Milano

Expo Gate e quella petizione del Pd contro la Milano che cambia

16 Novembre 2014

Davvero – come è possibile che tutti i giornali parlino di una nuova architettura in relazione a questa carcassa metallica […]? Guy de Maupassant, La vita errante, 1890

Il 15 ottobre 2014 il circolo PD Città-Mondo lancia una raccolta firme online, indirizzata al sindaco di Milano, dal titolo Petizione a Pisapia: via Expo Gate da Piazza Castello alla fine di Expo. La petizione ha dato inizio ad una lunga discussione online – nella quale si evidenziavano, soprattutto, i caratteri negativi di questa raccolta firme – che poi è andata via via scemando, come molte fiammate apparse su Facebook negli ultimi anni.

In questo momento, a numero di firme raggiunto, possiamo forse analizzare la questione sollevata da una petizione molto peculiare, come un elemento generale nel complesso mondo che sta modificando l’immaginario futuro di una città come Milano.

Al link precedente è possibile leggere l’intero testo che introduce alla petizione, mentre di seguito si possono leggere alcuni frasi (arbitrariamente estrapolate) che riescono a raccontare meglio di qualsiasi spiegazione alcuni intenti della raccolta firme (il grassetto è del sottoscritto): Si sono sollevate molte critiche per la sua totale dissonanza dal contesto nella quale è stata inserita (questione che lasciamo alla valutazione individuale dei cittadini); ma soprattutto per la sua dubbia utilità. […] vale la pena ricordare che il progetto originario prevedeva l’unione delle 2 strutture a cuspide per creare uno spazio coperto per eventi […] le perplessità diventano reali preoccupazioni quando si sente parlare della possibilità che queste costruzioni – che perfino nella loro estetica si presentano come provvisorie – possano diventare stabili, fisse per sempre.[…] Trasformare da temporanee a stabili le sue strutture tubolari di piazza Castello significherebbe deturpare in modo definitivo una della piazze simbolo di Milano, proprio mentre prende vita la nuova isola pedonale. CHIEDIAMO, con questa raccolta di firme, che venga preso pubblicamente l’impegno, alla fine di EXPO, di spostare immediatamente le strutture a cuspide dalla zona di Piazza Castello, ripristinando la piazza come in origine e inglobandola nei progetti di sistemazione dell’area pedonale. […] evitare la deturpazione definitiva di una parte storica di Milano. […]

Come è possibile osservare, la petizione è una sorta di “petizione di principio” o, più specificamente, una petizione sull’auspicio: il circolo PD ipotizza che siano state costruite delle fondazioni particolari per il manufatto architettonico e quindi teme che questo possa diventare permanente; per questa ragione, senza che alcuna nota ufficiale del Comune abbia disposto diversamente dal progetto originario di una struttura provvisoria, raccoglie delle firme per chiedere l’impegno del Sindaco affinchè l’Expo Gate non diventi permanente.

In pratica, Giuliano Pisapia dovrebbe ufficialmente impegnarsi rispetto a un impegno che ha già preso (intendendo per Pisapia l’amministrazione comunale). La questione potrebbe essere lasciata a qualche studioso di logica, ma in realtà, come accennato prima, questa petizione riesce a mostrare un mondo, dietro sé, che è interessante descrivere.

La petizione rivolge la sua attenzione verso uno scopo già previsto, la rimozione dell’edificio, ma, in realtà, pare voglia dare un giudizio di merito architettonico nei confronti dello stesso: “totale dissonanza”, “estetica provvisoria”, “deturpazione della piazza” sono termini fortemente negativi, che non lasciano trasparire alcun consenso nei confronti del progetto, tanto che, per inasprire questa impressione, non si esita a fornire informazioni errate. La supposta copertura tra le due cuspidi, per esempio, non è mai stata presente nelle immagini di progetto del vincitore del concorso a invito, l’architetto Alessandro Scandurra, come è possibile verificare dai siti di informazione usciti nei giorni della proclamazione del vincitore (qui, per esempio). L’uso di questi termini, poi, ha consapevolmente traslato l’attenzione su un giudizio di valore dell’oggetto, da parte di tutti coloro che, oltre a firmare, si sono sentiti in obbligo di fornire un commento alla loro firma:

Perche’ fa schifo

Perché amo questa città, la bellezza, l’arte, il vedere, il camminare, il respirare… perché amo la vita… e vorrei poterlo dire in faccia a chi di questa città ha fatto scempio qui, in Piazza Castello, e altrove… ai responsabili di questo orrore

trovo le strutture orribili piccionaie che coprono il castello volontariamdnte tanto che quel poco di spazio che restava tra le due syrutture e stato piantumato . Il Non senso la non bellezza limprovvisazione colpiscono gli infividui sino quasi ad ammalarli va tolto subito cosi riscopriamo il castello ritirerei anche tutti gli orribili falsi Bosch con polli allo spiedo e salami come pendoli . Orribili . Come rovinare una citta in poche mosse.

E’ una struttura che disturba: fosse altrove non sarebbe così brutta, ma lì è orrenda!!

Perché le strutture tubolari, in quel contesto, sono orribili.

perche’ è un vero scempio, mai visto da nessuna parte del globo. Solo dei miserrimi potevano concepire una struttura orribile e nefasta come questa.

Una delle più belle piazze di Milano avvilita e deturpata da questo mostro !!Oltre ad essere inutili e male inserite nel contesto, sono vecchie come concetto, sorpassate. Assolutamente da rimuovere, al limite da ricollocare da un altra parte.

Dai semplici insulti alle critiche più comicamente strutturate, sia i commenti che il testo della petizione non raccontano una particolare novità, ma, piuttosto, ripropongono quella paura della contemporaneità, ben esemplificata da Guy de Maupassant, che nel 1890 inveiva contro la Torre Eiffel. Il dato è assai significativo, però, se visto nel contesto italiano, dove il rifiuto reazionario nei confronti dell’arte e dell’architettura contemporanee è all’ordine del giorno e dipende unicamente da una generale mancanza di cultura: facendo passare l’amore per l’Antico come unico metro di considerazione estetica, si sono lasciate distruggere le città e il territorio italiani, senza alcuna forma di protesta. Nella petizione, e in alcuni commenti, si vaneggia su un ritorno alla sistemazione originaria, ma, probabilmente, senza aver ben chiaro di cosa si stia parlando: la piazza, prima della costruzione di Expo Gate, era una stazione di capolinea disordinata, che raccoglieva, ad esempio, gli autobus extraurbani in arrivo da Bergamo, i taxi e i tram e dove camminare era un’impresa da esploratori urbani, data la poca chiarezza nel sistema di divisione dei flussi (e non risultano petizioni contro quella sistemazione della piazza).

Si ribadisce, inoltre, che la nuova architettura sia dissonante nei confronti del contesto, senza rendersi conto che le città più interessanti si costruiscono proprio per dissonanza, per opposti, per conflittualità irrisolte che, spesso, costruiscono il terreno fertile per definire ricche complessità. Il Castello Sforzesco stesso è un esempio di contraddizioni affascinanti: eretto nella seconda metà del Trecento e ricostruito a metà del Quattrocento, ha nel suo elemento più riconoscibile, la Torre di ingresso (tanto cara ai commentatori della petizione come un elemento antico da rispettare), un falso del 1905, progettato dall’architetto Beltrami: per fare un paragone, la galleria Vittorio Emanuele e la torre Eiffel sono state costruite molti anni prima.

L’Expo Gate è in realtà un progetto molto interessante. E’ chiaro che i suoi riferimenti più prossimi siano legati ad un tema di provvisorietà, come provvisoria era la Tour Eiffel, che ancora oggi è un elemento simbolo di Parigi (con buona pace di Guy de Maupassant), ma come temporanei sono i fratelli maggiori a cui fa da vetrina, i padiglioni dell’Expo a Milano. La selva di sottili strutture, che può forse apparire forzata, esagera il concetto stesso, come a riabilitare l’in progress di una città che ha, nel suo panorama quotidiano, le strutture tubolari che servono per erigere e rinnovare le architetture cittadine. Ma, come accennato nella relazione di progetto, l’elemento strutturale modulare, insistito, ricorda i backstage dei palchi da concerto, strutture flessibili che possono accogliere molti allestimenti differenti, così che la città stessa sia platea e promotrice, contemporaneamente, di eventi: in questo ricorda molto la macchina del Centro Pompidou, sempre a Parigi, nel quale l’esibizione della struttura e degli impianti è necessaria per evidenziare la neutralità di uno spazio interno che possa accettare diversissimi usi ed adattarsi alle modifiche nel tempo. E, in effetti, il calendario di eventi svolti finora nei due padiglioni è assai ricco: manifestazioni, conferenze, presentazioni pubbliche, performance artistiche, spettacoli multimediali, hanno ravvivato in maniera preziosa l’intorno urbano della piazza, con un calendario serratissimo, per il quale, semmai, la preoccupazione è che se ne riesca a mantenere il medesimo ritmo nei prossimi mesi.

La petizione contro Expo Gate, insomma, tende ad esibire niente di più che la difficoltà italiana, anche in una città che vorrebbe essere capofila della modernità di un paese, a dialogare con la cultura contemporanea, soprattutto in ambito architettonico, e questa difficoltà non può essere risolta in altra maniera che ritornando ad alcuni fondamentali, come la scuola, dove l’insegnamento dell’arte e dell’architettura non può fermarsi, al massimo, all’Ottocento.*

La raccolta firme contro Expo Gate, però, sottolinea un altro punto interessante e viene proprio da chi lancia la petizione, il circolo PD Città-Mondo, un circolo che dovrebbe far parte di un partito progressista, che dovrebbe dialogare con la contemporaneità, se non addirittura promuoverla. Il fatto, allora, che questo circolo proponga una petizione contro un progetto nato sotto una giunta che dopo anni vede proprio il PD al governo, trasforma questa raccolta firme in un dato politico.

Se è innegabile che buona parte dei risultati più appariscenti di modifica della città (l’Expo, Porta Nuova, la Metro 5, per citarne solo alcuni) siano attualmente il risultato delle politiche delle precedenti giunte (è d’altronde impossibile pensare che i lavori di una giunta si esauriscano nei tempi del mandato), ci si chiede, dunque, quale sia l’immaginario che sta definendo la giunta Pisapia nei confronti della città. È possibile osservare, nel lavoro svolto dall’amministrazione comunale, un progetto di città interessante, coerente e, soprattutto, capace di volgere radicalmente il volto di Milano verso il futuro?

>Continua.

* Questa generale mancanza di cultura meriterebbe ampie discussioni, soprattutto sul merito di possibili soluzioni: la contemporaneità, in Italia, non può passare solo dall’ultimo modello di smartphone, ma necessita della consapevolezza che ogni epoca porti con sé il proprio tipo di spazio, la propria estetica, le proprie istanze artistiche e che camminare in avanti con la testa rivolta all’indietro, possa solo portare a spiacevoli incidenti. Il passato è un compagno con cui avanzare verso il futuro: ci può consigliare, ci può essere amico, può essere attrattivo, ma mai limitarci nel nostro camminare. Nelle prossime settimane proverò a parlare di contemporaneità e architettura, con una rubrica dal titolo GOO (Great Old Ones – Grandi Antichi), senza illusione di risolvere alcunché, ma sperando che possa essere l’inizio di una fertile discussione su un tema così abusato. Come direbbero gli SG, stay tuned!

(foto di Filippo Romano e Diego Terna)

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