Beni culturali

Il jazz italiano invade L’Aquila

6 Agosto 2015

Piacerebbe probabilmente a Charles Ives, suggestionato com’era dalla compresenza di più fonti musicali che si incrociano nello spazio,  l’idea di 100 concerti che si svolgono nell’arco di 12 ore, riempiendo una città di musica.

Succederà a L’Aquila, domenica 6 settembre, quando il centro storico della città in ricostruzione sarà letteralmente invaso dal jazz italiano, un’idea che il Mibact ha fortemente appoggiato, insieme al sindaco dell’Aquila Cialente e a Paolo Fresu, che ne firma la direzione artistica, nonché con il sostegno della Siae e di Puglia Sounds.

Oltre 600 i musicisti coinvolti in una ventina di differenti postazioni collocate lungo un percorso che segna anche i cantieri della città distrutta dal terribile terremoto del 2009 e che con grande fatica sta cercando di tornare a vivere.

Un centinaio di concerti che dalle 12 a mezzanotte faranno di questa iniziativa uno dei, se non il momento più importante che il jazz abbia espresso in Italia, un evento che ha ottenuto l’adesione di un numero davvero impressionanti di musicisti famosi e meno famosi che animano il nostro jazz.

Piccoli gruppi, big band, scuole e conservatori, vecchie glorie e nuovi talenti, da Enrico Rava a Antonello Salis, passando per Danilo Rea, Enrico Pieranunzi, Franco D’Andrea, Gianluigi Trovesi, Gianluca Petrella, Roberto Gatto, Rita Marcotulli, Stefano Battaglia, Tiziana Ghiglioni, Ada Montellanico, Enrico Zanisi, Giancarlo Schiaffini, Francesco Diodati e tanti tanti altri.

Fin qui (e anche oltre, va citata ad esempio la “Partita nel Cuore” che si svolgerà pomeriggio prima allo Stadio Fattori e che vedrà scendere in campo la Nazionale Italiana Jazzisti, la Nazionale Italiana Cabarettisti e la Rappresentativa Città di L’Aquila) i numeri e la notizia.

In attesa di vivere questa giornata, qualche annotazione non sarà inutile per capire cosa può rappresentare davvero questa importante iniziativa, oltre a un evento di certo impatto mediatico (la Rai ha annunciato che seguirà ampiamente la giornata e Trenitalia sta attrezzando collegamenti) e di dichiarata solidarietà.

Non è passato nemmeno un lustro (e l’Aquila era già crollata da un paio) da quando all’allora Ministro Ornaghi venivano attribuite affermazioni come «il jazz non è espressione diretta della cultura italiana».

Affermazioni poi smentite, ma la sostanza dell’attenzione ministeriale non era poi troppo difforme da un comunque mancato riconoscimento del ruolo di questa musica – e dei suoi protagonisti, artisti, festival, etc – nel panorama culturale e economico del nostro paese.

Da allora di acqua sotto i ponti ne è passata. In particolare con l’attenzione del ministro Franceschini a una serie di istanze che gli sono state sottoposte (erano già state sollecitate al suo predecessore Bray con una famosa lettera) e che stanno trovano una risposta sia nell’attribuzione dei soldi (non tanti i soldi, non chiarissimo il bando, ma intanto c’è) con un bando apposito di cui abbiamo già scritto, sia nelle attese attribuzioni del FUS, sia in iniziative come questa de L’Aquila.

Il quadro è ancora lontano dalla perfezione, ma va comunque registrata oggi una consapevolezza assai differente da una parte importante del mondo del jazz italiano di quelle che sono le potenzialità e le opportunità di una strategia di programmazione che cerchi di collocarsi su livelli di senso europeo.

Con un brutto gioco di parole si potrebbe dire che, prima di tutto, una parte del jazz italiano pare avere capito che “per contare bisogna contarsi”. Ecco quindi l’importante lavoro che sta facendo l’Associazione I-Jazz (che raccoglie alcuni tra i principali festival e progetti di jazz italiani), la caparbia lotta che l’Associazione Musicisti Italiani di Jazz (Midj) e la sua presidentessa Ada Montellanico stanno conducendo per rompere il muro di pesante diffidenza che separa molti artisti da organismi associativi di questo tipo.

Ed ecco L’Aquila. Iniziativa forse “portatrice sana” di un vorace quanto sincero gigantismo, iniziativa che certo non può rappresentare tutti (nei social network assetati di polemiche agostane non mancano infatti già ironie e critiche), ma che – lo ha ricordato anche lo stesso Fresu durante la conferenza stampa – «non ha il solo significato di sensibilizzare sui tempi della ricostruzione, ma anche quello di contribuire alla cicatrizzazione del tessuto sociale e architettonico della città, oltre che rappresentare la vitale e creativa realtà del jazz italiano».

Ecco perché, tra pianisti in solitaria, piccoli organici da camera, quartetti e quintetti, orchestre, progetti rivolti all’infanzia, trovano spazio – oltre ai musicisti più famosi – anche artisti legati a collettivi indipendenti, rappresentanze regionali del Midj, progetti sostenuti dai singoli festival, brass bands e molto altro.

Un’occasione per conoscersi, ri/conoscersi (al di là delle sacrosante differenze di linguaggio e anche di idea stessa sulla musica), incrociarsi – pur nell’immaginiamo frenetico incastro dei rapidi sound-check e dei concerti – e per iniziare a condividere le tante potenzialità di un settore che ha scontato negli anni scorsi troppi ritardi e storture.

Su molti aspetti si deve ancora intervenire, ma questa rimane comunque una vera occasione. Secondo me da non sottovalutare e certamente da non lasciare isolata.

 

 

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