Bruxelles
Niente illusioni: l’arresto di Salah non è un colpo al terrorismo
Sarebbe bello poter sostenere che l’arresto di Salah Abdeslam rappresenti un “duro colpo all’Isis”, come ha commentato il ministro dell’Interno francese, Bernard Cazeneuve. Perché – superata la fase della soddisfazione iniziale – ci si rende conto che la storia è diversa. La cattura del terrorista è solo uno strumento che ha scongiurato altri possibili attacchi in Belgio o in Francia. Certo, è già tanto. Come è rilevante il primo vero arresto di un “non kamizake”. Ma non è sufficiente a indebolire una struttura complessa, quale è il jihadismo internazionale.
Salah Abdeslam non è un “boss”, come se fosse a capo di un clan mafioso. Le categorie di ragionamento sono profondamente diverse: è ingenuo immaginare l’Isis con una logica prettamente occidentale. Tanto per essere chiari: nemmeno l’eventuale eliminazione dell’autoproclamato Califfo Abu Bakr al-Baghdadi avrebbe effetti dirompenti. Nel caso specifico di Salah, poi, si parla di una figura che sembra avere il ruolo di referente, forse di leader, di una specifica cellula. E nulla lascia pensare che non esistano altre decine di cellule simili, oggi sconosciute, che magari sono al lavoro per pianificare azioni di morte. Del resto, di tanto in tanto – tra la disattenzione generale – vengono raccontate “minacce imminenti” sventate dalle operazioni di polizia.
Peraltro, restando in tema di polizia, il percorso che ha portato alla cattura di Salah ha confermato la debolezza dei reparti in Belgio. C’è stata una sequenza di blitz, spesso falliti, sparatorie, con agenti feriti, prima di arrestare il terrorista. E non passa inosservato che – nonostante la pesante militarizzazione di Bruxelles – il ricercato numero uno dopo il 13 novembre sia riuscito a eludere qualsiasi controllo, restando nel Paese per quattro mesi. Tutto questo, messo su un piano europeo, conferma che è fondamentale una effettiva cooperazione, anche di uomini, per affidare a forze di sicurezza altamente specializzate alcune operazioni, in cui è vietato commettere anche la più piccola delle imprecisioni.
La necessità di collaborazione, infine, affiora sul capitolo-intelligence. La vicenda di Salah ha confermato che le cellule vantano – seppure nella loro fluidità – una rete intricata di “collaboratori”. Attacchi come quelli fatti in Francia non sono realizzati da “quattro pazzi che sparano”. E in questo c’è una parziale consolazione: i lupi solitari del jihadismo internazionale possono fare molta paura, in particolare per la loro imprevedibilità, ma non hanno la forza per compiere stragi paragonabili a quelle di Parigi. Di contro – ed è il fatto più destabilizzante – esistono cellule molto ben organizzate. Che possono continuare a spargere sangue.
L’arresto dell’unico superstite dei killer del 13 novembre è insomma una buona notizia, che può anche aiutare a fare luce su quanto avvenuto in quella tragica sera. Ma non deve alimentare l’illusione – citata da Cazeneuve – del “duro colpo all’Isis”. Perché, il Belgio, la Francia, l’Italia e la Germania non sono Paesi più sicuri dopo la fine della latitanza di Salah Abdeslam.
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