Bruxelles
Grecia-Ue, Varoufakis invita la Svizzera a rivelare i nomi dei correntisti greci
Procede come una telenovela l’epopea della Grecia e del suo spigoloso rapporto con l’Eurogruppo. Nonostante sia suadente un cauto ottimismo confermato parzialmente dalle parole di Angela Merkel («è opportuno trovare un accordo entro la scadenza dei termini» ha dichiarato nelle scorse ore la Cancelliera), l’altalena di umori continua comunque ad accompagnare la trattativa che entro il prossimo 30 giugno dovrebbe vedere Atene risarcire il dovuto al Fondo Monetario.
Mentre i giornali di tutto il continente si affannano a caricare di pathos nero la faccenda, mentre i giornalisti al servizio dell’ignoranza servile confezionano orrori da spedire nei meandri più bassi della deontologia professionale e dell’integrità umana (“La parabola Tsipras dimostra i limiti di chi prova a fare l’anticapitalista col culo degli altri” titola l’erudito editoriale del Foglio, prezzolato quotidiano da 250 mila euro al mese di fondi pubblici), mentre accade tutto questo secondo una logica aziendale da servo-padrone, appare sempre più chiaro come la trattativa sul debito greco sia inquinata da una dose abbondante di malafede.
“Qualcuno non vuole l’accordo”, aveva ammonito Alexis Tsipras qualche giorno fa. Qualcuno. Qualcuno che si nasconde dietro le frasi di circostanza di Dijsselbloem, capace da mesi di ripetere la solita solfa del “abbiamo fatto progressi, ma manca ancora uno sforzo”, solitamente sforzo unilaterale che deve sempre partire da Atene. Non importa che la Grecia a livello di “riforme strutturali” -espressione che a forza di essere ripetuta ossessivamente è stata svuotata di significato, se mai ne avesse avuto uno- si sia applicata più della stessa Germania (leggi qui), non importano le iniziative del governo Syriza nei confronti della grande evasione, non importa lo sforzo diplomatico greco nei confronti di Russia e Cina per dare ossigeno al paese e al continente (o meglio, forse questo conta, leggi qui), non conta neanche un sentimento strisciante di consapevolezza del fallimento di un progetto -quello dell’Euro- che ormai mostra alla luce del sole la gran parte delle sue mostruosità, anche fuori dai confini greci. Non basta. Sembra che non ci sia nulla da fare, sembra che il dialogo non sia un dialogo, ma un tentativo di accontentare i sadici capricci del capo, sempre che ci sia ancora un capo, in questo Regno del Caos.
Mercoledì 24 giugno Yanis Varoufakis ha arricchito questa curiosa vicenda di capricci e colpi bassi. Questa volta l’indice non è diretto a Berlino, né a Bruxelles, né ad altri compagni di viaggio sul binario cieco dell’Eurozona. Questa volta il destinatario del messaggio è la Svizzera: «Qualche volta veniamo a sapere -così il ministro delle Finanze ellenico- che qualcuno ha preso soldi dalla Grecia. Ma noi non sappiamo in quale città o quale banca svizzera si trovano questi soldi. Sappiamo troppo poco per essere in grado di individuare il denaro nero».
Il concetto è piuttosto chiaro: Varoufakis in sostanza dice che la Svizzera non sta facendo molto per aiutare la Grecia a smaltire il disavanzo e a gestire con criterio la riparazione di anni scellerati in cui le casse di Atene furono depredate, da greci e da stranieri, tutti discretamente altolocati (a questo proposito, per ripercorrere il tutto, si può dare un’occhiata qui).
Nel frattempo Atene sta lavorando a un piano dettagliato per contrastare la grande evasione attraverso la possibilità data agli evasori di rivelare spontaneamente la propria somma “sporca”, dando loro la possibilità di reinvestire gli utili nelle casse statali e vedersi ridurre la penale al 22% della somma “prelevata”.
Questo non è certo un progetto facile ad attuarsi, soprattutto perché non è mai facile trovare una via di mezzo che accontenti tutti. Certo è che se la Svizzera fosse trasparente, Atene avrebbe sicuramente il compito agevolato: Varoufakis non ha potuto fare una stima della somma esatta di soldi ellenici sepolti sotto il mantello rossocrociato dicendo che «scavare nei conti delle banche svizzere è come fare archeologia: non puoi mai sapere prima quello che andrai a trovare». Gli esperti nel frattempo hanno avanzato un’ipotesi che si avvicinerebbe alla somma di 80 miliardi di euro. 80 miliardi.
Le autorità svizzere hanno subito provveduto a gettare acqua sul fuoco, promettendo che si impegneranno a fornire «un uso migliore delle leggi esistenti», ossia quelle recentemente cambiate dall’accordo del mese scorso, durante cui si è deciso che la Svizzera sarà obbligata a fornire all’UE i nomi, gli indirizzi, i numeri di identificazione fiscale e le date di nascita dei correntisti. Il segreto bancario svizzero dura dal 1934, e fu usato non più di qualche anno fa proprio dalla Troika per ricattare il governo ellenico, così come emerge dalla famigerata “lista Falciani”. Pare infatti che Sarkozy abbia imposto l’austerity all’allora premier greco Papandreou sotto minaccia di rivelare l’abnome deposito contante presente in Svizzera e intestato alla madre del politico ellenico. Era il 2011. Dovremo invece aspettare il 2018 per l’applicazione formale della legge sulla trasparenza. Per ora, i correntisti e i conti rimangono nella nebbia. E chissà, magari nel 2018 la Grecia non sarà più membro UE, oppure non ci sarà più l’UE. In questi tempi frenetici, si sa, non si possono più fare programmi e piani quinquennali: Europa, Grecia e tutti quanti restiamo appesi a un filo. Un giorno ci sei, e quello dopo non ci sei più.
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