, disposta a ricoprirlo d’oro pur di vederlo giocare a San Siro. Due anni più tardi sarebbe diventato il protagonista indiscusso di tutti i successi del grande Milan, vincendo nel frattempo tre Palloni d’Oro. Nessuno ha mai preteso che Marco Van Basten diventasse la bandiera del suo Ajax. Era un campione. I campioni non si accontentano.

Nemmeno Gianluigi Donnarumma s’è accontentato. Ma non dei soldi, come ripetono i tanti che pensano solo a fargli la morale. Uno dei più grandi portieri mai passati da Milanello ha semplicemente scelto di continuare a crescere altrove. Si chiama ambizione, voglia di mettersi alla prova, di superare i propri limiti. Cosa c’è di tanto sbagliato?

La verità è che questo Paese non perdona chi si mette in testa di rischiare. Soprattutto se è giovane. Donnarumma, invece, lo sta facendo. Per questo ha tutta la mia stima.

Parola di milanista.

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