Legislazione

Renzi “cavalca” i vigili di Roma: non era una riforma da fare con calma?

2 Gennaio 2015

Dispiace insistere. Ma tocca. Leggiamo, commossi, che sull’argomento statali si sveglia di buon mattino (7.10) anche il premier, buttato giù dal letto dallo scempio di Roma, dove otto vigili su dieci la notte di Capodanno sono rimasti sotto le coperte con certificati vari (persino gente che dona il sangue l’ultimo dell’anni, ma che slancio) invece che governare la delicata notte della festa. Matteo Renzi cinguetta la sua indignazione tra gli auguri per il 2015: «Leggo di 83 vigili su 100 a Roma che non lavorano “per malattia”. Ecco perché nel 2015 cambiamo regole pubblico impiego. #Buon2015». Con due ore di ritardo (9.40) sul ritmo mattiniero di Matteo Renzi, arriva con comodo anche il ministro deputato, Marianna Madia, che via Twitter mette in moto “la procedura” amministrativa: «#Roma #vigiliassenti ispettore ministero Funzione Pubblica subito attivato per accertamenti violazioni e sollecito azioni disciplinari».

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Sono anni che questo modesto drappello di ardimentosi cronisti (Tondelli, Gallo, Dilena, Fusco) propugna l’idea semplicemente banale che i dipendenti pubblici abbiano almeno le stesse pene dei lavoratori privati, tra cui campeggerebbe l’angosciosa ipotesi d’essere accompagnati alla porta dal datore di lavoro perché il loro lavoro non soddisfa più (dipendenti pubblici/privati) o perché i conti dell’azienda vanno male (solo dipendenti privati). Assistere ai balbettii dei giorni scorsi, quando macchiettisticamente sia Poletti che Madia da silenti (e consenzienti?) sull’idea base che si potessero licenziare anche lorsignori, per qualche oscuro motivo si sono trasformati in gentili infermieri di fancazzisti vari, ci aveva assai immalinconiti pensando che in un mondo appena decente simili diseguaglianze non potessero più reggere. Lo stesso Renzi per ore e ore si era nascosto dietro una gamba di sedano, fino al momento in cui, a precisa e diretta domanda, si era detto autentico protagonista dello sbianchettamento della norma che avrebbe voluto escludere espressamente gli statali dalla riforma del Jobs Act, aggiungendo però che gli indecenti, i ladri, i lavativi, sarebbero stati licenziati senza pietà anche nel comparto pubblico.

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Qui si fanno le riforme per via emozionale. Se non succede nulla che possa far montare l’indignazione popolare, allora i pesci in barile si moltiplicano, ci si rimette al sovrano Parlamento, si risponde che giace lì, tra gli scranni, la riforma Madia ed è a quella riforma che ci si dovrà riferire per affrontare la spinosissima questione della licenziabilità ed è del tutto pretestuoso, se non inutile e dannoso, pretendere di inserire quelle norme tra quelle del novello Jobs Act.

Poi si sa come sarebbe andata a finire. Tra caste varie, ridicoli sindacati statali, per i quali “le norme ci sono già, basta applicarle”, altri problemi che incombono tra cui quello tragico della mancanza di lavoro, la questione sarebbe finita in cavalleria, impolverata in un cassetto nascosto e da lì non sarebbe più uscita.

Sorprende che Matteo Renzi, che anche è il più rapido a capire la pancia del Paese, certi umori furbi, a precedere di un passo quei soffi popolari carichi di demagogia, stavolta abbia dormito pesantemente, svegliato tutto d’un botto (un bel botto di Capodanno) da una vergogna cittadina come quella di Roma, che sta diventando in queste ore vero e proprio paradigma di un intero Paese. Ma che la sveglia renziana sia in parte strumentale, in parte avveduta, in fondo non importa più, i buoi stanno rapidamente scappando e c’è da chiudere la stalla prima che sia troppo tardi.

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