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Mps, per il mistero dei 3 miliardi di Btp arriva il momento della verità

5 Ottobre 2015

Fra pochi giorni i vertici del Monte dei Paschi di Siena dovranno tornare ad occuparsi dell’operazione Alexandria-Nomura, il derivato sintetico da 3 miliardi di euro, stipulato nel 2009 sotto la gestione Mussari-Vigni e chiuso in anticipo lo scorso 23 settembre nell’ambito di una transazione tombale.

Il 12 ottobre, infatti, la banca senese è attesa in udienza preliminare davanti al giudice Livio Antonello Cristofano, insieme con la co-indagata Nomura, oltre ai dirigenti che nel 2009 organizzarono ed eseguirono l’operazione. A carico di questi ultimi, la Procura di Milano ha ipotizzato il reato di aggiotaggio e di falso in bilancio per l’esercizio 2009, mentre ai due istituti viene contestata la responsabilità amministrativa per l’inosservanza degli obblighi di vigilanza.

Nella ricostruzione dei tre pm Giordano Baggio, Stefano Civardi e Mauro Clerici, nel 2009 Nomura effettuò una ristrutturazione, a proprie spese, di un vecchio investimento di Mps (le notes Alexandria Capital del 2005), su cui gravavano perdite implicite per 220 milioni di euro. Quindi, tra Nomura e Mps veniva stipulata una complessa struttura finanziaria basata sull’acquisto di 3,05 miliardi nominali di Btp 2034 da parte della banca senese, che contestualmente li cedeva a Nomura con impegno a riacquistarli a scadenza (nel 2034) – tecnicamente un pronti contro termine (o Repo) di lunga durata –, il tutto corredato da uno swap su tassi e altri elementi. In linea fra l’altro con  Bankitalia, la Bce e la stessa Nomura, la Procura sostiene che la struttura finanziaria sostanzia alla vendita di un derivato sintetico di tipo Credit default swap (CDS) su rischio Italia. Ossia una vendita di «protezione sul rischio di default del debito pubblico italiano», da Mps a Nomura, avvenuta a un prezzo inferiore a quello di mercato, così da compensare la banca d’affari della perdita di cui si era fatta carico. Grazie alla scelta di contabilizzare l’operazione non in modo unitario, ma registrando separatamente le singole componenti, nel complesso sono state occultate perdite per 308 milioni (220 più 88 di commissioni).

La vera natura dell’operazione Alexandria è emersa sotto la gestione dell’amministratore delegato Fabrizio Viola e del presidente Alessandro Profumo (al suo posto c’è ora Massimo Tononi). La banca senese ha però continuato a mantenere la vecchia contabilizzazione dell’operazione, aggiungendo solo una rappresentazione unitaria pro-forma nella nota integrativa. Questa opzione è stata ritenuta valida sulla base delle indicazioni delle autorità di vigilanza, che però trattavano il caso in cui i singoli elementi (i titoli di stato, il Repo, lo swap, etc), fossero realmente esistenti, e non invece il fatto che potessero “materializzarsi” in bilancio le componenti virtuali di un contratto derivato.

La Procura sostiene infatti che i 3,05 miliardi di Btp esistevano solo “fittiziamente” sulla carta, ovvero non erano null’altro che le componenti virtuali del derivato: «Lo scambio con Nomura dei Btp 2034 avveniva solo figurativamente, quale sottostante del CDS, senza determinare un effettivo attivo nel portafoglio titoli di Mps», scrivono i pm nell’avviso di conclusione delle indagini. In una risposta scritta a un azionista all’assemblea del 30 aprile 2014, la banca aveva detto invece che «le componenti dell’operazione sono state singolarmente regolate con Monte Titoli», ribadendo che «non sono intervenuti elementi tali da richiedere un riesame della contabilizzazione».

Oggi il quadro è radicalmente cambiato. Ancora ad aprile, quando era stata formulata la richiesta di rinvio a giudizio, i 3,05 miliardi di Btp erano sui conti di Mps, assorbivano oltre un quarto del patrimonio mentre la Bce premeva per la chiusura dell’esposizione verso Nomura. Dal 23 settembre non è più così, Alexandria è uscita dai bilanci, e la posizione complessiva della banca è migliorata. La questione, in un certo senso, ha perso di attualità e di fatto si restringe solo ai tribunali e alla Consob, l’autorità di vigilanza della Borsa, anche se è evidente che l’accertamento di responsabilità penali potrebbe accendere la miccia di nuove richieste di risarcimento da parte degli azionisti.

A muoversi per prime sono state le difese. Secondo quanto Stati Generali apprende da fonti giudiziarie, gli avvocati avrebbero chiesto e ottenuto un colloquio con i pm.  Si prepara qualche colpo di scena? Al momento, non sono noti i motivi del colloquio, ma mosse simili a ridosso di un’udienza preliminare solitamente sfociano in una richiesta di accesso a riti alternativi , come può essere un patteggiamento o il rito abbreviato.

L’orientamento della Procura è difficile da prevedere. Le accuse sono relative a un vecchio bilancio, ma la modalità con cui è stato chiuso il derivato non solo rafforza la tesi dei pm circa l’inesistenza dei 3 miliardi di Btp, su cui è stata montata tutta l’operazione Alexandria-Nomura, ma apre nuovi interrogativi. L’operazione, infatti, è stata estinta versando in via transattiva 359 milioni a Nomura, con uno sconto di 440 milioni sul valore di mercato concordato fra le parti, mentre Nomura ha consegnato un portafoglio di Btp con scadenze miste del valore di 2,6 miliardi di euro, diverso da quello di partenza.

Un esito di questo genere finisce per aggiungere frecce all’arco degli inquirenti. Se davvero Alexandria è stata «un investimento in Btp in asset swap con scadenza 2034, del valore di Euro 3 miliardi, finanziato con un Long Term Repo di pari durata», come Mps ha ribadito anche di recente, se cioè i Btp esistevano davvero, Siena avrebbe dovuto riaverli indietro, e  rimborsare il finanziamento a Nomura. Invece, i titoli non si sono visti. In conclusione, i 3,05 miliardi di Btp 2034 non c’erano all’inizio di Alexandria (secondo la Procura), non ci sono oggi al momento della chiusura anticipata (secondo le comunicazioni della banca).

Non è stato ancora chiarito da nessuno se siano mai esistiti, eventualmente, nel periodo intermedio (2009-2015). La Procura di Milano ha scelto di concentrarsi sul bilancio 2009; si vedrà in futuro se deciderà di alzare il velo anche sugli esercizi successivi. Al contrario, fino a oggi la Consob non è stata in grado di aggiungere molto, anche se è da quattro anni che indaga su Alexandria. Secondo quanto il presidente della Consob Giuseppe Vegas rivelò in un’intervista al Messaggero, la commissione venne per la prima volta a conoscenza «dell’esistenza di transazioni per un totale di 3 miliardi in titoli di Stato» il 2 agosto 2011, grazie a un esposto anonimo. Tuttavia, nessuno si prese la briga di verificare se a monte ci fosse una transazione effettiva con Nomura, prima che a farlo fosse la Procura, che si è avvalsa del Nucleo valutario della Guardia di Finanza.

Per Vegas è uno smacco non da poco, visto che la Consob non solo ha piena competenza sulla materia ma – unica fra le autorità di vigilanza –  gode anche di poteri investigativi quasi equipollenti a quelli della magistratura. Così il presidente della Consob è stato costretto riavviare «approfondimenti sulle modalità di contabilizzazione» di Alexandria «alla luce delle indagini in corso ad opera della Procura di Milano». Non si può nemmeno dire che l’arrivo del terzo commissario Consob, Anna Genovese, nominata un anno fa dal governo Renzi, abbia impresso un cambio di passo alle indagini. Per provare a risollevare la reputazione dell’istituzione toccherà aspettare la nomina dei due commissari mancanti (su un totale previsto di 5). Un dossier su cui stavolta il ritardo è tutto del governo.

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