Arte

UBER #VERYBELLO E LE NARRATIVE IN CERCA DI SENSO

26 Gennaio 2015

In questi ultimi giorni, all’interno di Ouishare, la rete globale che studia e promuove quel complesso e emergente fenomeno che é l’Economia Collaborativa stiamo discutendo dell’impatto che delle narrazioniskilfully told” – abilmente raccontate – possano avere sull’immaginario pubblico. Specialmente al fine di sdoganare il nuovo. Ma ciò che é nuovo non rappresenta necessariamente progresso.

Come forse potete immaginare, anche dal titolo di questo post, stavamo discutendo di Uber, startup dalla valutazione miliardaria, supportata da Google (Ventures) che ogni giorno regala momenti di riflessione, che ci spingono ad indagare tra le pieghe degli annunci e dei fatti per discernere il valore economico, l’impatto sociale e aggiungo io, la creazione di senso che sta creando.

Durante la conversazione, dalla California, ci facevano notare come Uber faccia un uso scientifico oltreché ponderato e tempestivo delle pubbliche relazioni. Questo impressionante timing penso possa anche essersi accentuato da quando in Agosto, David Plouffe nel 2008 responsabile della campagna alle presidenziali per Barack Obama – è stato chiamato a ricoprire il ruolo di responsabile delle attività di lobby coi regolatori pubblici.

In questo contesto Uber sta cercando di comunicare al mondo intero quanto la sua adozione posso fare bene a individui, imprese, città e stati.

“Uber is committed to establishing new partnerships with Europe’s cities to ensure innovation, harness powerful economic benefits and promote core city functions.”

Personalmente non credo che Uber faccia parte dell’economia collaborativa. Almeno non di quella che immagino io. Ne parlerò in un futuro, separato post, così come dirò la mia sulla c.d. economia collaborativa. Anticipo solo che limitare l’impatto sulle nostre vite di questo tipo di economia in divenire  – che sta scardinando quella classica capitalista – a un mero fattore economico, sarebbe davvero deprimente per noi individui. Vi é anche un ethos, un coacervo di valori quali l’apertura, la collaborazione, l’empowerment sui quali Uber sta miseramente fallendo. Questo punto lo trovate ben argomentato qui.

Uber è una storia di successo economico e questo lo si deve fortemente alla capacità strategica di costruire, nonostante le quotidiane grane svelate dai media, una narrazione che cavalca l’onda emotiva di cambiamento e di empowerment degli individui al di là della necessità della tradizionale intermediazione capitalista nella fornitura di beni e servizi.

Il collegamento, tra questa conversazione e la vicenda #verybello è presto fatto. La debacle di cultura progettuale é palese a tutti. Molti prima di me hanno sviscerato i limiti tecnici – qui e qui – e culturali  – qui e qui.

Da un punto di vista progettuale, si sarebbe dovuto partire dalle risorse a disposizione, a partire dal TDLAB, il laboratorio di turismo digitale che sorprendentemente era stato istituito lo scorso Aprile e che è composto da persone che hanno la mia stima umana e professionale. Oppure il sito italia.it che nonostante la sua travagliata storia e con il dovuto restilying avrebbe potuto assolvere allo scopo di promuovere a livello globale gli eventi culturali italiani nell’anno dell’Expo. 

Ricordo che stiamo parlando del ministro Franceschini, lo stesso che all’affermazione del presidente di Google “Ai giovani italiani manca una formazione digitale” replicò così:
“Ogni Paese ha la sua peculiarità, noi magari abbiamo giovani più competenti in storia medievale.”

Effettivamente le scelte adottate in questo progetto #verybello tradiscono approcci abbastanza medievali. Come dice giustamente qualcuno, non si possono continuamente sventolare le bandiere dell’innovazione, del digitale e delle startup per poi ostinarsi in approcci analogici o fuori tempo massimo. Bastava un bando ben strutturato – al momento non é dato sapere se sia stata questa o meno la forma attraverso la quale é stato dato incarico all’agenzia che ha realizzato il sito. Sarebbe bastato un bando, che chiedeva alla comunità dell’innovazione italiana, alle tanto osannate startup ma non solo a loro, di presentare un progetto ambizioso, con metriche e obiettivi stimolanti e che si integrasse con la narrazione della cultura che il ministero sta veicolando. Beh, visto “il precedente medievale” forse sarebbe stato meglio disegnare una nuova narrativa, digitale, mobile, fresca e moderna.

Quindi il problema é essenzialmente culturale, vi faccio altri due esempi: sito della Casa Bianca, lo scorso Ottobre, Obama propone di aumentare la soglia dei redditi minimi da $7.25 a $10.10 l’ora. La qualità della pagina é intuitivamente alta anche per chi non conosce i concetti di usabilità o di esperienza utente. La pagina é costellata di grafici – e non slide da offerte stracciate del discount sotto casa – e vi è la ricorrente possibilità di condividere sia i grafici che l’intera pagina. L’interattività della pagina é anche data dalla possibilità di lasciare un commento, che potrebbe esser oggetto di un futuro post da parte della Casa Bianca. 

Ora invece guardate il post di Palazzochigi.it, il sito del Governo. E’ burocratico, poco coinvolgente, anonimo e in modalità broadcasting.

Un altro esempio interessante, che mi segnalava Alice Pilia del Cabinet Office é la campagna – promossa dallo stesso Cabinet – GREAT:

The GREAT campaign is a cross-Government initiative designed to deliver trade and tourism benefits to the UK by harnessing the best that Britain has to offer under a single brand and promoting our strengths to the world.

Mi pare un esempio molto calzante perché GREAT é stata pensata per promuovere in tutto il mondo il marchio Great Britain nell’anno dei Giochi Olimpici londinesi, il 2012.
Sono stati organizzati oltre 500 eventi in giro per il mondo e il ritorno sull’investimento é ammontato per oltre 500 milioni di sterline sui mercati che normalmente finanziano con i loro fondi. E per il 2014 si aspettavano dai 600 agli 800 milioni di sterline. Con un budget di 30 milioni annui, questo modello é diventato lo standard per gli altri bracci operativi pubblici (incluso l’istituto di cultura inglese) in 134 mercati mondiali!

Perché é un modello vincente di promozione del brand di una nazione? Perché sono state create delle forti partnership con varie tipologie di stakeholders: in primis con gli altri ministeri e soggetti pubblici, unificandone la prospettiva. Ben l’opposto del nostro approccio che di fatto è rappresentato da venti approcci, uno per ogni regione.

Altro parallelo con l’Expo:

la visione di GREAT é stata quella di utilizzare l’opportunità unica, rappresentata dalle olimpiadi per trasformare la percezione del mondo nei confronti del Regno Unito al fine di farlo apparire come un paese  vivo, stimolante, dove é di casa l’innovazione. Generando crescita e veri nuovi posti di lavoro.

Nel post si dice chiaramente che hanno cercato di evitare che la campagna fosse percepita come l’ennesima che promuove il brand nazionale. A tale fine, hanno creato partnership con i più famosi marchi locali come McLaren, Virgin, British Airways e testimonial popolarissimi all’estero, come Richard Branson, i Beckham e campioni del mondo di Formula 1 come Button e Hamilton.

E poi il focus sulle metriche di valutazione del successo del progetto:

Our challenge is to demonstrate that every pound invested in the campaign is effectively spent and shows real value for the tax payer.

L’articolo é interessantissimo ed é scritto da uno dei coordinatori del progetto. Andrebbe tradotto tutto e appeso nella stanza del ministro e di chi lo sostituirà in futuro. Segnalo infine la risposta dell’autore ad una sollecitazione di ulteriori dettagli sulle matrice di valutazione dell’impatto ottenuto e sul processo istituito per coordinare questa valutazione tra i vari organismi pubblici intervenuti in questo sforzo collettivo.

Qui sulle metriche:

So in addition to those standard communications metrics such as reach, impact, changes in perception and increases in consideration, we are measuring actual tourist and student numbers (and calculating their value to the UK) as well as real inward investment deals that can be directly attributable the GREAT campaign.

e qui invece sul processo utilizzato che pone una forte enfasi sui sistemi di valutazione interni:

So, in terms of process, each delivery partner first conducts its own baseline tracking and campaign evaluation around, tourism, education, inward investment and supporting British businesses overseas using a range of methodologies to fit the nature of their work. These are then scrutinised and challenged by the central GREAT evaluation team, before being finally aggregated for the overall campaign and reported back to HM Treasury. This on-going review and refinement process, which also incorporates scrutiny and feedback from HM Treasury and Cabinet Office evaluation experts, ensures that evaluation is at the heart of all activities across the GREAT campaign and that, every year, we can refine our objectives and targets for the following year. In terms of allocation of the budget, this is carried out centrally (but collegiately), with each delivery partner putting forward its proposed allocations according to target markets, expected return on investment etc and then a decision and final allocation being made by the Senior Responsible Officer and Ministers at the GREAT Programme Board.”

Concludendo, mi pare evidente che ci troviamo oggi più che mai nel bel mezzo di una guerra di narrative. Narrative risultato di singole narrazioni che vogliono convincerci della co-creazione di quel senso che affannosamente noi stiamo cercando. Alcune di queste sono significative per la nostra esistenza, altre invece pretendono di esserlo.

 

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