Calcio

La Juventus da oggi ha il record delle finali perse

7 Giugno 2015

Anche se battuta all’Olympiastadion di Berlino dal Barcellona di Messi, Suarez e Neymar, la Juventus, a modo suo, ha vinto o almeno ha ottenuto un nuovo primato. È la squadra che ha perso più finali di Coppa Campioni/Champions League: sei. Bayern Monaco e Benfica sono ferme a cinque. I portoghesi sembrano ancora scontare la maledizione di Béla Guttmann, l’allenatore ungherese che nel 1962, dopo la seconda vittoria consecutiva in Coppa Campioni, sentitosi negare un premio che evidentemente riteneva dovuto, se ne andò dicendo che senza di lui il Benfica non avrebbe più vinto il principale torneo continentale per squadre di club. Fino ad ora i fatti gli hanno dato ragione. E sapete quante finali di Champions/Campioni ha giocato la Juventus? Otto, tante quante i magnifici blaugrana, ora di Luis Enrique, prima di Guardiola e di Cruijff. Niente male per una squadra, secondo molti, grande in Italia e piccola in Europa. Prima di proseguire trovo opportuno precisare che chi scrive è un giornalista innamorato, fin da piccolo, dall’età prescolare, della Juventus.

Vediamole queste finali, a partire da quella di ieri, che ci si può lasciare alle spalle senza troppi dolori o rimpianti. La Juventus ha perso contro il Barcellona forse più forte di sempre, e per di più in uno stato di forma strepitoso. Complimenti a Messi e ai suoi compagni, vittoria meritata, e grazie ai bianconeri. Grazie per aver lottato fino alla fine, per essere rimasti in partita dopo aver preso gol in avvio e per aver messo paura alla squadra catalana, per aver anche rischiato di vincere, mentre i blaugrana sbandavano, in quel quarto d’ora che corre tra il pareggio di Morata e il gol del 2-1 segnato da Suarez.

Che cosa è mancato per vincere? Un Tevez più preciso e grintoso? L’assegnazione di quel rigore su Pogba, poco dopo l’1-1? Un pizzico di freddezza e di pazienza, una volta raggiunto il pareggio, quando i ragazzi di Allegri hanno pensato di potercela fare e, forse presi dall’entusiasmo, hanno scoperto il fianco al contropiede? Può darsi che in tutte queste ipotesi ci sia un po’ di verità, a patto di ammettere che il Barcellona oggi è più forte della Juventus. Poi, certo, il calcio non è una scienza esatta e in campo pesano tante cose. Alcune di queste si possono comprendere in grandi categorie nominabili, in via empirica, più o meno così: emozioni, episodi e rimpalli. E, trascurando per brevità la Coppa delle Coppe e la Uefa, andiamo alle altre finali di Campioni/Champions. La prima è del 1973, persa contro l’Ajax di Johan Cruijff. Gol di Rep al 4° minuto e partita con poca storia. Per la Juve si ricordano alcune puntate verso la porta olandese di un Altafini ormai a fine carriera.

Arriviamo al 1983, la Juventus perde da super-favorita ad Atene contro l’Amburgo. Gol di Felix Magath all’8°. Non è vero che l’Amburgo fosse una squadraccia, come molti ebbero a dire, ma è vero che aveva di fronte una Juventus talentuosa forse come nessun’altra mai: Platini, Boniek, Rossi, Bettega, Scirea, Cabrini, Tardelli… Ma quella sera gli uomini guidati da Giovanni Trapattoni, impauriti, come bloccati dentro un incantesimo, non riuscirono a giocare come sapevano.

Nel 1985 è la volta della notte, tragica, dell’Heysel. Prima della partita, partita da non giocare e giocata, si disse, per evitare danni maggiori, muoiono 39 persone per la follia degli hooligans e la disorganizzazione delle forze dell’ordine belghe. Finisce 1-0 per la Juventus: rigore inesistente per un atterramento di Boniek avvenuto fuori area e gol di Platini. E quel giro di campo con la coppa, pare richiesto dall’Uefa, quei festeggiamenti, assurdi, da dimenticare.

Quindi, ci sono le quattro finali di Champions League, giocate tra il 1996 e il 2003, dalla Juventus di Marcello Lippi. Una sola vinta, la prima contro l’Ajax a Roma. Ai rigori, ma con una prevalenza bianconera piuttosto netta nel corso della partita. Quella di Lippi, pur raccogliendo meno di quanto avrebbe potuto, fu una Juventus spesso capace di dominare i suoi avversari europei. “Nella mia carriera non ho mai trovato un avversario così superiore a noi. Non ho mai visto una squadra così forte”, dichiarò il 10 aprile del 1997 Luis Van Gaal, allenatore dell’Ajax, battuto in semifinale.
La finale del 1997, a Monaco di Baviera, è contro un ottimo Borussia Dortmund, dove giocavano tre ex bianconeri: Paulo Sousa, Moeller e Kohler. La Juventus, che in attacco schiera Zidane, Boksic e Vieri, anche qui è più che favorita nei pronostici. Alessandro Del Piero, reduce da un infortunio, è in panchina. Succedono molte cose, succede di tutto, e il destino europeo avverso di Madama tocca il suo vertice. La Juventus parte forte, schiaccia i tedeschi nella loro area. Nei primi minuti il bianconero Jugovic viene affossato in area, per l’arbitro Puhl non è fallo. Tra il 29° e il 34° il Borussia passa due volte con Riedle, grazie anche alle amnesie difensive dei torinesi. Quindi, un palo di Zidane – “Un segno del destino” per l’Avvocato Gianni Agnelli –, un gol annullato a Christian Vieri, per un fallo di mano chiaramente involontario, e una traversa, anche questa colpita dal centravanti juventino.

E nel secondo tempo, al 64°, un gol favoloso di Alex Del Piero, subentrato a Porrini, uno dei suoi più belli, un colpo di tacco in movimento. Quasi un fulmine celeste a suggerire un nuovo e più felice corso degli eventi. E ci sarebbe, oltre a un altro rigore non fischiato, questo su Del Piero, ancora tempo per pareggiare la partita. Ma la Juventus sembra non saperlo, sembra essere capace soltanto di riversarsi con foga, con rabbia nella metà campo avversaria, come in cerca di una superiorità perduta. Così, al 71°, la Juve sbilanciatissima e Peruzzi fuori dai pali, il Borussia passa ancora con un pallonetto di Ricken: 3-1 e partita chiusa.

Le altre due finali Champions perse da Lippi e i suoi sono quella del 1998, ad Amsterdam contro il Real Madrid, partita con pochi acuti, e gol in fuorigioco di Predrag Mijatovic, e quella del 2003, a Manchester, ai rigori contro il Milan di Carlo Ancelotti. Anche in questo caso la Juventus, fresca vincitrice dello scudetto, viene battuta da favorita. I tifosi juventini amano ricordare che la loro squadra giocò senza Pavel Nedved, squalificato e in quel periodo uno dei migliori giocatori d’Europa, se non il migliore, e che a metà del secondo tempo Edgar Davids, recuperatore di palloni straordinario, uscì dal campo infortunato. Ma questo, ovviamente, non toglie nulla alla vittoria del Milan nel quale, tra gli altri, giocavano Pirlo, Seedorf, Shevchenko, Inzaghi, Rui Costa, Nesta e Maldini.

E basta così, non pensiamo più al passato. Guardiamo al futuro, alle prossime finali, e se possibile alle vittorie che verranno. Considerando che la finale di Berlino è stata più che meritata, ma anche facilitata da un corso degli eventi, e dei sorteggi, abbastanza favorevole. E che probabilmente, al di là dei disegni imprevedibili e misteriosi che guidano le vicende degli uomini, per vincere la terza Champions della sua storia ultracentenaria alla Juventus manca ancora qualcosa. Che cosa? Mantenendo difesa e centrocampo ai livelli attuali, e in porta Buffon o uno bravo come lui, ci vorrebbe qualcosa in più sulle fasce o, se si preferisce, sulle ali, e un attacco appena più potente. Molto bravo all’Olympiastadion Morata, capace di finalizzare, di accelerare, di fare benissimo tutto quello che ci si aspetta da lui. Meno brillante del solito Tevez. E ancora converrebbe trovare in fretta un erede di Pirlo, un giocatore simile a lui, oppure uno in grado di essere altrettanto importante, pur con talenti diversi dai suoi. O forse quello di cui ha bisogno la Juventus è un avversario soltanto un po’ meno mostruoso e in forma del Barcellona di ieri.

E poi vada come può. Vincendo, la Juventus aggiungerà nuovi trofei ai tanti che già ha. Perdendo, potrà consolidare il suo record di finali perse. E perdendo, mi si conceda un po’ di veleno in questa chiusa, perderà, quasi a conferma del suo amore per l’eccesso, della sua grandezza, due volte. Una sul campo, e l’altra per i molti che dalle sue sconfitte, per fortuna addolcite da qualche vittoria qua e là, ricavano motivo di gioia, di godimento. O forse no, forse anche qui si attendono novità, cambiamenti, trasformazioni.

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