Storia
Ma Foggia è la città più brutta della Puglia?
L’Italia è la nazione che ha il più alto numero di patrimoni dell’umanità Unesco: siti di eccezionale importanza culturale o naturale che rappresentano un bene prezioso per tutto il genere umano. I 50 italiani – da Su Nuraxi di Barumini alle Ville Palladiane di Vicenza, passando, ovviamente, per Napoli, Roma, Firenze e Venezia – sono solo la punta dell’iceberg delle opere d’arte, castelli, zone archeologiche che affollano il Bel Paese. Non è una esagerazione dire che ogni nostra città o paese ha i suoi piccoli-grandi tesori. Anche Foggia. Certo, i foggiani che conosco qui al nord ne parlano malissimo: sono fuggiti, dicono, da un ambiente chiuso, fermo, dove non accade nulla, dove manca tutto, non solo il lavoro. Qualcuno arriva a dire che è la città più brutta della Puglia. Saranno anche loro vittime del pessimismo ontologico e masochista italiano, molto di moda oggi, secondo il quale le cose vanno male, andranno male, e non c’è nessuna speranza e possibilità che cambino in meglio? Un po’ sì. E l’ho verificato nel Natale scorso che ho appunto passato a Foggia.
Il primo impatto non è stato entusiasmante: palazzine cadenti, proprietà lasciate a marcire, cani randagi che girovagano famelici per le strade. E poi la gente. Da ‘nordica’, mi sarei aspettata persone cordiali, solari, estroverse. Non è andata esattamente così. L’acquisto degli ultimi regali (era il 23 dicembre) e il clima primaverile hanno portato la gente a riversarsi per le strade. Solo che correvano tutti trafelati e abbastanza diffidenti nei confronti dei forestieri. Esattamente come a Milano. Ma le sorprese dovevano ancora arrivare. La vigilia di Natale a Foggia impazza la movida, manco fossimo in primavera sui Navigli o in una sagra di Ferragosto: musica da discoteca per il corso, gente con la birra in mano che ride e scherza per le strade, bancarelle. Mi chiedo che cosa sia cambiato dal giorno prima: perché erano ‘schizzati’ ieri e oggi no? Un primo indizio me lo offre la proprietaria di un bar proprio davanti alla Villa di Foggia. Dice che lei – tanto per cambiare – è disillusa e, dopo aver visto tanto malaffare anche dalla parte politica alla quale si sente vicina (presumibilmente la sinistra), non si fida di nessun partito. Delle persone, sì: “Qualcuno che ama ancora Foggia e vuole vederla vivere c’è e basta poco per rendersene conto: pedonalizzare per una sera il centro storico ci ha permesso di offrire ai cittadini un concerto di musica classica, per esempio”, dice. “Noi esercenti ne abbiamo beneficiato, ma quanto siamo stati felici nel vedere le persone che di nuovo si riunivano, uscivano dalle proprie case, dalla propria solitudine per andare a riempire le piazze per ascoltare la musica e ammirare le bellezze di Foggia”.
Il giro ‘classico’ della parte storica l’ho fatto: la Cattedrale, la Villa, il Teatro Comunale. La passeggiata per le stradine del centro mi ha portato davanti a quella che è conosciuta come la “chiesa dei morti” in Piazza Purgatorio. Leggende di riti satanici mi erano stati riferiti su questa piccola chiesa bianca tutt’altro che spettrale. Quella mattina, purtroppo, era chiusa e davanti all’edificio una porta con l’inferriata chiusa da un lucchetto conduceva a dei sotterranei. Erano gli Ipogei di Foggia. Appeso all’inferriata, un biglietto con un numero di telefono da contattare per le visite guidate. Mi sono prenotata per l’indomani. La sera della visita in piazza Purgatorio, Franca, la guida, ci accoglie con un sorriso splendido ed una grande gioia nel vedere che il gruppetto era abbastanza folto. La sua attività di guida storica e culturale è totalmente volontario e per i più sconosciuto. In effetti, se un turista non passa proprio da quelle parti, non potrà mai sapere dell’esistenza degli Ipogei o dell’opportunità di poterli visitare.
La Chiesa di Maria Santissima della Misericordia, questo il suo vero nome, è una meraviglia di colori, piena di luce. È stata chiusa per anni e sconsacrata. Solo da due anni i lavori di restauro l’hanno restituita alla sua gente con un soffitto a cassettoni di un blu intenso, tra i quali sono presenti tanti teschi così come negli affreschi della chiesa. Dietro l’altare c’era un dipinto che è stato rubato e sostituito con un drappo rosso. Le colonne e l’altare sono composti da marmi policrimi. Insomma, ci troviamo in un vero e proprio gioiellino, impreziosito anche dall’amore con il quale Franca ci spiega la storia sciagurata di questa chiesa. Per anni incuria, sciatteria, vandalismi e disinteresse hanno nascosto questo tesoro. Comunque adesso, grazie alle associazioni, è tornato a vivere ed è stata riconsacrata nel 2014. Al momento di scendere nei sotterranei di epoca federiciana, un’altra guida, Anna, ha indicato, orgogliosa, la targhetta di metallo affissa al muro di fianco all’Ipogeo: è un riconoscimento che dopo tanto tempo la Regione Puglia ha voluto dare a questo sito di interesse storico e culturale e che ne indica anche la sicurezza. Scendendo, ci siamo trovati nella parte esterna di quella che doveva essere una residenza estiva di Federico II.
Ci sono tre stanze e in una di queste si può vedere un pozzo dove veniva conservato il cibo. Gli archi e i pavimenti sono in buono stato anche se sono passati più di 8 secoli dalla loro costruzione, e durante la guerra sono stati usati come rifugi antiaereo. Bombe e terremoti hanno raso al suolo case e quartieri, ma la cultura sommersa è sopravvissuta. Molti sono i ‘furbi’, spiega la guida negli Ipogei, qualche privato che non concede il permesso ai volontari di continuare a scavare per far venire alla luce ulteriori reperti storici e addirittura qualcuno che scarica abusivamente nei siti che già si sono messi in sicurezza e si possono visitare. In passato, Foggia era una città importante, tanto che Federico II l’aveva scelta come luogo per le sue nozze. Un tempo i foggiani camminavano a livello della pavimentazione degli Ipogei e me li immagino fieri della loro città. Prima che il cemento come un cancellino sulla lavagna sradicasse la storia per farne costruzioni abusive o negozi dove si vende e ci si svende al miglior offerente. “Hanno costruito sopra l’esistente e continueranno a farlo, perché qui si fa così”, ha detto Anna. Eppure quei cunicoli sotterranei, probabilmente comunicanti tra di loro, indicano una mappa, una storia tutta da ricostruire che sta lì ad aspettare di essere scoperta, amata e valorizzata. I volontari andranno avanti autotassandosi e raccogliendo i contributi che i visitatori vorranno lasciare.
In conclusione, Foggia non è una brutta città, i tesori ci sono, ma la bellezza bisogna andarsela a cercare. Gli enti pubblici, come in altre parti del Paese, non comunicano, non fanno marketing territoriale. Qui si potrebbe innescare il discorso – trito e ritrito – del patrimonio storico abbandonato dallo Stato, violentato dalla speculazione e dall’inquinamento; della cultura come volano per nuovi posti di lavoro e di rinascita economico-culturale, eccetera eccetera… Il rischio è di cadere nel pessimismo ontologico italiano. Se invece di lamentarci e cercare soluzioni globali e palingenetiche puntassimo decisamente, anche con incentivi, sul privato e sul volontariato, grande e piccolo, che le cose le fanno davvero? Magari il Pil non farà un balzo del 3%, ma con un po’ di fondi Franca, Anna e l’associazione Ipogei Foggia di cui fanno parte potranno lavorare meglio per la città che amano e farne conoscere le meraviglie a un numero sempre più grande di turisti e, perché no?, anche ai foggiani.
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