Per un premier che vuole dimostrare all’Europa la spinta riformatrice, la riforma del sistema di governo delle popolari – una riforma che si attende da vent’anni – è occasione ghiotta. La prova è essenziale ad ottenere la flessibilità che gli serve sul bilancio, ed anche di aiuto per tutto un sistema bancario che si mette in coda per accedere ai rubinetti straordinari della Bce. La concertazione non funzionerebbe, quindi serviva un blitz. Poi al massimo si negozia e le cose si aggiustano. È quindi impossibile tornare indietro. La riforma dovrà essere fatta. Altra cosa funziona, o ha effetti imprevisti e deleteri, contrari all’obiettivo che si propone?
Con il provvedimento approvato oggi in Consiglio dei ministri (“Disposizioni urgenti per il sistema bancario e gli investimenti”), viene imposto alle banche popolari con attivi superiori a 8 miliardi di euro la trasformazione in società per azioni. Banche come Popolare di Milano, Ubi, Banco Popolare, Bper, Popolare di Vicenza, Veneto Banca, Credito Valtellinese, Popolare di Sondrio e Popolare di Bari passeranno quindi da un sistema dove si vota per teste a un sistema in cui si vota per numero di azioni possedute. Hanno 18 mesi di tempo per provvedere, o a scadenza la trasformazione avverrà per legge.
A cosa servono i 18 mesi? In teoria a preparare il terreno, a favorire le aggregazioni, dando comunque il tempo alle banche di organizzarsi. Senza questa riforma, viene detto, i banchieri resterebbero arroccati sulle loro posizioni e alle loro poltrone. Il sistema bancario non si scuoterà e così non arriverà il necessario supporto alle imprese, alle famiglie ed alla crescita. Il presidente del Consiglio dice di aver passato la giornata a litigare con i “banchieri democristiani”.
Resta da capire se questa riforma genererà i benefici promessi per famiglie e imprese oppure solo per gli speculatori di Borsa e gli hedge fund. Vediamo cosa dovrebbe accadere nelle intenzioni di chi propone la riforma. È un fatto che, venendo meno il voto capitario, dopo 18 mesi le banche popolari interessate potranno essere facile preda, come finora non è stato, visto che le scalate potevano essere facilmente bloccate in assemblea. Un secondo dopo la trasformazione, impedire la scalata di banche appetibili come la BPM o Ubi o la Popolare di Sondrio o la Bper sarà arduo. Forse al Governo, e forse anche alla Vigilanza bancaria (Roma o Francoforte) qualcuno pensa che questo favorirà operazioni di concentrazione, magari coinvolgendo banche bisognose di salvataggio. Già circolano le ipotesi di Montepaschi-Ubi, Bpm-Carige… e magari qualcuno si comprerà la Popolare dell’Etruria per cui qualche membro del Governo ha già fatto qualche sondaggio. Tanto per capire l’aria che tira, in due giorni Montepaschi ha guadagnato più del 6 per cento. Anche in assenza delle concentrazioni, comunque, le banche popolari interessate dalla riforma dovrebbero costituire un nocciolo duro formato da investitori attenti alla buona gestione. Questo permetterebbe di attrarre capitali da parte degli investitori istituzionali, di allineare gli interessi di chi mette i soldi con una corretta gestione societaria. Potranno essere mandati a casa i manager che non producono risultati e che oggi si puntellano in assemblea grazie ai voti di dipendenti, clienti (debitori e fornitori), pensionati che poco rischiano perché poco pesano in termini di capitale. Questo è il paradiso promesso della riforma. Funzionerà così?
È improbabile che questo possa accadere per le Popolari quotate. Oggi i prezzi sono depressi, le banche quotano a multipli frazionali rispetto al patrimonio netto. Gli hedge fund e gli speculatori in genere avranno gioco facile a rastrellare le azioni delle Popolari, acquisendo anche la maggioranza del capitale. Sanno che dopo 18 mesi chiunque potrà lanciare un’Offerta pubblica di acquisto e prendere il controllo. Basta aspettare e consegnare il controllo al futuro acquirente. E quindi rastrellano a man bassa. Gli azionisti storici saranno felici di vendere, riportiamoci i soldi a casa che servono a pagare le bollette. In breve, i vertici aziendali (attuali o rinnovati) non riusciranno a formare un nocciolo duro sano. Anche se trovassero imprenditori interessati, gli stessi imprenditori potrebbero avere un intento speculativo. E in generale l’intento speculativo prevarrà.
Quindi la normativa promulgata dà l’incentivo sbagliato: spinge a rastrellare azioni da vendere perché dopo 18 mesi nessuno potrà bloccare un take-over, soprattutto se la maggioranza del capitale sarà stata rastrellata da qualcuno che vuole portare a casa il profitto e non gli importa del ruolo che le banche hanno nel sostenere l’economia. Questo favorisce l’accumulo di azioni da parte dei soggetti peggiori, di quelli che poi vogliono vendere, che non si curano dell’Italia, delle aziende, delle famiglie. Le uniche a poter gestire questo cambiamento sono le Popolari non quotate: hanno azioni che quotano già a multipli elevati, titoli illiquidi, difficoltà di comprare le azioni. Impossibile speculare.
Chi ha proposto questa modifica, con queste modalità ha spiegato queste dinamiche al presidente del Consiglio? Oppure Renzi è stato mandato, inconsapevole, avanti come un ariete per fare un regalo agli speculatori? Una volta vendute le banche popolari, chi assicurerà il credito alle imprese ed alle famiglie? Nel momento peggiore della crisi le banche popolari, che pesano per il 25% del sistema bancario, erano pronte a supportare il paese. E l’Italia è un sistema bancocentrico. È anche vero che a tendere il canale bancario perderà di importanza, ma ci vorrà qualche tempo. Se i centri decisionali sono fuori dal paese, quando ce ne sarà bisogno potrà il governo fare moral suasion per supportare l’economia locale? Oppure come nel momento peggiore della crisi le banche estere chiederanno di ridurre l’esposizione in un paese ritenuto più rischioso come l’Italia?
Senza dubbio un provvedimento di questa violenza, che sconvolge un istituto storico dell’economia italiana, peraltro comune e non messo in discussione in molti paesi europei, avrebbe dovuto essere proposto e discusso in Parlamento. Ma come, si è detto, serviva il “blitz” per portarsi avanti. Di sicuro, però, andava evitato che trapelassero notizie prima che il provvedimento fosse ufficialmente approvato, data la natura sensibile della informazioni. E invece è successo che alle battute dello stesso Renzi alla direzione del Pd di venerdì scorso («Ci sono tantissime banche e pochissimo credito, non abbiamo avuto paura di intervenire sul numero di parlamentari, non avremo paura di farlo sul numero dei banchieri»), sono seguite le indiscrezioni sul contenuto di un decreto che ancora non c’era. E lunedì e martedì a Piazza Affari si sono visti aumenti a due cifre per le banche interessate. Un boom che ha fatto felice chi da giorni posizionava sui titoli del comparto, le cui quotazioni hanno cominciato a risalire la china già prima di venerdì. Come tutto questo possa far sì che «la liquidità disponibile si trasformi in credito a famiglie e imprese e favorisca la disponibilità di servizi migliori e prezzi più contenuti», come sostiene Palazzo Chigi, non si capisce. Quello che invece appare evidente sin d’ora è che anziché spingere il sistema delle grandi banche popolari verso una governance più equilibrata con un azionariato stabile, il governo Renzi di fatto le consegna nelle mani degli speculatori. C’è ancora tempo per correggere il tiro.
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Agghiacciante la prospettiva che ad esempio la PopMilano possa essere controllata dagli speculatori, anziché dai dipendenti, che non ci mettono un euro.
Certo, Dilena, io sono mosso dal SUV premio al sindacalista, altro non so. Però mi occupo di banche da quando tu andavi all’asilo.
Mi sembra che siamo tutti d’accordo che le popolari hanno un problema di accountability e così le cose non vanno bene (il management che non gestisce bene deve andare a casa e non essere rinnovato perché controlla le teste in assemblea). Il problema dell’accountability però ce l’hanno anche le SPA (vogliamo parlare di cosa era Banca di Roma?). Mi sembra che entrambi siate d’accordo. E io con voi: più che il SUV vergognoso il manager che pensa di controllare la banca con regalini (suv, promozioni, assunzioni dei figli dei pensionati,…) e che la banca sia sua. “Rispondere ai bisogni dei clienti e degli azionisti? E chi se ne frega.”
Se invece di fare affermazioni apodittiche ci concentriamo sul testo, il problema è che la riforma risolve il problema dell’accountability aprendone un altro di assetti proprietari. La riforma doveva proporre invece un assetto proprietario sostenibile che permettesse anche l’accountability. Non il cambiamento per il cambiamento ma un cambiamento pensato per il miglioramento.
E’ ovvio che se si cambiano le cose in questo modo vengono dubbi sul perché.
Le popolari ci sono anche in altri paesi. Possono essere buone o cattive in funzione delle regole di funzionamento ed ancora di più di come queste regole vengono applicate.